In materia di consorzi, le norme di cui all’art. 2607 c.c. (dettate con riguardo alla modificabilità del contratto di consorzio solo con il consenso di tutti i consorziati) si annoverano tra i principi fondamentali dell’istituto, da qualificare perciò come non derogabili neppure nel caso in cui il consorzio assuma la veste di una società per azoni.
Nel caso di specie, l’assemblea straordinaria della società consortile aveva deliberato a maggioranza l’introduzione in statuto di una clausola che poneva a carico dei consorziati (in proporzione delle quote rispettivamente possedute), l’obbligo di nuovi conferimenti per l’eventualità in cui si verifichino delle perdite d’esercizio.
Al riguardo, la Suprema Corte rileva tuttavia che la normativa codicistica sui consorzi sia univoca nell’indicare come tutte le modifiche al contratto costitutivo debbano registrare il consenso di ciascun consorziato, ai sensi e per gli effetti, in particolare, dell’art. 2607, comma 2, c.c.
È difatti un principio generalmente accettato nell’ambito delle società di capitali che i soci non possano venire obbligati ad effettuare nuovi e ulteriori conferimenti.
Al tal proposito, sussiste dunque una stretta analogia tra la fattispecie in esame e quella di cui all’art. 2345 c.c., concernente il divieto di modificare senza il consenso di tutti i soci gli obblighi di prestazioni accessorie non previste nell’atto costitutivo (a smentita così di qualsiasi possibile divergenza tra le regole consortili e le regole della società per azioni sul punto).