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Attualità

Il voto dei creditori privilegiati nel concordato preventivo: nuovi scenari?

Dalla Legge Fallimentare al Codice della Crisi alla luce di due recenti pronunzie

29 Aprile 2024

Filippo Andrea Chiaves, Senior Counsel, Hogan Lovells

Di cosa si parla in questo articolo

Il diritto di voto dei creditori privilegiati nel concordato preventivo rappresenta un aspetto delicato da affrontare in via preventiva in sede di predisposizione dei piani concordatari. Il presente contributo esamina le norme previste in tema dalla Legge Fallimentare, dal Codice della Crisi e affronta una recente evoluzione giurisprudenziale che offre significativi spunti di mutamento di prospettiva.


L’analisi di due recenti pronunzie innovative consente di affrontare la problematica del voto dei creditori muniti di privilegio nel concordato preventivo, nella vigenza della Legge Fallimentare e nell’attuale contesto del Codice della Crisi.

1. Il diritto di voto dei creditori privilegiati in ambito concordatario

1.1 Legge Fallimentare

Prima della novella intervenuta con il D. Lgs. 169/2007, nella Legge Fallimentare (“L.F.”, R.D. 267/1942 e successive modifiche) non esistevano disposizioni specifiche sul trattamento dei creditori privilegiati nel contesto del concordato che consentissero di elaborare un piano che prevedesse pagamenti dilazionati e in percentuale ai creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, a differenza di quanto potesse avvenire con riferimento al concordato fallimentare (artt. 127 ss. L.F.) ove, per i creditori privilegiati, pignoratizi o ipotecari era previsto il pagamento integrale e immediato delle loro spettanze[1].

Il diritto di voto dei prelatizi era strettamente correlato con le tempistiche per il loro soddisfacimento, laddove la giurisprudenza di legittimità aveva fornito contributi utili da un punto di vista operativo, considerando che fosse possibile dilazionare il pagamento dei crediti privilegiati oltre l’anno dall’omologazione del concordato, purché ai titolari di tali crediti venisse accordato diritto di voto e fosse loro assicurata la corresponsione di interessi.[2] L’ammissibilità di una tale dilazione trovava poi conferma nella normativa sul concordato con continuità aziendale – introdotto nel 2012[3] – all’art. 186 bis comma 2 lett. c L.F. ove era previsto che il piano concordatario potesse “prevedere, fermo quanto disposto all’art. 160, comma 2, una moratoria fino a due anni dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. In tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente non hanno diritto al voto”.[4]

Al di là del generale principio che sanciva il pagamento integrale e immediato dei creditori privilegiati, se essi rinunciavano, in tutto o in parte, alla prelazione, o se la proposta di concordato ne prevedeva una soddisfazione non integrale, gli stessi, “per la parte del credito non coperta dalla garanzia” o “per la parte residua del credito”, erano rispettivamente considerati chirografari ai fini del voto ex art. 127, commi 3 e 4 L.F.

Tuttavia, mentre nella prima ipotesi – parte del credito non coperta dalla garanzia – una porzione del credito era considerata chirografaria sia ai fini del voto, sia ai fini del pagamento (della percentuale prevista per i creditori chirografari per la parte di credito non coperta dalla garanzia), nella seconda ipotesi – parte residua del credito – il credito era considerato chirografario solo ai fini del voto per la porzione residua del credito, in realtà destinata ad essere estinta con il pagamento della percentuale prevista nella proposta concordataria, cosicché quel creditore partecipava al voto non per la percentuale che gli fosse corrisposta, bensì per quella che non gli sarebbe mai stata corrisposta.

Data l’identità di ratio legis e di situazioni, veniva ritenuto che questi princìpi fossero applicabili anche al concordato preventivo, sì da consentire ai creditori privilegiati non soddisfatti integralmente di votare insieme ai creditori chirografari solo per la parte residua del credito e senza che agli stessi privilegiati fosse poi dovuta la percentuale prevista per i creditori chirografari.

Il D. Lgs. 169/2007 poi si occupava di disciplinare espressamente il voto dei creditori privilegiati nel concordato preventivo attraverso la modifica dell’art. 177 L.F.[5] che ai commi 2 e 3 riprendeva quanto previsto dall’art. 127, commi 3 e 4, L.F. in materia di concordato fallimentare,[6] disponendo: “2. I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, ancorché la garanzia sia contestata, dei quali la proposta di concordato prevede l’integrale pagamento, non hanno diritto al voto se non rinunciano in tutto od in parte al diritto di prelazione. Qualora i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca rinuncino in tutto o in parte alla prelazione, per la parte del credito non coperta dalla garanzia sono equiparati ai creditori chirografari; la rinuncia ha effetto ai soli fini del concordato. 3. I creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell’articolo 160, la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito.”.

Da ultimo, nella disciplina sul concordato in continuità aziendale di cui art. 186 bis L.F. si disponeva che se “sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione”, “i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente non hanno diritto al voto”.

1.2 Codice della Crisi

Il trattamento dei creditori privilegiati in ambito concordatario è disciplinato nel Codice della Crisi d’Impresa e Insolvenza (“CCII”, D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 in attuazione della legge 155/2017,) dall’art. 84, ove in particolare il comma 5 riprende – integrandola – la disposizione dell’art. 160, comma 2 L.F. circa la possibilità di soddisfacimento non integrale dei creditori privilegiati e il declassamento a chirografo della parte incapiente (c.d. falcidiabilità dei crediti privilegiati). La norma recita: “I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, possono essere soddisfatti anche non integralmente, purché in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, attestato da professionista indipendente. La quota residua del credito è trattata come credito chirografario”.[7]

Con specifico riferimento al voto dei creditori privilegiati in ambito concordatario, tale aspetto è regolato dall’art. 109 CCII che tratta delle maggioranze per l’approvazione del concordato, disciplinando ai commi 3 e 4 il voto dei creditori muniti di pegno, ipoteca o privilegio: “3. I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, ancorché la garanzia sia contestata, dei quali la proposta di concordato prevede l’integrale pagamento, non hanno diritto al voto se non rinunciano in tutto od in parte al diritto di prelazione. Qualora i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca rinuncino in tutto o in parte alla prelazione, per la parte del credito non coperta dalla garanzia sono equiparati ai creditori chirografari; la rinuncia ha effetto ai soli fini del concordato. 4. I creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito.

Queste norme confermano la regola, già invalsa con la Legge Fallimentare, secondo cui i creditori prelatizi non votano se ne è previsto l’integrale pagamento, a meno che (ai soli fini del concordato) essi non rinuncino in tutto o in parte al diritto di prelazione. Se interviene rinuncia, per la parte del credito non coperta dalla garanzia, essi sono equiparati ai creditori chirografari e identica equiparazione per la parte residua del credito è prevista per i creditori privilegiati dei quali la proposta non prevede l’integrale pagamento.[8]

Da ultimo, per il concordato in continuità aziendale, è escluso il diritto di voto dei prelatizi soddisfatti integralmente in denaro entro sei mesi dall’omologa (un mese nel caso delle prestazioni di lavoro), ferma la sussistenza delle garanzie sottostanti fino a tale momento; altrimenti, i prelatizi votano e, per la parte incapiente, sono inseriti in una classe distinta, prevedendosi all’art. 109, comma 5 CCII che i “creditori muniti di diritto di prelazione non votano se soddisfatti in denaro, integralmente, entro centottanta giorni dall’omologazione, e purché la garanzia reale che assiste il credito ipotecario o pignoratizio resti ferma fino alla liquidazione, funzionale al loro pagamento, dei beni e diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Nel caso di crediti assistiti dal privilegio di cui all’articolo 2751-bis , n. 1, del codice civile, il termine di cui al quarto periodo è di trenta giorni.

Se non ricorrono le condizioni di cui al primo e secondo periodo, i creditori muniti di diritto di prelazione votano e, per la parte incapiente, sono inseriti in una classe distinta.

2. Recenti pronunzie

Giova rilevare come recente giurisprudenza di merito abbia messo in dubbio il principio per cui i creditori privilegiati non soddisfatti integralmente possano votare insieme ai chirografari solo per la parte residua del credito.

Su questo profilo si è recentemente pronunciato il Tribunale di Milano con sentenza del 5 febbraio 2024. Il Tribunale ha ritenuto che nell’ambito del concordato preventivo disciplinato dal CCII, con riguardo alla suddivisione tra creditori ‘interessati’ e ‘non interessati’ al piano, è creditore ‘interessato’ il titolare di un privilegio che viene soddisfatto con modalità diverse dal denaro ovvero in un termine superiore a quello previsto dal comma 5 del sopracitato art. 109 CCII.

Tale norma prevede che il concordato in continuità aziendale[9] è approvato se tutte le classi votano a favore e in ciascuna classe la proposta è approvata se è raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto oppure, in mancanza, se hanno votato favorevolmente i due terzi dei crediti dei creditori votanti, purché abbiano votato i creditori titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe.

Inoltre, come visto, i creditori privilegiati non votano se (i) integralmente soddisfatti (ii) in denaro (iii) entro sei mesi dall’omologa; altrimenti, essi votano e, per la parte incapiente, sono inseriti in una classe distinta.[10]

Nel caso affrontato dal Tribunale milanese, la parte capiente del debito erariale ex art. 2752, comma 2 c.c. non era stata originariamente inclusa in una classe ai fini del voto. Pertanto, il Tribunale ha rilevato che secondo le previsioni di cui all’art. 109 CCII, la qualificazione di un creditore quale parte ‘non interessata’ – che come tale, dunque, non vota – richiede tre condizioni che devono ricorrere cumulativamente:il Tribunale ha rilevato che, secondo le previsioni di cui all’art. 109 CCII, la qualificazione di un creditore quale parte non interessata richiede tre condizioni che devono ricorrere congiuntamente: il soddisfacimento in denaro, il soddisfacimento del credito in misura integrale e il pagamento entro 180 giorni dalla omologa”. Nel caso di specie, la proposta non prevedeva che il credito erariale assistito da privilegio ex art. 2752 comma 2 c.c. venisse soddisfatto integralmente entro 180 giorni dalla omologazione, proponendosi un complessivo soddisfacimento non integrale.[11]

Il Tribunale, pertanto, sul presupposto secondo cui la soddisfazione nei limiti di capienza del valore di liquidazione non potesse assimilarsi al soddisfacimento in misura integrale, ha rilevato che il credito erariale ex art. 2752 comma 2 c.c. doveva essere ammesso al voto per l’intero, con la conseguenza che anche per la misura ritenuta “capiente” tale credito andava inserito in una classe al fine di poter consentire l’esercizio del diritto di voto.

La menzionata interpretazione del dato letterale dell’art. 109 CCII è stata accolta anche da una precedente decisione del Tribunale di Treviso[12] del 10 luglio 2023, ove si è ritenuta maggiormente aderente al dato letterale dell’art. 109, comma 5 CCII l’interpretazione tesa ad accordare il diritto di voto al creditore privilegiato parzialmente capiente rispetto al valore di liquidazione ex art. 84, comma 6 CCII anche per la parte di credito coperta da garanzia oltre 180 giorni, con diritto di voto tanto per la parte di credito privilegiata tanto per la parte residua del credito degradata a chirografo, da inserirsi in classe distinta.

Il Tribunale trevigiano ha ritenuto che sia più corretto commisurare il diritto di voto del creditore privilegiato all’intero credito, e non già all’entità della perdita economica conseguente al ritardo dell’inadempimento, poiché l’orientamento che aveva delineato questo secondo criterio aveva ritenuto applicabile l’art. 86 CCII nella sua originaria formulazione che prevedeva, per l’appunto, il criterio del differenziale fra il credito privilegiato maggiorato di interessi e il valore attuale dei pagamenti.[13]

A sostegno di tale impostazione, il Tribunale trevigiano afferma che “la possibilità di attribuire il diritto di voto per l’intero ammontare del credito non rischia di attribuire un peso eccessivo al voto dei privilegiati dilazionati con rischio di inquinamento delle maggioranze, trattandosi di scelta tendenzialmente neutra dal momento che i crediti privilegiati dilazionati sono inseriti in apposita classe, nell’ambito della quale vengono applicati criteri identici e che di regola, ai fini del raggiungimento delle maggioranze, è necessario il voto dell’unanimità delle classi”.

Dall’analisi delle pronunzie esaminate emerge l’esigenza di voler commisurare il diritto di voto del creditore privilegiato all’intero credito e non solo per la parte incapiente: è evidente che un simile approccio comporta conseguenze immediate e pratiche nell’ambito della formazione delle classi, del voto e delle maggioranze ai fini dell’approvazione del piano concordatario, in definitiva impattando sulle modalità di formulazione della proposta di concordato in presenza di creditori prelatizi.

3. La predisposizione del piano concordatario e la costruzione delle classi alla luce dei nuovi orientamenti

Come noto, la disciplina delle classi nel concordato regola da un lato l’interesse del debitore ad ottenere il maggior consenso possibile in vista del risanamento dell’impresa, dall’altro quello dei creditori a partecipare alla formazione della volontà in modo corretto. Nella vigenza della Legge Fallimentare, la regola della rilevanza della volontà dei creditori era quella della maggioranza[14] e il Codice della Crisi ha confermato tale previgente regola[15] (maggioranza assoluta del ceto creditorio e delle classi ammesse al voto) se il concordato assuma una veste puramente liquidatoria (ferma la necessità che la proposta persegua il miglior interesse per i creditori), mentre nel concordato in continuità, l’art. 85, comma 3 CCII impone l’obbligatorietà della suddivisione dei creditori in classi e la disciplina è focalizzata sul sistema di costruzione delle classi e ritiene sufficiente che i creditori abbiano un trattamento non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria, assicurato il quale (nella misura in cui le classi siano formate correttamente) la proposta di concordato può procedere per garantire comunque la prosecuzione dell’attività d’impresa.

Con la novità che sulla proposta concordataria votano a certe condizioni i soci e i creditori prelatizi, il CCII introduce la regola sulla distribuzione del valore eccedente a quello della liquidazione, che si intreccia alla questione relativa al voto dei privilegiati. Costoro, se da un lato non votano qualora pagati integralmente entro 180 giorni dall’omologa, altrimenti votano e per la quota eventualmente incapiente sono inseriti in un’altra classe, e ciò comporta che i prelatizi incapienti possano essere classati due volte: per la quota privilegiata (se non soddisfatta nel termine di 180 giorni e quale che sia la fonte del suo pagamento: beni materiali, immateriali o eccedenti il valore della liquidazione) e per la quota chirografaria (se incapiente).

Orbene, il contesto è quello nel quale il piano concordatario in continuità aziendale è approvato dai creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto e, in presenza di diverse classi, se la maggioranza dei crediti ammessi al voto è raggiunta nel maggior numero di classi. In siffatte circostanze, è evidente che l’inserimento dei privilegiati in due classi e la commisurazione del diritto di voto del creditore privilegiato all’intero credito e non solo per la parte incapiente, comportano che nel processo di ideazione e predisposizione della proposta di concordato divenga vieppiù importante soppesare il trattamento riservato a ciascuno dei creditori privilegiati e misurare con anticipo il peso del voto che potrà essere espresso da ciascuno.

Invero, alla luce delle superiori considerazioni e degli orientamenti della giurisprudenza di merito da ultimo esaminati, accordare il diritto di voto al creditore privilegiato parzialmente capiente tanto per la parte di credito privilegiata tanto per la parte residua del credito degradata a chirografo, inserendo il credito in una classe anche per la misura ritenuta “capiente”, può significare conseguenze fortemente impattanti sugli equilibri di voto tra le vari classi di creditori contraddistinti dai rispettivi ranking.

In definitiva, se l’orientamento in esame sarà corroborato attraverso la conferma di ulteriori pronunzie giurisprudenziali – come parrebbe immaginabile – esso è destinato a incidere sulla strategia di redazione dei piani concordatari per il forte impatto che il voto per l’intero dei creditori prelatizi, e la loro collocazione in una classe distinta, è destinato a generare nell’ambito della formazione delle maggioranze per l’approvazione del piano concordatario.

 

[1] Prima della novella del 2005 (cfr. modifiche introdotte dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in legge con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005 n. 80) , si riteneva che il pagamento dei creditori privilegiati dovesse intervenire integralmente e subito dopo l’omologazione del concordato e tale impostazione si desumeva, in primo luogo, interpretando a contrario l’art. 160 L.F. Il pagamento integrale e immediato spiegava la ragione del perché i creditori privilegiati non venissero chiamati al voto (salvo volontaria rinuncia al privilegio), trattandosi di soggetti ‘indifferenti’ alle sorti della domanda concordataria (cfr. Cass. civ., Sez. I, 26 novembre 1992, n. 12632).

[2] Cfr. Cass. civ., Sez. I, 18 giugno 2020, n. 11882. Oltre a stabilire che i creditori privilegiati debbono essere ammessi al voto se la moratoria per soddisfarli eccede il termine di un anno dall’omologazione del concordato, la Cassazione ha altresì stabilito le modalità di determinazione della perdita causata dal ritardo nel pagamento, questione di rilievo ai fini del computo del diritto di voto dei creditori privilegiati dilazionati, che può essere calcolato sulla base del differenziale tra il valore del credito all’epoca della presentazione della domanda concordataria e il valore al termine della moratoria. In tal modo si “riesce infatti a quantificare ciò che il creditore privilegiato perde in termini di chance di investimento” (cfr. Relazione Illustrativa al decreto correttivo del CCII, D. Lgs. 26.10.2020 n. 147, sub art. 86 CCII).

[3] D.L. 22 giugno 2012, n. 83 convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134.

[4] …ove le parole “due anni” sono state sostituite alle precedenti “un anno” nel 2021. Cfr. art. 20 comma 1, lettera g) del D.L. 24 agosto 2021, n. 118 convertito in l. 21 ottobre 2021, n. 147.

[5] Il precedente testo dell’articolo 177 L.F. non disciplinava il voto dei creditori privilegiati. “Il concordato deve essere approvato dalla maggioranza dei creditori votanti, la quale rappresenti due terzi della totalità dei crediti ammessi al voto. I creditori che hanno diritto di prelazione sui beni del debitore non partecipano al voto a meno che rinuncino al diritto di prelazione. La rinuncia può essere anche parziale purché non sia inferiore alla terza parte dell’intero credito tra capitale e accessori. Gli effetti della rinuncia cessano se il concordato non ha luogo o è posteriormente annullato o risoluto. Il voto di adesione dato senza dichiarazione di limitata rinuncia importa rinuncia all’ipoteca, al pegno o al privilegio per l’intero credito. Sono parimenti esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze il coniuge del debitore, i suoi parenti e affini fino al quarto grado, cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta di concordato”.

[6] Ai commi 3 e 4 dell’art. 127 L.F. era previsto che “3. Qualora i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca rinuncino in tutto o in parte alla prelazione, per la parte del credito non coperta dalla garanzia sono assimilati ai creditori chirografari; la rinuncia ha effetto ai soli fini del concordato. 4. I creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell’articolo 124, terzo comma, la soddisfazione non integrale, sono considerati chirografari per la parte residua del credito”.

[7] L. Pecorella, Commento sub. art. 84 D. Lgs. 12-01-2019, n. 14 – Finalità e contenuti del concordato preventive, in banche dati One Legale. In sintesi, il piano può prevedere che i prelatizi siano soddisfatti parzialmente purché sia certificato da un terzo professionista che il trattamento non sia deteriore rispetto a quanto realizzabile attraverso la vendita sul mercato in caso di liquidazione del bene su cui insisteva la prelazione, con l’utile precisazione che in tale calcolo si debbono considerare anche i costi e le relative spese di procedura.

[8] A. Pezzano, M. Ratti, Commento sub. art. 109 D. Lgs. 12-01-2019, n. 14 – Finalità e contenuti del concordato preventivo, in banche dati One Legale.

[9] In primo luogo dalla lettura della disposizione emerge come una novità rispetto al passato consista nell’aver differenziato la disciplina delle maggioranze per l’approvazione del concordato tra i concordati in continuità aziendale (appunto disciplinati al comma 5) e gli altri tipi di concordato (comma 1). Tale diversificazione è, evidentemente, la diretta conseguenza dell’impostazione di favor che il D. Lgs. 14/2019 ha riservato al concordato in continuità aziendale. Infatti, sebbene l’art. 84 CCII, al pari di quanto previsto dell’art. 160 L.F., abbia conservato la vocazione atipica del contenuto del concordato preventivo, prevedendo che il soddisfacimento dei creditori possa avvenire “in qualsiasi forma”, cionondimeno, tra i tipi di concordato preventivo “tipizzati”, quello in continuità aziendale viene collocato al primo posto, cioè prima della liquidazione del patrimonio e dell’attribuzione delle attività a un assuntore.

[10] A. Pezzano, M. Ratti, Commento sub. art. 109 D. Lgs. 12-01-2019, n. 14 – Finalità e contenuti del concordato preventivo, in banche dati One Legale.

[11]Nel caso di specie, la proposta non prevede che il credito erariale assistito da privilegio ex art 2752 comma 2 c.c. venga soddisfatto integralmente entro 180 giorni dalla omologazione, proponendosi un complessivo soddisfacimento non integrale. Il Tribunale pertanto sul presupposto secondo cui la soddisfazione nei limiti di capienza del valore di liquidazione non potesse assimilarsi al soddisfacimento in misura integrale (peraltro riferito solo ad una parte del credito complessivo) rilevava che il credito erariale ex art. 2752 comma 2 c.c. doveva essere ammesso al voto per l’intero, con la conseguenza che , anche per la misura ritenuta “capiente”, tale credito andava inserito in una classe al fine di poter consentire l’esercizio del diritto di voto” (Tribunale di Milano, sentenza 5 febbraio 2024).

[12] Tribunale Treviso, Sez. II, Decr., 10 luglio 2023.

[13] Cfr. Cass. 4 febbraio 2020, n. 2422 e in precedenza Cass. Sez. I, 9 maggio 2014, n. 10112 secondo cui “un pagamento dilazionato implica un soddisfacimento solo parziale dei creditori, perché il ritardo con il quale questi conseguono la disponibilità delle somme loro spettanti si traduce in una perdita economica”; perdita economica che corrisponderà, dunque, all’importo per il quale andranno ammessi al voto i creditori privilegiati.

[14] Dovendo il concordato perseguire il miglior interesse dei creditori, tanto bastava se la maggioranza di essi riteneva soddisfacente la sistemazione secondo il piano concordatario.

[15] Il legislatore del CCII all’art. 109, dopo aver confermato il principio secondo cui per l’approvazione del concordato è sufficiente che si esprimano a favore della proposta i creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto, aggiunge che, nel caso in cui un unico creditore sia titolare di crediti in misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi al voto, “il concordato è approvato se, oltre alla maggioranza di cui al periodo precedente, abbia riportato la maggioranza per teste dei voti espressi dai creditori ammessi al voto”, ferma restando la regola per cui in caso di formazioni di classi il concordato è approvato se la maggioranza dei crediti ammessi al voto è raggiunta anche nel maggior numero di classi.

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