Con l’ordinanza in esame la Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza impugnata (App. Perugia n. 516/2017) confermativa di un decreto ingiuntivo per saldo passivo di conto corrente, emesso dal Tribunale di Perugia a favore di una banca e nei confronti di una persona fisica.
Più in particolare, nel caso di specie, risulta che (i) la banca aveva addebitato sul conto corrente personale dell’ingiunta un assegno bancario riferibile alla s.p.a., della quale la medesima ingiunta era amministratrice; (ii) l’addebito aveva prodotto uno scoperto di valuta sul quale la banca aveva applicato gli interessi e le commissioni come da contratto; (iii) considerato il mancato pagamento del saldo passivo di conto corrente, la banca aveva chiesto e ottenuto un decreto ingiuntivo dal Tribunale di Perugia; (iv) l’ingiunta proponeva opposizione lamentando l’illegittimo addebito dell’assegno sul suo conto personale, laddove quest’ultimo era da riferirsi alla s.p.a. “posto che sulla chartuladel titolo la sottoscrizione, che vi aveva apposto, era accompagnata dall’indicazione «amministratore» e dal timbro di detta società”; l’ illegittimità degli addebiti di massimo scoperto e degli interessi segnati a seguito dell’addebito dell’importo recato sull’assegno; l’ applicazione di interessi oltre la soglia massima consentita dalla normativa antiusura; (v) il decreto ingiuntivo è stato confermato dal Tribunale di Perugia, prima, e dalla Corte d’Appello, poi, la quale in particolare osservava che “l’aggiunta del timbro non ha rilevanza alcuna, dovendo la banca solamente verificare l’autenticità della firma e l’essere il firmatario il titolare del conto. Nessuna verifica doveva essere svolta circa il significato, l’autenticità e il valore della dicitura riportata nel timbro”.
Tanto premesso in fatto, la Corte di Cassazione ritiene che l’addebito dell’assegno (e pertanto lo scoperto) sia illegittimo, in quanto la sottoscrizione dell’assegno è stata posta in essere in nome e per conto dell’ente collettivo e, dunque, è imputabile non già alla persona fisica bensì – in via diretta e immediata – alla s.p.a..
Tale conclusione discende dalla normativa applicabile e dalla sua interpretazione giurisprudenziale.
Più in particolare, il riferimento è all’art. 11 della cd. legge assegni, il quale dispone che «ogni sottoscrizione deve contenere il nome e cognome o la ditta di colui che si obbliga. È valida tuttavia la sottoscrizione nella quale il nome sia abbreviato o indicato con la sola iniziale» e all’art. 14 della medesima legge, secondo il quale «chi appone la firma sull’assegno bancario quale rappresentante di una persona, per la quale non ha il potere di agire, è obbligato come se l’avesse firmato in proprio».
Da questo plesso normativo, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha tratto “il principio per cui l’assunzione di un’obbligazione cartolare «in nome altrui» – in tale formula ricomprendendosi tanto il caso della rappresentanza negoziale, quanto quello della così detta rappresentanza organica (art. 1400 cod. civ.) – suppone «l’apposizione della sottoscrizione con l’indicazione della qualità, ancorché senza l’uso di formule sacramentali e con le sole modalità idonee a rendere evidente ai terzi l’avvenuta assunzione dell’obbligazione per conto di altri, come nel caso di collocazione della firma cambiaria sotto il timbro di una società, sufficiente a rivelare la volontà del sottoscrittore di impegnarsi in rappresentanza dell’ente» (in questi termini si veda giàCass., 22 aprile 1993, 4763; tra le più recenti v. Cass., 21 giugno 2012, n. 10388). In consonanza con questo principio, si è anche precisato che, «per la firma di un ente collettivo, non è sufficiente l’indicazione della ragione o della denominazione, occorrendo il nome (anche abbreviato o con la sola iniziale) e il cognome della persona fisica che sottoscrive per l’ente, pur senza necessità di una specifica formula da cui risulti il rapporto di rappresentanza» (Cass., 12 dicembre 2005, n. 27378, a p. 29 della pronuncia); in modo comunque che il contesto cartolare venga a esplicitare il «collegamento tra il firmatario e l’ente, così che non vi siano dubbi in ordine al fatto che la dichiarazione cartolare sia emessa dal sottoscrittore in nome e per conto dell’ente» (Cass., 23 aprile 2004, n. 7761)”.