Una società proponeva reclamo avverso la dichiarazione di fallimento, previa declaratoria di inammissibilità di una domanda di concordato in bianco, e a seguito della relativa reiezione, presentava ricorso per cassazione, denunciando la violazione del diritto di difesa per non essere stata sentita in ordine alla domanda di concordato e per non avere il tribunale preliminarmente sottoposto al contraddittorio le ritenute ragioni di inammissibilità di quest’ultima. La ricorrente lamentava altresì la violazione dell’art. 161, comma 6, l. fall. in quanto sarebbe precluso al tribunale qualsivoglia sindacato di merito in ordine alla formulata domanda concordataria, dovendosi il giudice di prime cure esclusivamente limitare a verificarne la correttezza formale.
Premesso che la società aveva presentato la propria domanda di concordato ex art. 161, comma 6, l. fall. il giorno stesso dell’udienza di sua comparizione ex art. 15 l. fall. in relazione ai ricorsi di fallimento proposti, nei suoi confronti, da diversi creditori, la Suprema Corte ha precisato che la pendenza della domanda di concordato preventivo impedisce temporaneamente la dichiarazione di fallimento, ma non rende improcedibile il procedimento prefallimentare, determinando solo la riunione dei relativi procedimenti. Inoltre, sebbene vada rispettato l’obbligo di audizione del debitore ex art. 162, comma 2, l. fall. per consentire allo stesso di svolgere le proprie difese prima della pronuncia di inammissibilità, non è necessaria la fissazione di una ulteriore udienza qualora la domanda di concordato si inserisca nell’ambito di una procedura prefallimentare e il debitore sia stato comunque sentito in relazione alla domanda stessa. Ciò a maggior ragione quando la decisione sull’ammissibilità della domanda concordataria sia fondata, piuttosto che sulla valutazione del contenuto concreto della corrispondente proposta (nella specie, evidentemente mancante, trattandosi di istanza ex art. 161, comma 6, l. fall.), su argomentazioni supportate da elementi di giudizio allegati anche nella già pendente sede prefallimentare.
La Corte di Cassazione ha quindi precisato che il tribunale ha il compito di esercitare, in relazione alla domanda concordataria, un controllo quanto meno riguardante il riscontro della propria competenza e dell’esistenza dei requisiti soggettivi di accesso alla procedura, nonché l’assenza, almeno prima prima facie, di profili di abusività suscettibili di pregiudicare le ragioni dei creditori e dei terzi aventi diritto (cfr. Cass. n. 7117 del 2020). In particolare, costituisce principio consolidato quello per cui:
“è inammissibile una domanda di concordato preventivo presentata dal debitore non per regolare la crisi dell’impresa, ma per procrastinare la dichiarazione di fallimento: in questo caso, infatti, la domanda integra gli estremi dell’abuso del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità deviate od eccedenti rispetto a quelle per le quali l’ordinamento le ha predisposte”.
In altri termini, il tribunale, in caso di accertato abuso della domanda di concordato, può procedere alla dichiarazione di inammissibilità della proposta quale diretta conseguenza della condotta abusiva, e, quindi, può dichiarare il fallimento rispettando così, anche in questo caso, il principio che vuole l’esaurimento della procedura di concordato prima della dichiarazione di fallimento.