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Giurisprudenza

Illegittima segnalazione in Centrale di Allarme Interbancaria (C.A.I.): inammissibile il ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c.

14 Gennaio 2013

Avv. Filippo Maria De Stefano Grigis

Tribunale di Verona, 8 gennaio 2013

Di cosa si parla in questo articolo

Massima

Nel caso di illegittima segnalazione presso la Centrale di Allarme Interbancaria (C.A.I.), è inammissibile il ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c., essendo questa fattispecie soggetta al procedimento disciplinato dall’art. 152 D.lgs. 30.6.2003, n. 196 (Protezione dati personali) e, quanto alla tutela in forma cautelare, all’art. 10, comma 4, D.lgs. 1.9.2011, n. 150.

Commento

Il tema affrontato dal Tribunale di Verona è di grande attualità in ambito bancario; non tanto e non solo dal punto di vista della Banca, quanto, piuttosto, dei clienti della Banca, che non sono sempre avvertiti del carico sanzionatorio nel caso di emissione di assegni bancari senza autorizzazione o senza provvista.

Per semplificare – scusandomi con i puristi – l’assegno è tratto senza autorizzazione quando il cliente non è titolare del conto corrente trassato o, comunque, non ha potere di firma su quel rapporto; l’assegno, invece, è tratto senza provvista quando – qui è il punto sensibile – è presentato in tempo utile (e cioè negli otto o quindici giorni dalla data di emissione, a seconda che si tratti di un assegno su piazza o fuori piazza) e non viene pagato perché non ci sono fondi sufficienti, in tutto o in parte, sul conto corrente trassato (artt. 1 e 2 Legge 15.12.1990, n. 386, così come modificata dal D.Lgs. 30.12.1999, n. 507).

Sempre semplificando (ma solo per maggiore chiarezza della clientela), l’integrazione di uno dei suddetti illeciti amministrativi comporta una progressione sanzionatoria, il cui primo (e commercialmente più gravoso) stepè rappresentato dall’iscrizione del nominativo del traente nel segmento C.A.P.R.I. (Centrale Allarme Procedura Impagati) della Centrale di Allarme Interbancaria (C.A.I.), che è gestita, a livello centrale, dalla Banca d’Italia (per meglio dire dalla concessionaria SIA-SSB S.p.A., e, a livello periferico, dagli intermediari abilitati (le Banche in primis).

L’emissione di un assegno senza autorizzazione comporta l’iscrizione per sei mesi del nominativo del traente entro 20 giorni dalla presentazione al pagamento del titolo; mentre l’emissione di un assegno senza provvista è, proceduralmente, più complessa, perché è prevista la possibilità di un c.d. “pagamento tardivo”, per cui l’iscrizione (sempre per sei mesi) avviene soltanto a seguito dell’inutile decorso dei termini per esso previsti (pongasi mente, in particolare, all’ultimo termine, vale a dire sessanta giorni dalla data di scadenza del termine di presentazione del titolo) (artt. 8 e 9 Legge n. 386/90 cit.).

Così inquadrato il tema, la sentenza affronta l’ipotesi in cui l’iscrizione di un nominativo sia illegittima e, quindi, quale sia lo strumento cautelare più idoneo per neutralizzarne gli effetti, nelle more di un giudizio di merito a cognizione piena. L’ipotesi non è affatto peregrina: basti pensare alla traenza di un assegno smarrito/sottratto con firma apocrifa e che la Banca segnali nondimeno il nominativo dell’intestatario del rapporto di conto corrente, nell’erroneo convincimento che questo sia il traente dell’assegno; o, ancora, che un assegno sia presentato e non sia pagato per difetto di provvista, ma che, a monte, la presentazione non sia avvenuta in tempo utile e nondimeno la Banca abbia, sempre erroneamente, ritenuto integrata la fattispecie di emissione di assegno senza provvista. La rettifica, può non essere agevole, specie là dove l’attività di segnalazione sia gestita a livello accentrato e non dalla filiale/agenzia sulla quale è radicato il rapporto di conto corrente. Non resta allora che rivolgersi all’avvocato e valersi degli strumenti di tutela, per l’appunto, in via cautelare.

In prima battuta, si potrebbe ritenere che non sussista uno strumento tipico, e che, quindi, vada perseguita la strada dello tutela cautelare atipica e residuale per eccellenza, vale a dire quella di cui all’art. 700 c.p.c.. Ma “il 700” (come è familiarmente chiamato dagli addetti ai lavori) presuppone che ogni strada alternativa sia stata davvero esplorata, e ciò senza limitarsi alla tradizionale lettura del codice di procedura civile. Il Legislatore, infatti, nel compilare le leggi di carattere sostanziale, non manca di prevedere rimedi tipici anche sul piano processuale. Vale, allora, la pena risalire, preliminarmente, alla disciplina sostanziale della fattispecie in esame e, quindi, verificare se per tale disciplina il Legislatore non abbia già approntato degli specifici rimedi di carattere giurisdizionale, ed in particolare, se si tratti di soli rimedi di merito o, anche, in sede cautelare.

E’ questo il metodo lineare che il Giudice monocratico del Tribunale di Verona ha applicato. Si è interrogato su quale sia la materia cui ricondurre, più in generale, l’ipotesi dell’illegittima iscrizione di un nominativo nella C.A.I. ed è giunto alla conclusione che si tratti della disciplina della protezione dei dati personali di cui al D.lgs. 30.6.2003, n. 196, in ciò confortato dalla giurisprudenza di legittimità, che ha elaborato analoga conclusione per l’ipotesi di illegittima segnalazione di un nominativo nella Centrale Rischi presso la Banca d’Italia (Cass. civ., Sez. I, Sent., 01-04-2009, n. 7958).

L’art. 7, comma 3, lett. d) del D.lgs. n. 196/2003 sui diritti dell’interessato, in particolare, recita: “L’interessato ha diritto di ottenere […] la cancellazione […] dei dati trattati in violazione di legge”. Nelle more di questa cancellazione, l’interessato può adire il Tribunale per una tutela in forma cautelare, ma non ai sensi dell’art. 700 c.p.c., bensì in forza dell’art. 10, comma 4, D.lgs. n. 150/11. L’art. 10 cit. ha la seguente rubrica: “Delle controversie in materia di applicazione delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali”, ed applica a queste controversie il rito del lavoro, ove non sia diversamente disposto dallo stesso articolo. Il comma 4, invece, sullo specifico tema della tutela cautelare per tutte queste controversie recita: “L’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato puo’ essere sospesa secondo quanto previsto dall’articolo 5”, il cui comma 1 prevede la possibilità di pronuncia di un’ordinanza non impugnabile “quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni esplicitamente indicate nella motivazione”, oltre che al comma 2: “In caso di pericolo imminente di un danno grave e irreparabile, la sospensione puo’ essere disposta con decreto pronunciato fuori udienza. La sospensione diviene inefficace se non e’ confermata, entro la prima udienza successiva, con l’ordinanza di cui al comma 1”. Il Giudice, peraltro, svolge anche un ragionamento per giustificare l’applicabilità del quarto comma non soltanto ai provvedimenti del Garante, ma a tutte le controversie in materia di protezione dei dati personali, per superare il riferimento a questi ultimi contenuto nel terzo comma; un ragionamento – ad avviso di chi scrive – un po’ sovrabbondante, bastando a giusticare tale applicabilità la sopra richiamata rubrica dell’articolo che, molto opportunamente, usa la dizione, molto lata, di “controversie in materia di protezione dei dati personali”, senza puntualizzare per nulla la natura del provvedimento che può avervi dato origine; come pure dalla lettura dell’art. 152, comma 1, D.Lgs. n. 196/2003 si evince, abbastanza agevolmente, che queste controversie non abbracciano soltanto i provvedimenti del Garante.

Dalla sussistenza di questo rimedio cautelare tipico discende de plano la conclusione del Giudice veronese, che ha ritenuto il ricorso ex art. 700 cit. inammissibile.

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