Sommario: 1. Voto e volontà negoziale del ceto creditorio. 2. Individuazione degli aventi diritto al voto. 3. La contestazione dei crediti. 4. Il giudizio relativo all’ammissione al voto dei crediti contestati. 5. Le contestazioni relative al privilegio. 6. Le contestazioni relative alla classe. 7. Le contestazioni relative alla postergazione. 8. L’esclusione dal voto e il conflitto d’interessi. 9. Le decisioni del giudice delegato e del collegio. 10. La maggioranza per teste.
1. Voto e volontà negoziale del ceto creditorio
L’approvazione della proposta del debitore, da parte del ceto creditorio, costituisce uno dei momenti salienti, sotto il profilo negoziale, della procedura di concordato preventivo.
Nella configurazione dell’istituto risultante dagli artt. 177-179 l. fall.[1](disposizioni sostanzialmente confermate dagli artt. 109-111 CCII[2]) la proposta concordataria è soggetta, anzitutto, all’approvazione del ceto creditorio, chiamato a formulare una libera valutazione di opportunità e convenienza della proposta, indipendentemente dai profili di legittimità che restano soggetti alla verifica, sia ex ante che ex post[3], del Tribunale.
La manifestazione di volontà del ceto creditorio ha ad oggetto la proposta del debitore e deve ad essa corrispondere, secondo la logica della formazione del consenso contrattuale (art. 1326 cod. civ.).
Tuttavia non è necessario che la proposta sia accettata da ciascun creditore, essendo sufficiente che vi sia l’accordo della maggioranza di essi.
L’accordo è, quindi, retto da un criterio di tipo maggioritario, corredato da molteplici peculiarità, quali la formazione delle classi, la disciplina del voto dei creditori privilegiati, la considerazione dei crediti contestati nell’an, nel quantum e nel rango, il principio del silenzio-dissenso, in virtù del quale, com’è noto, i creditori che non esprimono alcun voto sono conteggiati fra i dissenzienti.
L’applicazione nel loro insieme di tutte queste regole distanzia notevolmente la volontà «reale» dei creditori dalla volontà negoziale, giuridicamente rilevante, di essi: solo per una fictio iuris la maggioranza che approva o respinge il concordato è equiparata ad accordo o dissenso di tutti rispetto alla proposta stessa.
Le considerazioni poc’anzi svolte pongono in chiara evidenza l’importanza del tema costituito dal calcolo della maggioranza dei creditori nel concordato preventivo, che viene qui affrontato senza alcuna pretesa di completezza ma con l’intento di offrire spunti di riflessione segnatamente in chiave applicativa.
2. Individuazione degli aventi diritto al voto
Poichè il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto (art. 177 l. fall.; v. anche art. 109 CCII) occorre preliminarmente individuare la modalità di ammissione al voto dei creditori stessi.
La modalità in questione prende avvio da un insieme di adempimenti di carattere essenzialmente pratico.
Il debitore che si accinge a presentare domanda di concordato preventivo (anche nella forma della domanda con riserva ex art. 161, co. 6, l. fall.) deve anzitutto, a pena di inammissibilità, predisporre l’elenco nominativo dei creditori, indicando i rispettivi crediti e cause di prelazione (cfr. art. 161, co. 2, lett. b, l. fall.).
L’elenco stesso è soggetto a preliminare ricognizione da parte del debitore, usualmente eseguita interpellando i creditori stessi mediante l’attività di c.d. «circolarizzazione», consistente nella richiesta rivolta a ciascun creditore di comunicare o confermare per iscritto l’entità del proprio credito e l’eventuale sussistenza di causa di prelazione. La circolarizzazione viene poi ripetuta o comunque verificata da parte del professionista indipendente incaricato di attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano concordatario (art. 161, co. 3, l. fall.).
Un terzo controllo con eventuali rettifiche è, infine, svolto dal commissario giudiziale (art. 171 l. fall.).
Il risultato delle sopra citate attività di ricognizione del passivo è costituito dall’identificazione dell’elenco completo dei creditori, con relativi importi e rango chirografario o privilegiato. Da questo elenco si ricavano, dunque, coloro che sono invitati a esprimere il voto sulla proposta di concordato preventivo.
3. La contestazione dei crediti
E’ possibile che sorgano contestazioni tra debitore e creditori, tra questi ultimi reciprocamente (cfr. art. 175, co. 3, l. fall.) o divergenti valutazioni rispetto a quelle svolte dal commissario giudiziale in merito ai crediti da ammettere al voto.
Siffatte questioni vengono risolte nell’ambito della procedura stessa di concordato preventivo, alla luce dei criteri fra breve presi in esame.
Giova precisare che l’applicazione dei criteri qui considerati ha la specifica finalità di attuare le regole di maggioranza per l’approvazione della proposta concordataria, senza interferire in alcun modo sul merito dei crediti stessi. Costituisce infatti principio consolidato che l’ammissione al voto dei creditori è provvedimento privo di carattere decisorio mentre ciascun creditore, nel caso di contestazione, resta libero di agire in giudizio nelle forme ordinarie per far valere le pretese inerenti al pagamento[4].
La soluzione di contestazioni e divergenze è di competenza nella prima fase del giudice delegato, il quale – come espressamente prevede l’art. 176 l. fall. (e similmente l’art. 108 CCII) – può ammettere provvisoriamente in tutto in parte i crediti contestati ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, ammissione che, come detto, non pregiudica le pronunzie definitive sulla sussistenza dei crediti stessi.
4. Il giudizio relativo all’ammissione al voto dei crediti contestati
Le contestazioni circa i crediti votanti possono riguardare molteplici profili del rapporto obbligatorio.
Tra i principali argomenti controversi possiamo considerare i seguenti:
i) l’esistenza stessa del credito (an);
ii) il quantum;
iii) la natura privilegiata o chirografaria;
iv) la classe di collocazione del credito;
v) la postergazione;
vi) il conflitto dì interessi;
I temi testè richiamati si traducono in corrispondenti incertezze circa i criteri di calcolo della maggioranza idonea ad approvare il concordato preventivo o delle «maggioranze» – al plurale – ai sensi del primo comma dell’art. 177 l. fall. che richiede la maggioranza dei crediti ammessi al voto nonchè la maggioranza in ciascuna classe di creditori.
Il giudice delegato assume le determinazioni di sua competenza sulla base di una cognizione sommaria e di quanto risulta allo stato degli atti.
Le valutazioni al riguardo verranno svolte secondo il prudente apprezzamento del giudice, relativamente allo specifico rapporto dedotto e inoltre tenendo in considerazione le importanti conseguenze derivanti dal dissenso (il quale, per il combinato disposto degli artt. 179 e 162, co. 2, l. fall., conduce con sostanziale automatismo al fallimento dell’imprenditore proponente). Le medesime valutazioni non devono invece essere influenzate dalla pur necessaria attenzione a che le risorse messe a servizio del concordato siano capienti rispetto a tutto il passivo, anche potenziale; aspetto, quest’ultimo, già appositamente disciplinato dall’art. 180, co. 7, l. fall. a tenore del quale con il giudizio di omologazione il tribunale adotta opportuni provvedimenti per l’accantonamento di somme da destinare eventualmente a favore dei crediti contestati, nel caso i medesimi fossero confermati all’esito del relativo giudizio ordinario di cognizione. Dunque la solidità e l’efficace tenuta del piano concordatario possono essere preservate mediante idonee cautele di tipo economico, senza necessità, da questo punto di vista, di dover anche automaticamente ammettere al voto il creditore contestato, tematica che si muove su un distinto ambito.
Le considerazioni che precedono rilevano sia nell’ipotesi in cui la contestazione riguardi la sussistenza stessa del credito che nell’ipotesi di controversia concernente la quantificazione del medesimo. In tale seconda ipotesi il creditore dovrà essere invitato a votare per la parte non contestata del credito restando da valutare l’ammissione provvisoria per il residuo.
5. Le contestazioni relative al privilegio
Riguardo alle ulteriori fattispecie precedentemente menzionate si può soggiungere quanto segue.
Con riferimento alla natura chirografaria o privilegiata del credito, in passato la giurisprudenza riteneva che il voto del creditore privilegiato comportasse implicita rinuncia al privilegio[5]. Con l’attuale formulazione dell’art. 177 l. fall. (e analogamente v. l’art. 109 CCII) è previsto testualmente che i creditori privilegiati cui è proposto «l’integrale pagamento» del rispettivo credito non hanno diritto al voto se non rinuncino in tutto o in parte alla prelazione.
Si deve ritenere, in conformità ai principi generali, che la rinuncia al diritto debba essere espressa e univoca, sicchè il voto del creditore privilegiato non può significare, di per sè, rinuncia al voto, ma deve ritenersi privo di effetto[6].
In questo contesto, la questione più dubbia riguarda l’ipotesi in cui vi sia contestazione tra le parti, nel senso che il creditore rivendichi il privilegio mentre il debitore, ritenendolo chirografario, formuli una proposta di pagamento non integrale bensì in misura percentuale, in coerenza con la classe di collocazione del credito stesso.
E’ stato giudicato che il creditore ammesso come chirografario ha piena legittimazione al voto anche se egli si ritenga privilegiato[7]. Tale soluzione appare coerente con il tenore del già citato secondo comma dell’art. 177 l. fall., laddove la norma precisa che non hanno diritto di votare i creditori privilegiati «dei quali la proposta di concordato prevede l’integrale pagamento». Pertanto è da ritenere che nei casi in cui la proposta preveda un pagamento parziale (sul presupposto che si tratti di chirografario) il creditore possa votare ancorchè egli rivendichi il privilegio. In tale circostanza, il creditore medesimo ha l’onere di far valere il diritto al privilegio da lui preteso dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, secondo il principio già precedentemente ricordato[8]. Nel caso in cui, all’esito del processo, sia accertata la causa di prelazione, il creditore ha diritto al pagamento nella misura corrispondente al privilegio accertato.
Il giudizio sul merito del credito, tuttavia, non inficia, a nostro avviso, l’efficacia del voto che il medesimo creditore ha già espresso nell’adunanza. Nonostante sia stato ex post accertato il privilegio, non si potrebbe qui considerare tamquam non esset il voto (come avviene ordinariamente per il voto del creditore privilegiato non rinunciante) in quanto ciò determinerebbe tardivi effetti potenzialmente assai rilevanti sui requisiti di approvazione e omologazione del concordato preventivo, che potrebbero emergere solo a distanza di molto tempo in considerazione della durata del processo ordinario.
Pertanto, il voto del creditore ammesso al chirografo, ma con contestazione del rango, è agli effetti pratici da trattarsi analogamente a quanto avviene per i crediti contestati ammessi in via provvisoria ex art. 176 l. fall.
Va soggiunto che, dinanzi alla contestazione circa la natura privilegiata, il debitore deve valutare i presupposti per disporre un apposito accantonamento nel piano concordatario da utilizzare in caso di successivo accertamento della causa di prelazione controversa.
E’ opportuno svolgere qualche ulteriore considerazione concernente l’art. 108 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (di cui, com’è noto, è prevista l’entrata in vigore a settembre 2021). Tale articolo, dopo aver ripetuto la vigente disposizione secondo cui il giudice delegato può ammettere provvisoriamente in tutto o in parte i crediti contestati ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, stabilisce che il giudice «provvede nello stesso modo in caso di rinuncia al privilegio». A prima lettura, non risulta chiaro il motivo per cui il creditore che rinunci al privilegio (e che perciò è ammesso certamente al voto, totalmente o parzialmente a seconda dell’entità della rinunzia) dovrebbe essere ammesso a votare solo in via provvisoria anzichè in via definitiva.
6. Le contestazioni relative alla classe
Nel caso di concordato preventivo per classi, può verificarsi che sia controversa la corretta collocazione del singolo credito. La contestazione potrebbe essere svolta dal creditore stesso ovvero da altri creditori o sollevata su iniziativa del commissario giudiziale o anche rilevata d’ufficio dal giudice delegato. La questione riguarda le caratteristiche di omogeneità giuridica e economica del credito rispetto a quelle caratterizzanti le classi in cui si articola la proposta di concordato.
La differente collocazione del credito avrebbe il rilievo pratico di modificare potenzialmente le maggioranze delle singole classi in cui il medesimo è stato inserito e, rispettivamente, di quella in cui si assuma debba essere inserito.
La decisione al riguardo, sempre agli specifici effetti del calcolo della maggioranza, è di competenza del giudice delegato (art. 176 l. fall.), salvo quanto si dirà appresso in merito al riesame da parte del collegio nel giudizio di omologazione circa la legittimità della formazione delle classi.
7. Le contestazioni relative alla postergazione
Un’altra situazione in cui nella pratica può sorgere contestazione concerne i presupposti per qualificare il credito come postergato ai sensi degli artt. 2467 cod. civ. oppure dell’art. 2497quinquies cod. civ.
Può ad esempio essere controverso il fatto che il credito del socio sia oggetto di un finanziamento anzichè di un rapporto di natura commerciale (in quest’ultimo caso non opererebbe la regola della postergazione) oppure la qualità di socio di fatto, l’esistenza di una situazione di direzione e coordinamento o ancora il presupposto dell’eccessivo squilibrio finanziario che determina, appunto, la postergazione ai sensi dell’art. 2467 cod. civ.
Siffatte tematiche si riflettono sull’applicazione dei criteri di formazione del voto nel concordato preventivo, in considerazione del fatto che il creditore postergato, in conformità al più recente indirizzo della giurisprudenza di legittimità[9], andrebbe ammesso al voto ma collocandolo in apposita classe, e la questione sarebbe a fortiori rilevante per il raggiungimento delle maggioranze qualora si aderisse alla diversa interpretazione, pure sostenuta in giurisprudenza, che ritiene il creditore postergato privo di legittimazione a partecipare alla votazione[10].
In presenza delle fattispecie sopra dette, il giudice delegato è dunque chiamato a valutare l’eventuale ammissione al voto del creditore e la corretta classe di appartenenza, a nostro avviso anche con facoltà di prevedere che ciò avvenga in forma provvisoria, facendo applicazione del primo comma dell’art. 176 l. fall., senza pregiudizio per le pronunzie definitive circa la natura del credito.
8. L’esclusione dal voto e il conflitto d’interessi
Vi sono alcune categorie di creditori espressamente escluse dal voto, ciò non in ragione della natura del credito, bensì dei loro rapporti con il debitore.
In particolare, l’art. 177, co. 4, l. fall. prevede che sono esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze il coniuge del debitore, i suoi parenti e affini fino al quarto grado la società che controlla la società debitrice, le società da questa controllate e quelle sottoposte a comune controllo, nonchè i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta di concordato.
Alle sopra citate fattispecie tipiche, la giurisprudenza ha aggiunto il caso dei creditori che formulano proposta concorrente di concordato preventivo, ai sensi del quarto comma dell’art. 163 l. fall., giudicati non legittimati a votare rispetto alla proposta da loro stessi presentata e sottoposta a sua volta all’adunanza dei creditori (art. 175, co. 5, l. fall.)[11].
In questo ambito, giova segnalare che il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza prevede un importante ampliamento delle ipotesi di esclusione dal voto, non tanto con riferimento all’estensione dell’incompatibilità (in aggiunta al coniuge) a colui che è legato da unione civile col debitore e al convivente del medesimo (v. quinto comma dell’art. 109 CCII), bensì riguardo alla disposizione di chiusura del medesimo quinto comma, secondo cui «sono inoltre esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto d’interessi».
Il conflitto d’interessi è istituto che tradizionalmente (così in materia contrattuale e societaria) si fonda sul fatto che vi è un soggetto che rappresenta una parte, il quale deve perseguire l’interesse del rappresentato e non agire in conflitto con questo.
Viceversa il creditore che vota in merito alla proposta di concordato preventivo non rappresenta altri soggetti, certamente non altri creditori; ognuno rappresenta solo se stesso e, in piena autonomia, è chiamato a valutare se la proposta sia conveniente e, in tal senso, se corrisponda o no al proprio «interesse».
Non è affatto estranea al sistema l’ipotesi che tale soggettivo apprezzamento sia in conflitto con l’interesse di altri creditori, come, fra l’altro, sta a testimoniare la regola secondo cui, in adunanza, ciascun creditore può «sollevare contestazioni sui crediti concorrenti» (art. 175, co. 3, l. fall.)[12].
Il principio maggioritario di per sè indica chiaramente che di norma vi sono taluni creditori che considerano la proposta contraria al proprio interesse e altri che invece la ritengono conveniente, sicchè questi ultimi, esprimendo l’approvazione del concordato, trovano convergenza con il debitore e, invece, divergenza con gli interessi dei creditori dissenzienti.
Dunque in materia di voto nel concordato preventivo non si presenta la situazione di conflitto d’interessi corrispondente alla logica tradizionale del rapporto di rappresentanza e neppure si può presupporre che vi sia sic et simpliciter antitesi tra, da un lato, interesse del debitore e, d’altro lato, un solo unitario «interesse» che dovrebbe accomunare tutti i creditori indistintamente; sono anzi gli interessi di costoro che normalmente divergono ed entrano in reciproco conflitto[13].
Conflitto agevolmente comprensibile considerato che nel concordato preventivo per definizione le risorse sono insufficienti per soddisfare integralmente e puntualmente tutti i creditori, cosicchè alla maggiore soddisfazione dell’uno (o di una classe) corrisponde la minor soddisfazione dell’altro (o dell’altra classe), il che «fa sì che ciascun creditore si atteggi rispetto a ciascun altro creditore homo homini lupus»[14].
A nostro avviso, per le ragioni sopra indicate, si deve intendere il conflitto d’interessiconsiderato dall’art. 109, co. 5, CCII in unaaccezionepeculiare, limitata alle ipotesi in cui il creditore abbia unaposizionepientamenteconvergentecon quella del proponente (analoga a quella del congiuntoedi società appartenenti al medesimo gruppo)ponendosi nel solco interpretativo indicato dalla Suprema Cortenella già citata sentenza che ha escluso dal voto i creditori che formulano la proposta concorrente[15].
Tuttavia anche avendo a mente quest’ultima fattispecie traspare l’equivocità dell’art. 109 CCII, atteso che il sesto comma del medesimo articolo aggiunge che «il creditore che propone il concordato ovvero le società da questo controllate, le società controllanti o sottoposte a comune controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile possono votare soltanto se la proposta ne prevede l’inserimento in apposita classe». In tal modo l’unica fattispecie che era stata ritenuta dalla Suprema Corte meritevole di esclusione dal voto (ovviamente oltre a quelle tipiche previste dalla legge) viene invece regolata in modo meno rigoroso, consentendo al creditore proponente di votare sulla sua stessa proposta, purchè sia collocato in apposita classe.
Occorre rilevare che le nuove disposizioni lasciano troppi margini di incertezza interpretativa per la loro equivocità e risultano potenzialmente foriere di contenziosi e dicontrasti digiudicati anche tra giudice delegato in sede di ammissione al voto e collegio in sede di giudizio di omologazione.
9. Le decisioni del giudice delegato e del collegio
A proposito delle decisioni di rispettiva competenza del giudice delegato e del collegio, va considerato che mentre il primo assume ogni opportuna determinazione in sede di ammissione al voto dei creditori, il tribunale in composizione collegiale ha pieni poteri di riesaminare la legittimità della procedura in sede di giudizio di omologazione, ivi inclusa dunque la verifica dei criteri applicati per la determinazione delle maggioranze.
In virtù della suddetta considerazione, il giudizio da parte del collegio interviene solo in caso di approvazione del concordato preventivo e perciò esso potrebbe astrattamente risolversi solo in peius rispetto al proponente: la diversa valutazione del collegio potrebbe avere infatti il solo significato di produrre diverse maggioranze, poiché se queste rimanessero invariate difetterebbe qualsiasi interesse, processualmente e sostanzialmente rilevante, che possa giustificare l’adozione di ulteriori provvedimenti al riguardo. Siffatta argomentazione trova peraltro conferma nella legge, laddove prescrive che la legittimazione del creditore a contestare il credito in sede di omologazione sussiste solo se la contestazione abbia effetto sulla formazione delle maggioranze (art. 176, co. 2, l. fall.).
Riteniamo peraltro che nell’ambito del giudizio di omologazione la contestazione dei crediti, e il rilievo d’ufficio di eventuali violazioni di legge, possa investire oltre all’an e al quantum del credito ammesso al voto, anche gli altri elementi del rapporto obbligatorio precedentemente esaminate, che pure incidono sul voto e sulla formazione della maggioranza del ceto creditorio e delle singole classi.
Nel caso in cui il tribunale rilevi una violazione di legge che abbia effetto sulla formazione delle maggioranze (d’ufficio o accogliendo l’opposizione del creditore ex art. 176, co. 2, l. fall.) si discute se debba ricalcolare la maggioranza e dichiarare direttamente respinto il concordato preventivo[16] oppure se debba disporre la ripetizione delle operazioni di voto[17].
In taluni casi è stato peraltro ritenuto che la decisione del giudice delegato concernente l’ammissione o non ammissione di un voto controverso possa essere sottoposta a reclamo immediato al tribunale[18]. Interpretazione che potrebbe avere maggior rilievo per il debitore che intenda contestare l’ammissione al voto del creditore. Se infatti l’unico strumento di revisione della determinazione del giudice delegato fosse il giudizio di omologazione, ciò restringerebbe la possibilità di riesame all’ipotesi di esclusione di creditore dissenziente, mentre non vi sarebbe rimedio per l’ipotesi inversa, in cui fosse stato ammesso al voto il creditore dissenziente, il cui voto risultasse determinante per il rigetto della proposta concordataria. In quest’ultima fattispecie sarebbe il debitore ad avere interesse a provocare una nuova delibazione da parte del collegio. Utile a tal fine potrebbe essere il reclamo immediato, come detto, o anche il procedimento di cui all’art. 162, co. 2, l. fall. scaturente dalla verifica di non raggiungimento della maggioranza ex art. 179 l. fall. In tali casi il giudice delegato, verificata quest’ultima circostanza, ne riferisce al tribunale, che convoca il debitore in camera di consiglio per pronunciare l’inammissibilità del concordato e per la conseguente dichiarazione di fallimento; potrebbe dunque ritenersi che in tale sede il debitore abbia la possibilità di chiedere il rinnovo del giudizio concernente l’ammissione al voto di crediti contestati, sempre che si tratti di voti rivelatisi in concreto determinanti ai fini del calcolo della maggioranza dissenziente circa la proposta di concordato.
10. La maggioranza per teste
Da ultimo si evidenzia che l’art. 109 CCII prevede un’ulteriore rilevante novità disciplinando il caso in cui un unico creditore sia titolare di crediti in misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi al voto. In tale fattispecie viene previsto che il concordato è approvato se, oltre alla maggioranza calcolata sul valore dei crediti secondo le regole ordinarie, abbia altresì riportato «la maggioranza per teste dei voti espressi dai creditori ammessi al voto».
Dal punto di vista letterale la disposizione testè citata, facendo riferimento ai voti «espressi», sembra comportare che per la maggioranza per teste non operi la regola del c.d. silenzio-rigetto, dovendosi in tale ambito escludere dal quorum l’avente diritto non votante.
Ove si seguisse questa lettura, la maggioranza verrebbe calcolata solo sui voti espressi, favorevoli o contrari, superando le logiche (che, com’è noto, si sono succedute negli ultimi anni con indirizzi diametralmente opposti) del silenzio-assenso e del silenzio-rigetto[19].
[1] R.d. 16 marzo 1942, n. 267.
[2] D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, la cui entrata in vigore è fissata al primo settembre 2021, ai sensi dell’art. 5, d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito dalla legge 5 giugno 2020, n. 40.
[3] Il Tribunale, com’è noto, è chiamato a verificare la legittimità della domanda di concordato preventivo sia nella fase iniziale dell’ammissione della procedura che nell’ambito del giudizio di omologazione eventualmente aperto dopo che la proposta sia stata approvata dal ceto creditorio.
[4] Cfr. ex plurimis Cass., 21 dicembre 2018, n. 33345; Cass., 22 dicembre 2006, n. 27489.
[5] Cfr. Trib. Milano, 21 dicembre 1987, in Fallimento, 1988, p. 1206.
[6] Cfr. Nardecchia, Il nuovo diritto fallimentare. Comm. dir. da Jorio, Bologna, 2007, p. 2495.
[7] Cass. 5 ottobre 2000, n. 13282; Cass., 22 novembre 1993, n. 11192.
[8] Cfr. sub nota 4.
[9] Cass., 21 giugno 2018, n. 16348: «nel concordato preventivo la proposta del debitore, di suddivisione dei creditori in classi, può prevedere il riconoscimento del diritto di voto a quei creditori che siano stati inseriti in apposita classe e postergati, perchè titolari di crediti inerenti il rimborso ai soci di finanziamenti a favore della società, nelle ipotesi previste dall’art. 2467 c.c., purchè il trattamento previsto per detti creditori sia tale da non derogare alla regola del loro soddisfacimento sempre posposto rispetto a quello, integrale, degli altri chirografari».
[10] Cfr. App. Venezia, 23 febbraio 2012, in Fallimento, 2012, p. 673.
[11] Cass., Sez. Un., 28 giugno 2018, n. 17186, in Giur. comm., 2019, II, p. 307.
[12] Si noti che la disposizione citata è confermata nell’art. 107, co. 4, CCII.
[13] Come insegna autorevole dottrina «fra i creditori il conflitto si rinviene proprio a livello di interessi tipici, perchè qualsiasi soddisfazione maggiore che uno di essi riesca a ottenere si risolve in una danno per gli altri» (P.G. Jaeger, Par condicio creditorum, in Giur. comm., 1984, p. 98),
[14] In questi incisivi termini Corte Cost., 22 aprile 1986, n. 102, in Dir. fall., 1986, II, p. 177.
[15] Cass., Sez. Un., 28 giugno 2018, n. 17186, cit., che ha così motivato: « tra chi formula la proposta di concordato (così come, del resto, una qualsiasi proposta contrattuale) e i creditori che tale proposta sono chiamati ad accettare (così come, in genere, i destinatari di una qualsiasi proposta contrattuale) vi è un contrasto di interessi di carattere immanente, coessenziale alle loro stesse qualità, essendo l’uno propriamente qualificabile come controparte degli altri ».
[16] Così Cass., 4 dicembre 1992, n. 12934: nella fattispecie si trattava di accoglimento dell’opposizione del creditore che illegittimamente non era stato ammesso al voto, del quale, in quanto opponente, è stata presunta l’intenzione di votare in senso contrario alla proposta.
[17] In tal senso M. Fabiani, Concordato preventivo, nel Commentario del codice civile Scialoja-Branca-Galgano, Bologna, 2014, p. 588, che esprime la considerazione (a nostro avviso condivisibile) secondo cui l’esclusione o ingiusta ammissione del voto di un creditore potrebbe aver influenzato il comportamento e la decisione di altri creditori, sicchè appare corretto rifare l’adunanza. Conclusione da sostenersi particolarmente nelle ipotesi in cui il vizio rilevato non consenta di far presumere alcuna determinazione del creditore, come ad esempio nell’ipotesi di creditore inizialmente escluso in quanto privilegiato e poi ritenuto chirografario nel processo di omologazione.
[18] Cfr. Trib. Ancona, 8 novembre 2007, in Fallimento, 2008, p. 347.
[19] De iure condendo l’opzione interpretativa indicata nel testo sarebbe auspicabile anche per il voto calcolato sulla base dell’ammontare dei crediti, risultando a nostro modo di vedere soluzione più idonea a riflettere l’effettiva volontà del ceto creditorio, pur nell’ambito della logica del principio di maggioranza.