Introduzione
In data 15 novembre 2017 la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il c.d. “DDL Whistleblowing”[1].
Con 357 voti favorevoli, 46 contrari e 15 astenuti, il Parlamento ha dato il via libera ad una proposta che tende e rafforzare la disciplina sulla protezione da discriminazioni o ritorsioni dei lavoratori, pubblici e privati, che intendono segnalare illeciti.
Il testo che disciplina la segnalazione di violazioni è progressivamente emerso nell’ambito del dibattito posto negli ultimi anni dalle istituzioni europee ed internazionali[2] in merito all’esigenza di introdurre valide misure volte al contrasto della corruzione.
Il primo importante intervento dell’Italia in tal senso si è avuto, limitatamente all’ambito pubblico, con l’approvazione della legge n. 190 del 2012[3] (c.d. “Legge Severino”), la quale ha introdotto specifiche disposizioni relative alla tutela del dipendente pubblico che segnala condotte illecite. Tale disciplina non trovava però applicazione nel settore privato e necessitava di talune integrazioni e revisioni per allinearsi alla contestuale evoluzione della normativa sul pubblico impiego.
1. L’intervento del DDL nel settore pubblico
La novellata disciplina sostituisce l’art. 54-bis del Testo Unico del Pubblico impiego[4] prevedendo una protezione del dipendente pubblico che, nell’interesse della pubblica amministrazione, segnala violazioni o condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro, non potendo il medesimo subire ritorsioni dovute alla segnalazione effettuata (tra l’altro sanzioni, licenziamento, demansionamento, trasferimenti presso altri uffici) ovvero essere sottoposto ad eventuali altre misure aventi effetti negativi sulla sua condizione di lavoro.
Tali segnalazioni possono essere indirizzate sia al responsabile interno della struttura aziendale preposto alla prevenzione della corruzione e della trasparenza, sia all’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione)[5], oppure direttamente all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile a seconda della natura della segnalazione.
Le tutele contro atti ritorsivi o discriminatori sono state altresì estese ai dipendenti di enti pubblici economici e ai dipendenti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico nonché a dipendenti e collaboratori di imprese fornitrici di beni o servizi alla pubblica amministrazione.
Tra le peculiarità della nuova disciplina è stato confermato il divieto di rivelare l’identità del segnalante (whistleblower) il cui nome è protetto:
- in caso di processo penale, nei modi e nei tempi previsti dall’art. 329 del codice di procedura penale (obbligo di segreto);
- in caso di processo contabile, dal divieto di rivelarne l’identità fino alla fine della fase istruttoria;
- in caso di processo amministrativo, dal divieto di rivelarne l’identità senza il suo consenso.
Sotto il profilo sanzionatorio l’ANAC è l’Autorità preposta all’applicazione delle sanzioni amministrative.
Nello specifico l’ANAC può applicare una sanzione che oscilla tra i 5.000 e i 30.000 euro a carico dei soggetti responsabili di misure ritorsive nei confronti del segnalante. Una sanzione sensibilmente più alta, compresa tra 10.000 e 50.000 euro, è invece prevista nel caso in cui venga accertata l’assenza di un sistema interno per la segnalazione di violazioni ovvero qualora si ravvisi che il responsabile del sistema non abbia verificato o analizzato le segnalazioni ricevute nell’ambito della propria attività.
Eventuali discriminazioni o ritorsioni a carico del segnalante devono essere comunque giustificate dalla Pubblica Amministrazione, su cui grava l’onere di provare e motivare che tali provvedimenti sono stati presi per motivi estranei alla segnalazione.
Qualora venga provato che il dipendente è stato licenziato per motivi legati ad una segnalazione, quest’ultimo ha diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro, al risarcimento del danno ed al versamento dei contributi previdenziali eventualmente dovuti nel periodo intercorrente tra il licenziamento e la reintegrazione.
Il rischio di un uso distorto dello strumento del whistleblowing è stato mitigato dal legislatore con l’annullamento di qualsiasi tutela nel caso in cui il segnalante sia condannato, anche in primo grado, in sede penale per calunnia, diffamazione o altri reati simili commessi mediante la segnalazione ovvero qualora venga accertata la sua responsabilità civile per colpa o dolo grave.
2. L’estensione del whistleblowing nel settore privato
L’approvazione definitiva del citato DDL Whistleblowing ha segnato una svolta non indifferente per una diffusione più pervasiva dei sistemi interni di segnalazione delle violazioni con riguardo al settore privato[6].
La novellata normativa prevede difatti rilevanti modifiche al D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 relativo alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni ed introduce specifiche disposizioni che disciplinano eventuali violazioni dei Modelli di Organizzazione e Gestione (d’ora in avanti, “MOG”) da questo previsti, estendendo di fatto l’ambito di applicazione soggettiva dei sistemi interni di segnalazione delle violazioni.
Con l’intervento de qua, il legislatore pare aver dato concreta attuazione anche in ambito privato a quella tendenza a radicare “una “coscienza sociale” all’interno dei luoghi di lavoro, che invogli il singolo ad attivarsi per denunciare all’autorità ovvero anche al proprio datore di lavoro, eventuali illeciti di cui sia venuto a conoscenza in occasione dello svolgimento della propria prestazione[7]”.
Il legislatore aveva già parzialmente introdotto la disciplina sul whistleblowing in alcuni specifici ambiti del settore privato, perlopiù attraverso la recente emanazione di atti legislativi di recepimento di normative europee.
Tra i più rilevanti si evidenziano, in ordine cronologico, i seguenti provvedimenti:
- D.lgs. 8 maggio 2015 recante “recepimento della Direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013” (c.d. CRD IV) che ha introdotto modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (TUB) e al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), prevedendo, tra l’altro, specifiche disposizioni per la segnalazione interna di eventuali violazioni normative da parte del personale delle banche[8].
- D.lgs. n. 90 del 25 maggio 2017 di recepimento della Quarta Direttiva Antiriciclaggio (Direttiva 2015/849/UE), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 140 del 19 giugno 2017, tra le cui disposizioni si evidenzia, per la prima volta nell’ambito della legislazione antiriciclaggio, la previsione di sistemi di whistleblowing[9] che impone ai soggetti obbligati[10] di adottare procedure idonee per la segnalazione al proprio interno, da parte di dipendenti o di persone in posizione comparabile, di violazioni potenziali o effettive delle disposizioni di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo;
- D.lgs. n. 129 del 3 agosto 2017 che recepisce la Direttiva (UE) 2016/1034 che modifica la direttiva 2014/65/UE (MiFID II) relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che, negli artt. 4-undecies e 4-duodecies del T.U.F. richiede agli intermediari di cui alla Parte II del TUF[11], ai soggetti di cui alla Parte III del TUF[12] nonchè alle imprese di assicurazione di dotarsi di procedure specifiche per la segnalazione di violazioni dell’attività svolta (c.d. whistleblowing), dettando altresì le procedure che i predetti soggetti sono tenuti a seguire al fine di effettuare segnalazioni all’Autorità di Vigilanza.
3. Il sistema di tutele del segnalante
Un’adeguata protezione del soggette segnalante è speculare all’efficacia del sistema di whistleblowing.
Se la ratio dell’intervento normativo consiste nell’incentivare determinate tipologie di condotte che promuovano “più elevati standard di business ethics e di anticorruption la cui mancanza, invece, ostacola la creazione di valore per le imprese[13]”, affinché dette condotte vengano incentivate è necessario prevedere che le conseguenze negative dalle medesime azionate non ricadano sul segnalante.
Sul punto, il DDL ha dunque previsto due importanti tutele per il segnalante:
- il divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione;
- la nullità del licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto segnalante, la nullità del mutamento di mansioni ai sensi dell'articolo 2103 del codice civile, nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del segnalante.
Importante altresì è la modalità con cui il legislatore ha inteso disciplinare la ripartizione dell’onere della prova in caso di controversie legate all'irrogazione di sanzioni disciplinari, o a demansionamenti, licenziamenti, trasferimenti, o sottoposizione del segnalante ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, successivi alla presentazione della segnalazione.
Spetterà infatti al datore di lavoro dimostrare che tali misure sono fondate su ragioni estranee alla segnalazione.
Siffatta scelta si pone, come illustrato dall’ANAC, in linea di continuità con le best practices adottate da molti paesi dall’area OCSE[14].
In effetti, la segnalazione è potenzialmente foriera di importanti conseguenze negative per il segnalante, che possono includere, come evidenziato dall’ANAC:
- l’emarginazione professionale,
- la perdita dei mezzi di sussistenza con conseguenti possibili danni finanziari e di reputazione; oltre a ciò non è da sottovalutare la possibilità che i segnalanti rischino una “stigmatizzazione che spesso li accompagna per il resto della loro vita lavorativa[15]”.
Tuttavia non sono mancate alcune osservazioni critiche in relazione al principio introdotto dal legislatore; in particolare, già in sede di discussione della modifica alle disposizioni dell’art. 54-bis del Testo Unico del Pubblico Impiego era stata segnalata “la dubbia tenuta [del principio dell’inversione dell’onere della prova] alla luce delle previsioni dell’ordinamento nazionale in tema di onere della prova. Infatti, in genere, l’inversione di tale onere è ammessa laddove vi sia almeno un principio di prova o una presunzione, fornita dal soggetto interessato, che lasci almeno ipotizzare un nesso tra la segnalazione e la misura presa ai danni dell’autore. Al riguardo, l’esempio tipico potrebbe essere rappresentato dal mancato avanzamento di carriera che ben può essere motivato da intenti discriminatori quanto da una valutazione sul merito. In tal caso, dovrebbe essere onere dell’“autore” fornire un minimo di elementi da cui presumere un intento discriminatorio o ritorsivo a suo danno a seguito della segnalazione[16]”.
Indicazioni utili per il tema della qualificazione della misura discriminatoria e del relativo legame tra la medesima e la segnalazione effettuata – latu sensu – dal whistleblower possono essere desunte da alcune pronunce giurisprudenziali.
A tale riguardo, in Cass. Civ. 6501/2013 la Suprema Corte ha deciso sulla legittimità del licenziamento intimato ad un dipendente il quale, venuto a conoscenza di alcune irregolarità commesse da parte della propria azienda, aveva denunciato ai pm il proprio datore di lavoro ed allegato una serie di documenti aziendali; il lavoratore era stato poi licenziato per violazione dell’obbligo di fedeltà e sottrazione di documenti aziendali[17]. In tale caso, la Suprema Corte ha affermato che “non costituisce giusta causa o giustificato motivo di licenziamento l'avere il dipendente reso noto all'autorità giudiziaria fatti di potenziale rilevanza penale accaduti presso l'azienda nella quale lavora né l'averlo fatto senza averne previamente informati i superiori gerarchici, sempre che non risulti il carattere calunnioso della denuncia o dell'esposto; neanche è motivo di licenziamento l'avere allegato documenti aziendali[18]”.
Diversamente, la Suprema Corte ha escluso la sussistenza delle condizioni per l'applicabilità della disciplina del c.d. "whistleblowing" ex art. 54 bis d.lg. n. 165 del 2001 e quindi ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare intimato al lavoratore pubblico in un caso in cui detto lavoratore inviava “ad alcuni soggetti istituzionali (prefettura, procura della repubblica e Corte dei conti) una memoria contenente la denunzia di condotte illecite da parte dell'amministrazione di appartenenza palesemente priva di fondamento, configurandosi una condotta illecita, univocamente diretta a gettare discredito sull'amministrazione medesima[19]”.
Da ultimo, occorre evidenziare come il sistema di tutele per il lavoratore sia stato integrato dalla previsione, introdotta nel corso dell’esame al Senato, dell’art. 3 del DDL, secondo cui nelle ipotesi di segnalazione o denuncia effettuate nelle forme e nei limiti di cui all’articolo 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e all’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, il perseguimento dell’interesse all’integrità delle amministrazioni, pubbliche e private, nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni, costituisce giusta causa di rivelazione di notizie coperte dall’obbligo di segreto di cui agli articoli 326[20], 622[21] e 623[22] del codice penale e all’articolo 2105[23] del codice civile.
Tale previsione pare aver determinato, nel rapporto di lavoro, “una più incisiva prevalenza dell’interesse pubblico alla punizione degli illeciti e delle irregolarità commessi sia dalla pubblica amministrazione sia dalle persone giuridiche di diritto privato e dagli altri enti dotati di personalità giuridica, rispetto alla tutela della riservatezza e del segreto derivanti dal rapporto di lavoro[24]”.
Sulla qualificazione della giusta causa nella rivelazione, è stato osservato come la medesima possa operare “come scriminante, nel presupposto che vi sia un interesse preminente (in tal caso l'interesse all'integrità delle amministrazioni) che impone o consente tale rivelazione[25]”.
4. L’implementazione del sistema di whistleblowing nel modello 231
L’approvazione del predetto DDL Whistleblowing ha dunque sancito l’allargamento della platea di soggetti obbligati a dotarsi di un sistema di whistleblowing inserendo dopo il comma 2 dell’art. 6 del D.lgs 231/01, i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, ai sensi dei quali i MOG previsti nell’ambito della normativa sulla responsabilità amministrativa degli enti, dovranno da ora prevedere tra l’altro:
- uno o più canali che consentano a coloro che a qualsiasi titolo rappresentino o dirigano l’ente di presentare, a tutela dell’integrità dell’ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell’ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte; tali canali garantiscono la riservatezza dell’identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione;
- almeno un canale alternativo di segnalazione idoneo a garantire, con modalità informatiche, la riservatezza dell’identità del segnalante;
- misure idonee a tutelare l’identità del segnalante e a mantenere la riservatezza dell’informazione in ogni contesto successivo alla segnalazione, nei limiti in cui l’anonimato e la riservatezza siano opponibili per legge;
Alla luce di quanto esposto in precedenza, i MOG dovranno essere adeguatamente implementati ed integrati con l’introduzione di un impianto regolamentare idoneo a disciplinare internamente un sistema di segnalazione delle violazioni conforme alle intervenute novità legislative.
I nuovi MOG dovranno tra l’altro riportare una descrizione specifica con riguardo:
- ai soggetti abilitati ad effettuare le segnalazioni,
- ai contenuti oggetto di tali segnalazioni,
- alle funzioni aziendali preposte alla gestione del sistema di whistleblowing nonché
- alle forme di tutela riservate alla protezione dell’identità dei soggetti segnalanti e alle relative sanzioni previste nei confronti di chi viola tali misure.
Conclusioni
Il nuovo impianto normativo si caratterizza per l’apprezzabile intento di promuovere in Italia una diffusione del sistema di whistleblowing che includa nel suo ambito di applicazione la più ampia platea di operatori economici, siano essi pubblici o privati.
Sebbene risulti apprezzabile l’impegno del legislatore a che una nuova cultura della legalità si diffonda in ambito lavorativo, permettendo che il lavoratore si faccia parte attiva nella segnalazione di condotte illecite perpetrate all’interno dell’azienda, i tempi per un giudizio certo circa la reale efficacia del nuovo sistema appaiono non del tutto maturi.
Peraltro ancora oggi emerge dalla prassi operativa da un lato una percezione distorta del whistleblower non quale valore per la società, bensì come “un elemento di disturbo (…) poiché capace tanto di mettere a repentaglio la reputazione di quest’ultima, quanto di rompere omertà consolidate[26]”, dall’altro l’incompleta efficacia delle segnalazioni rispetto alle potenzialità dell’istituto del whistleblowing[27].
A tale riguardo, come evidenziato in sede di primo commento alla nuova normativa,[28] il legislatore avrebbe forse potuto prevedere nel DDL di una maggiore tutela del whistleblower mediante la creazione di un fondo a copertura di eventuali spese legali del soggetto segnalante, così da incentivare maggiormente l’efficacia dell’istituto.
Condivisibili ed attuali appaiono infine i dubbi in precedenza sollevati circa la collocazione del whistleblowing “all’interno di uno strumento, quale il modello organizzativo, che il legislatore stesso ha previsto come facoltativo[29]”, potendo il whistleblowing essere introdotto quale strumento autonomo e svincolato da detto MOG.
Bibliografia
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Transparency International Italia, “La tutela dei whistleblower è legge!”, consultabile al link: https://www.transparency.it/legge-whistleblowing/.
[1] Cfr. (AS 2208) “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un lavoro pubblico o privato”. Proposta di legge (di iniziativa dei deputati Businarolo, Agostinelli, Ferraresi, Sarti) approvata alla Camera dei Deputati in data 21 gennaio 2016, modificata dal Senato della Repubblica in data 18 ottobre 2017 e approvata in via definitiva in III lettura alla Camera dei Deputati in data 15 novembre 2017.
[2] Cfr. Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali (17 Dicembre 1997), ratificata dall’Italia con l. 300/2000. Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (31 Ottobre 2003), ratificata dall’Italia con la l. 116/2009. Inoltre, in qualità di membro del Consiglio d’Europa, l’Italia ha ratificato altre due Convenzioni sulla corruzione elaborate dallo stesso Consiglio, la prima riguarda l’ambito penale (27 Gennaio 1999), la seconda l’ambito civile (4 Novembre 1999), rispettivamente ratificate con la l. 110/2012 e con la l. 112/2012. Con riguardo alla legislazione americana, occorre altresì richiamare il Sarbanes-Oxley Act , che ha introdotto “l’attivazione di strutture interne di controllo e di linee dedicate per la denuncia di irregolarità (…) nella forma del “confidential anonymous employee reporting”, nonché una speciale tutela normativa a beneficio del “dipendente che segnala le irregolarità o i dubbi circa la liceità di procedure aziendali (… ) nelle società quotate o registrate alla U.S. Stock Exchanges, che abbiano sede negli Usa o all’estero” (G. Golisano, “Il whistleblowing nella giurisprudenza Usa: illeciti d’impresa e posizione del lavoratore che li denuncia”, in Il Lavoro nella Giurisprudenza n. 10/2006).
[3] Cfr. articolo 1, comma 7, legge 6 novembre 2012 n. 190 – “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.
[4] Cfr. Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 – “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”.
[5] La nuova legge “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato” prevede che l’ANAC predisponga, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, linee guida per la presentazione e la gestione delle segnalazioni in ambito whistleblowing, prevedendo inoltre l’utilizzo di modalità anche informatiche e il ricorso a strumenti che consentano il flusso di dati criptati al fine di garantire la riservatezza dell’identità del segnalante e del contenuto delle segnalazioni.
[6] La mancata estensione dell’ambito di applicazione soggettivo della disciplina in tema di whistleblowing è stata individuata quale limite della novella di cui al citato art. 54-bis del Testo Unico del Pubblico impiego; sul punto cfr.: S. M. Corso, “Whistleblowing in Italia tra prassi applicative e disegni di riforma”, 19 maggio 2017, http://www.ipsoa.it/tags/whistleblowing.
[7] F. Baldi, “Ius resistentiae: la linea di demarcazione tra i doveri di diligenza e obbedienza contrattuale” , in Ilgiuslavorista.it, fasc., 9 settembre 2016.
[8] Tali disposizioni sono confluite nell’11° aggiornamento della Circolare della Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013, che recependo le disposizioni contenute nell’art. 52-bis del TUB, ha disposto l’introduzione obbligatoria di sistemi interni di segnalazione delle violazioni da parte di banche e intermediari finanziari (c.d. whistleblowing);Sul punto cfr.: M. Fumagalli, D. Di Maio, “Whistleblowing: disciplina e concrete applicazioni nella prassi operativa della banche”, 23 Novembre 2015, in dirittobancario.it.
[9] Capo VIII “Segnalazione di violazioni”, Articolo 48 “Sistemi interni di segnalazione delle violazioni” del richiamato Decreto legislativo di attuazione della Direttiva 2015/849/UE.
[10] Tra gli altri: SIM, SGR, iscritti all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, consulenti del lavoro, notai e avvocati.
[11] SIM, Banche, società di gestione di OICVM, SICAV, società di consulenza, gestori di portali di equity crowdfounding.
[12] Tra cui sistemi multilaterali di negoziazione, internalizzatori sistematici, controparti centrali e altri.
[13] I. Rotunno, “Whistleblowing e D.Lgs. 231/01”, 22 febbraio 2016, in dirittobancario.it.
[14] ANAC, “Segnalazioni di illeciti e tutela del dipendente pubblico: l’Italia investe nel whistleblowing, importante strumento di prevenzione della corruzione”, 22 giugno 2016.
[15] Ibid, p. 8
[16] M. Panucci, “A.C. 1751 – Audizione Confindustria”, del 29 ottobre 2015, p. 9.
[17] M. Proietti, “Licenziamento illegittimo se il lavoratore denuncia illeciti dell’azienda”, Il Sole 24 Ore 17 Maggio 2013.
[18] Cfr. Cassazione civile, sez. lav., 14/03/2013, n. 6501, in Guida al diritto 2013, 22, 60
[19] Cfr.: Cassazione civile, sez. lav., 24/01/2017, n. 1752, in Foro it. 2017, 3, I, 884
[20] Art. 326 (Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio) Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se l'agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno. Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni
[21] Art. 622 c.p. (Rivelazione di segreto professionale). Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516. La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società. Il delitto è punibile a querela della persona offesa
[22] Art. 623 c.p. (Rivelazione di segreti scientifici o industriali) Chiunque, venuto a cognizione per ragione del suo stato o ufficio, o della sua professione o arte, di notizie destinate a rimanere segrete, sopra scoperte o invenzioni scientifiche o applicazioni industriali, le rivela o le impiega a proprio o altrui profitto, è punito con la reclusione fino a due anni. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
[23] Art. 2105 c.c. (Obbligo di fedeltà) Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.
[24] P. Salazar, “La segnalazione di illeciti integra comportamento sanzionabile?”, in Il lavoro nella giurisprudenza n. 6/2017.
[25] Camera dei Deputati – Servizio Studi, Documentazione per l’attività consultiva della I Commissione, “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato A.C. 3365-B. Dossier n° 315 – Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale 8 novembre 2017”, p. 6, consultabile al link: http://documenti.camera.it/Leg17/Dossier/Pdf/Cost315.Pdf
[26] ANAC, “Prevenzione della corruzione, segnalazione di illeciti e tutela del dipendente pubblico: presentazione del secondo monitoraggio nazionale sull’applicazione del whistleblowing”, 22 Giugno 2017, p. 4.
[27] Ibid, p. 4.
[28] Cfr., Transparency International Italia, “La tutela dei whistleblower è legge!”, consultabile al link: https://www.transparency.it/legge-whistleblowing/
[29] I. Rotunno, op. cit.