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Giurisprudenza

Il valore probatorio del riconoscimento di debito in sede di ammissione al passivo

7 Novembre 2019

Federica Dipilato, Avvocato presso Giovanardi Pototschnig & Associati

Cassazione Civile, Sez. I, 11 aprile 2019, n. 10215 – Pres. Didone, Rel. Dolmetta

Di cosa si parla in questo articolo
Il prossimo 15 novembre si terrà a Milano il Convegno di Rassegna di Giurisprudenza Fallimentare organizzato da questa Rivista. Per maggiori informazioni si rinvia al link indicato tra i contenuti correlati.

La sentenza in esame trae origine dall’impugnazione promossa dal curatore fallimentare avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Fermo, in accoglimento dell’opposizione allo stato passivo promossa da un creditore, ha ritenuto provato il credito insinuato sulla sola base dell’atto di ricognizione contenuto in una scrittura privata autenticata, prodotta in atti. A detta del Tribunale, infatti, anche in sede di insinuazione al passivo sarebbe da ritenersi applicabile la regola dell’inversione dell’onere della prova dettata dall’art. 1988 cod. civ., con la conseguenza che alla curatela spettava dimostrare l’ “inesistenza o nullità del rapporto obbligatorio”, ciò che non è avvenuto nel caso di specie.

In forza dell’impugnazione, pertanto, è stata posta alla Cassazione la questione se, ai fini dell’ammissione al passivo del fallimento, sia sufficiente per il creditore produrre l’atto contenente il riconoscimento del debito effettuato dall’imprenditore, poi fallito, ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova sullo stesso incombente.

Sul punto, i giudici di legittimità hanno preso le mosse dalla tesi, ormai consolidata, la quale (i) nega il valore di piena prova alla confessione resa dal debitore in data antecedente al fallimento, sull’assunto della terzietà del curatore rispetto al rapporto obbligatorio e (ii) non priva di ogni utilizzabilità probatoria la confessione, ma piuttosto la rimette al libero apprezzamento del giudice.

In conformità a siffatto orientamento, la Corte ha quindi affermato che l’attribuzione del valore di “piena prova” al riconoscimento di debito comporterebbe un “paradossale capovolgimento di strutture e funzioni”, dal momento che lo stesso assumerebbe una “forza probatoria addirittura maggiore di quella riconducibile alla confessione”, annoverata dal legislatore nel catalogo delle cd. “prove legali”.

A fronte di simili argomentazioni, la Corte ha cassato il provvedimento impugnato per avere il Tribunale di Fermo non solo trascurato “di considerare la posizione di terzo che il curatore viene ad assumere nell’ambito del procedimento di verifica dello stato passivo fallimentare”, ma anche disapplicato la regola per la quale “il creditore rimane in ogni caso onerato di dare la prova del proprio credito, in punto di quantum non meno che di an”.

 

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