La Suprema Corte, con la pronuncia in esame, ha ribadito il principio di diritto secondo cui la legittimazione alla proposizione della querela per il reato di infedeltà patrimoniale spetta disgiuntamente alla società nel suo complesso ed al singolo socio, in quanto l’atto infedele dell’amministratore è volto a compromettere sia le ragioni della società sia quelle dei soci o quotisti della stessa che, a causa dell’infedele condotta dell’amministratore subiscono il depauperamento del proprio patrimonio.
In ragione di ciò, deve necessariamente considerarsi persona offesa della predetta condotta anche il socio receduto ma ancora all’interno della compagine sociale nel momento in cui è stata compiuta l’attività infedele poiché lo stesso non perde la qualità di parte offesa e la conseguente legittimazione a proporre la querela al momento dello scioglimento – nei suoi confronti – del rapporto sociale, atteso che il fatto illecito, costituente reato, “si è verificato ben prima della sua uscita dalla società, e ciò a prescindere dal fatto che la quantificazione concreta del danno si appalesi solo all’atto della liquidazione della quota”.