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Approfondimenti

Il voto maggiorato alla luce delle ultime novità del Decreto Competitività

2 Ottobre 2014

Avv. Romina Guglielmetti (con il contributo del Dott. Alberto Mozzi), STARCLEX – Studio Legale Associato Guglielmetti

Di cosa si parla in questo articolo

Con il decreto legge n. 91 del 24 giugno 2014 (il “Decreto Competitività”), convertito con modificazioni dalla legge n. 116 dell’11 agosto 2014 (entrata in vigore il 21 agosto 2014)1, il legislatore ha introdotto alcune importanti novità nella disciplina delle società, mirando a semplificarne la normativa con l’obiettivo di favorire l’accesso al mercato di capitali di rischio.

Al riguardo, di particolare interesse è la modifica al D.Lgs. n. 58/98, che, con il nuovo articolo 127-quinquies, consente alle società quotate o quotande di inserire nei propri statuti il c.d. voto maggiorato.

Da un punto di vista sostanziale, la norma rimette all’autonomia statutaria le modalità per l’attribuzione del voto maggiorato e per l’accertamento dei relativi presupposti, posti ex lege, i seguenti limiti:

  • quantitativo: la maggiorazione può essere pari fino a un numero massimo di due voti per ciascuna azione2;
  • temporale: le azioni a cui viene assegnato il voto maggiorato devono essere appartenute al medesimo soggetto per un periodo continuativo non inferiore a due anni dalla data di iscrizione in un apposito elenco istituito a cura delle società.

Da un punto di vista procedurale, la competenza ad approvare gli statuti spetta all’Assemblea straordinaria, senza che però dalla decisione scaturisca il diritto di recesso a favore dei soci assenti o dissenzienti ai sensi e per gli effetti dell’art. 2437 del c.c.3. In sede di prima applicazione è stato altresì previsto, con una disposizione inserita in sede di conversione del Decreto, che “le deliberazioni di modifica dello statuto assunte entro il 31 gennaio 2015 da società aventi titoli quotati nel mercato regolamentare italiano iscritte nel registro delle imprese alla data di entrata in vigore della legge di conversioni del […] decreto […] sono prese, anche in prima convocazione, con il voto favorevole di almeno la maggioranza del capitale rappresentato in assemblea”.

Ad eccezione della dubbia opportunità di inserire il comma di cui sopra4, la portata innovativa di queste disposizioni è di non poco conto, perché, nel solco tracciato da ultimo dalla Consob nello scorso febbraio5, viene così superato il tradizionale principio “one share one vote”, di cui all’art. 2351, quarto comma, c.c. (pure emendato dal Decreto Competitività6) e, con esso, – si auspica – la riluttanza di molte piccole e medie imprese ad accedere al mercato di capitali e a ricorrere ad operazioni di ricapitalizzazione potenzialmente efficienti.

Infatti, il precedente assetto normativo, basato appunto sul c.d. voto proporzionale, costituisce sicuramente una tutela per chi più investe nelle società7, ma presenta di converso lo svantaggio di non stimolare l’apertura del capitale in quelle imprese in cui il timore della perdita del controllo rappresenta di per sé una dirimente alla scelta di quotare le proprie azioni, con conseguente rinuncia a una possibile (spesso) fonte di finanziamento.

Tali titubanze con il voto maggiorato potrebbero essere superate, anche in considerazione del fatto che, con la sua introduzione, è offerta la facoltà di scindere dalla maggioranza del capitale sociale il potere gestionale dei soci-fondatori, consentendolo loro anche di ammortizzare i costi fissi delle operazioni di quotazione o di aumento di capitale, mediante il collocamento sul mercato di una percentuale più elevata di azioni, mantenendo il controllo societario.

Non solo: il voto maggiorato, in quanto riservato ai soci fondatori o, comunque, ai soggetti più “fedeli” alla società, permette in linea di principio, inoltre, di rafforzare il raggiungimento degli obiettivi imprenditoriali, limitando alcune potenziali “interferenze” di terzi non interessati a investimenti di lungo periodo, che, comunque, manterrebbero integri tutti i loro diritti (patrimoniali ed amministrativi), con la sola eccezione della determinazione dei quorum costitutivi e deliberativi dell'assemblea sulle materie indicate in Statuto.

In altre parole, il voto maggiorato offre l’opportunità di fidelizzare gli investitori che credono nel progetto aziendale, scoraggiando iniziative di natura più prettamente speculativa e, per l’effetto, di rafforzare l’assetto dell’azionariato.

Tuttavia, accanto a questi benefici del voto maggiorato ne vanno anche considerati i potenziali effetti negativi, tra cui, in primis, la limitazione della contendibilità del controllo, che potrebbe, di fatto, rendere meno appetibili dal mercato le società che adottano questo strumento8. Infatti, se il sistema proporzionale garantisce l’acquisto del controllo societario mediante l’acquisizione di partecipazioni di rilievo, così non è in un sistema non governato dal voto maggioritario, in cui da un punto di vista meramente matematico, un azionista potrebbe mantenere il controllo possedendo il solo 26% del capitale9.

Il rischio conseguente è, dunque, che in assenza di un azionariato diffuso si determini un immobilismo disincentivante per gli investitori e limitativo alla competitività delle imprese10.

Le conclusioni sugli effetti (positivi o negativi) dell’introduzione della norma potranno però essere tratte soltanto quando – e se – diventerà effettivamente operativa e molto dipenderà dal modo in cui verrà in concreto recepita negli statuti.

Infatti, come anticipato, l’iniziativa sull’introduzione del voto maggiorato è rimessa all’autonomia statutaria, per cui i soci, senza incorrere nel pericolo del recesso, avranno la possibilità di modularlo, entro certi limiti, a seconda delle proprie esigenze. Il punto cruciale è come ciò verrà fatto e quali saranno le prassi operative che si consolideranno al riguardo, posto che il margine di manovra pare nel suo complesso piuttosto esteso.

L’art. 127-quinquies del TUF recita, infatti, che “gli statuti stabiliscono le modalità per l’attribuzione del voto maggiorato e per l’accertamento dei relativi presupposti, prevedendo in ogni caso un apposito elenco”.

Tra le “modalità” di cui sopra rientrano, ad esempio:

(i) la determinazione della durata continuativa di possesso delle azioni a decorrere dalla quale viene attribuito il voto maggiorato, con riferimento alla quale è stato indicato ex lege soltanto il limite minimo (ventiquattro mesi), ma non quello massimo;

(ii) la facoltà di rinuncia irrevocabile al voto maggiorato da parte degli aventi diritto;

(iii) la disciplina di alcuni casi di cessione a titolo oneroso o gratuito dell’azione, posto che è possibile derogare alle previsioni normative secondo cui il voto maggiorato:

  1. è conservato in caso di successione per causa di morte nonché in caso di fusione e scissione del titolare delle azioni;
  2. si estende alle azioni di nuova emissione in caso di aumento di capitale ai sensi dell’articolo 244211 del codice civile,

mentre “la cessione dell’azione diretta o indiretta di partecipazioni di controllo in società che detengono azioni a voto maggiorato in misura superiore alla soglia prevista dall’art. 120, secondo comma [N.d.r. del TUF] comporta [N.d.r. ex lege] la perdita della maggiorazione del voto12;

(iv) la determinazione del computo della maggiorazione del diritto di voto per la determinazione dei quorum costitutivi e deliberativi che fanno riferimento ad aliquote del capitale sociale, fermo rimanendo il principio che la maggiorazione non può avere effetto su diritti diversi dal diritto di voto13.

Gli ambiti di discrezionalità sopra elencati non sono di poco conto, perché dalla loro formulazione/modulazione molto potrebbe dipendere in termini di apprezzamento da parte del mercato.

Solo per fare un esempio, di primaria importanza sarà il perimetro statutario di definizione delle materie sulle quali verrà ancorato il diritto di voto, perché se troppo esteso potrebbe costituire un disincentivo sia all’investimento quanto alla partecipazione attiva alla vita assembleare.

Consigliabile al riguardo è l’adozione di clausole che identifichino selettivamente gli argomenti ritenuti di capitaria importanza per l’azionista di controllo, quali quelli inerenti la nomina degli organi sociali o la determinazione di operazioni straordinarie pre-definite (aumenti di capitale, conferimenti, fusioni, scissioni, etc).

Ciò consentirebbe di mediare tra l’esigenza di rafforzamento dell’assetto di controllo e di favorire il coinvolgimento degli azionisti di minoranza, in linea con i principi dettati anche dalla Direttiva sugli azionisti, come recentemente emendata14.

Altro ambito di autonomia è quello lasciato agli azionisti con riferimento alle fusioni e alle scissioni e alle operazioni di conferimento, laddove il comma quarto dell’art.127-quinquies stabilisce che “il progetto di fusione o di scissione di una società il cui statuto prevede la maggiorazione del voto può prevedere che il diritto di voto maggiorato spetti anche alle azioni spettanti in cambio di quelle di quelle cui è attribuito voto maggiorato. Lo statuto può prevedere che la maggiorazione del voto si estenda proporzionalmente15 alle azioni emesse in esecuzione di un aumento di capitale mediante nuovi conferimenti”.

Tra gli aspetti operativi sui quali oggi ancora non vi sono gli elementi per esprimere una valutazione compiuta vi è anche sicuramente la modalità di istituzione dell’elenco nel quale le società che si avvarranno del voto maggiorato dovranno iscrivere coloro che hanno maturato i presupposti per esercitarlo.

Al riguardo, fondamentale sarà il coordinamento con gli intermediari presso i quali sono depositate le azioni, senza il cui contributo risulterebbe piuttosto complesso (o addirittura impossibile) accertare, tra l’altro, che il possesso dei titoli azioni sia stato effettivamente continuativo per il periodo definito dallo Statuto.

Tali elenchi dovranno poi essere coerenti con le disposizioni di attuazione dell’art. 127-quinquies del TUF, mediante le quali Consob, con proprio regolamento, disciplinerà la trasparenza degli assetti proprietari e – fermi restando gli obblighi di comunicazione previsti in capo ai titolari di partecipazioni rilevanti – l’osservanza delle disposizioni di cui al Titolo II, Capo II, Sezione II del TUF (“Offerte pubblico di acquisto obbligatorie”)16.

Gli aspetti da approfondire sono dunque ancora molti, alcuni dei quali riguardano anche il coordinamento delle norme in esame con quelle più specificamente dedicate alle piccole e medie imprese17, ad esempio in materia di OPA.

Tuttavia, prima di avere risposta a molti degli interrogativi di cui sopra sarà necessario attendere l’emanazione da parte della Consob del regolamento attuativo, previsto entro il 31 dicembre 2014, rimanendo sino a loro le azioni a voto multiplo uno strumento di difficile utilizzo in concreto.

 

1

Con riferimento alle modifiche introdotte in sede di conversione relativamente al voto maggiorato, si veda la seguente nota 4.


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2

Trattasi del primo comma dell’art. 127-quinquies del TUFsecondo cui “gli statuti possono disporre che sia attribuito voto maggiorato, fino a un massimo di due voti, per ciascuna azione appartenuta al medesimo soggetto per un periodo continuativo non inferiore a ventiquattro mesi a decorrere dalla data di iscrizione nell’elenco previsto dal comma 2. In tal caso, gli istituti possono altresì prevedere che colui al quale spetta il diritto di voto possa irrevocabilmente rinunciare, in tutto o in parte, al voto maggiorato”.


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3

Art. 127-quinquies, sesto comma, del TUF, introdotto dal D. L. n. 91/2014, così come convertito dalla L. n. 116/2014: “la deliberazione di modifica dello statuto con cui viene prevista la maggiorazione del voto non attribuisce il diritto di recesso ai sensi dell’art. 2437 del codice civile”.


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4

Si tratta del comma 1-bis, che introduce una deroga alle disposizioni civilistiche che prevedono che le modifiche statutarie debbano essere approvate con le maggioranze qualificate dei due terzi, che, ad avviso di chi scrive, non tutela adeguatamente le minoranze, né pare giustificata da alcuna ragione di urgenza oggettiva.


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5

S. Alvaro – A. Ciavarella – D. D’Eramo – N. Linciano, La deviazione dal principio “un’azione – un voto” e le azioni a voto multiplo in Quaderni Giuridici, Roma, Consob, 2014. Dalle considerazioni riportate nel Quaderno Consob, la possibilità di introdurre, per le società quotate, azioni a voto multiplo (cosiddette loyalty shares) avrebbe certamente un effetto benefico per le stesse, incentivando una più attiva partecipazione alla vita societaria. Il voto multiplo, subordinato al possesso dell’azione da parte dello stesso soggetto per un periodo di tempo non inferiore a ventiquattro mesi, da un lato è in grado di incentivare l’investimento a lungo termine, scoraggiando, di contro, approcci di tipo speculativo; dall’altro, è in grado di garantire una maggiore partecipazione alla governance societaria ai soggetti più fedeli al progetto e interessati a profitti a lungo termine. La Consob ha, però, rilevato alcune criticità principalmente legate alla necessaria tutela dell’azionariato minoritario, potenzialmente pregiudicato dal voto maggiorato.


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6

L’art. 20 D. L. n. 91/2014, così come emendato dalla L. n. 116/2014, ha modificato l’art. 2351, quarto comma, c.c. introducendo la possibilità, per le società non quotate, di inserire nel proprio Statuto una clausola che consenta la creazione di azioni con diritto di voto plurimo, anche per particolari argomenti o subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative, sino ad un massimo di tre voti per ciascuna azione.


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7

La norma codicistica fissava il principio one share – one vote, volto a garantire un rafforzamento del controllo societario in capo all’investitore di maggioranza. In altre parole, il principio di proporzionalità consente di mantenere uno stretto rapporto tra investimento e rischio, da cui deriva per l’azionista di maggioranza l’incentivo a massimizzare il valore della società, eliminando gli interessi personali in conflitto con l’interesse sociale (Cfr. M.C. Jensen e W.H. Meckling, Theory of the Firm: Managerial Behavior, Agency Costs and Ownership Structure, Journal of Financial Economics 3, 1976, pag. 305 – 360). La dottrina economica non si esprime univocamente sui benefici del principio proporzionale, avanzando, bensì, differenti problematiche trattate compiutamente nel citato Quaderno Consob (Cfr. precedente nota n. 5).


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8

N. Abriani – S. Ambrosini – O. Cagnasso – P. Montalenti, in La società per azioni, Padova, 2010, pag. 305.


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9

La disciplina delle azioni a voto maggioritario prevista per le società quotate (o in fase di quotazione) si distingue da quella sancita per le azioni a voto plurimo, la cui emissione è generalmente vietata – salvo i casi tassativamente disciplinati – per le quotate alla luce del dettato dell’art. 127-sexies del TUF ed in deroga a quanto disposto dal novellato art. 2351, quarto comma, c.c.. Difatti, il primo comma dell’art. 127-quinquies del TUF pone come limite la possibilità di attribuire al massimo due voti per ogni azione al raggiungimento del limite temporale previsto dallo Statuto. Viceversa, il novellato dettato codicistico prevede, con riferimento alle azioni a voto plurimo, che ad ogni singola azione possa essere attribuito un massimo di tre voti.


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10

L’assetto societario italiano, caratterizzato da assetti di controllo spesso di matrice famigliare, molto si differenzia rispetto a quello anglosassone, caratterizzato invece da società ad azionariato diffuso, che, per loro natura, risultano altamente contendibili.


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11

Art. 2442 c.c.: “L’assemblea può aumentare il capitale, imputando a capitale le riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili. In questo caso le azioni di nuova emissione devono avere le stesse caratteristiche di quelle in circolazione, e devono essere assegnate gratuitamente agli azionisti in proporzione di quelle da essi già possedute. L’aumento di capitale può attuarsi anche mediante l’aumento del valore nominale delle azioni in circolazione”.


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12

Il terzo comma dell’art. 127-quinquies del TUF è stato novellato in sede di conversione del D. L. n. 91/2014 dalla L. n. 116/2014. Di seguito si riporta il testo originario del Decreto: “3. La cessione dell'azione a titolo oneroso o gratuito comporta la perdita della maggiorazione del voto. Se lo statuto non dispone diversamente, il diritto di voto maggiorato: a) viene meno in caso di cessione diretta o indiretta di partecipazioni di controllo in società o enti che detengono azioni a voto maggiorato in misura superiore alla soglia prevista dall'articolo 120, comma 2; b) è conservato in caso di successione per causa di morte nonché in caso di fusione e scissione del titolare delle azioni; c) si estende alle azioni di nuova emissione in caso di aumento di capitale ai sensi dell'articolo 2442 del codice civile.”


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13

Secondo quanto disposto dal quinto comma del nuovo art. 127-quinquies del TUF, le azioni a voto multiplo non costituiscono una categoria di azioni speciali ex art. 2348 c.c.. Ciò trova conferma nel terzo comma del richiamato art. 127-quinquies, che, fatte salve talune eccezioni, sancisce la perdita della maggiorazione di voto per le azioni a voto multiplo in caso di cessione. Fattispecie che, di contro, non si verifica per le azioni a voto plurimo.


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14

Trattasi della direttiva 2007/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate in corso di revisione (http://eur-lex.europa.eu/legal-content/AUTO/?uri=CELEX:02007L0036-20140702&qid=1412246414447&rid =1).


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15

Il termine “proporzionalmente” è stato inserito dalla L. n. 116/2014 in sede di conversione del D. L. n. 91/2014.


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16

Si osserva che il Legislatore non ha puntualmente indicato la “Parte” del TUF di riferimento, che si deduce dal contesto essere la IV (Disciplina degli Emittenti).


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17

Il D. L. n. 91/2014, all’art. 20, primo comma, lettera a), introduce, tra l’altro, una nuova definizione di piccole e medie imprese emittenti azioni quotate (“P.M.I.”). Rientrano in tale definizione unicamente quelle imprese che: “abbiano in base al bilancio approvato relativo all’ultimo esercizio, anche anteriore all’ammissione alla negoziazione delle proprie azioni, un fatturato fino a 300 milioni di euro, ovvero una capitalizzazione media di mercato nell’ultimo anno solare inferiore ai 500 milioni di euro. Non si considerano PMI gli emittenti azioni quotate che abbiano superato entrambi i predetti limiti per tre esercizi, ovvero tre anni solari, consecutivi”. Tra le maggiori novità introdotte per le P.M.I. di particolare impatto vi è anche il disposto del comma 1-ter dell’art. 106 del T.U.F., che introduce la facoltà per queste ultime di inserire nei propri statuti clausole che consentono di modificare l’attuale percentuale del 30% di partecipazione all’OPA obbligatoria, inserendola in una fascia ricompresa tra il 25% e il 40%. Tale percentuale è stata modificata in sede di conversione del Decreto, che, precedentemente, riportava il diverso ammontare del 20%.


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