Con la Risoluzione n. 77/E del 16 settembre scorso (cfr. contenuti correlati), l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcune importanti precisazioni sulle corrette modalità di indicazione, ai fini del monitoraggio fiscale, delle consistenze degli investimenti esteri all’interno della dichiarazione dei redditi.
Nella fattispecie esaminata dall’Amministrazione Finanziaria, l’investimento era relativo ad un immobile acquistato in Svizzera nel 1996, in relazione al quale venivano chiesti chiarimenti circa il corretto criterio da utilizzare ai fini della compilazione del quadro RW del Modello Unico.
Si ricorda per completezza come l’indicazione degli investimenti all’interno del quadro sopra richiamato sia funzionale, da un lato, al monitoraggio fiscale da parte del fisco degli investimenti esteri detenuti dai cittadini residenti in Italia e, dall’altro lato, alla determinazione e relativo versamento sia dell’Imposta sulle Attività Finanziarie detenute all’Estero (IVAFE) che dell’Imposta sul valore degli Immobili all’Estero (IVIE).
A livello operativo, la soluzione prospettata dal contribuente evidenziava come l’approccio da seguire fosse quello di indicare il costo storico come risultante dall’atto di acquisto, convertito secondo il tasso di cambio applicabile al momento in cui è stata effettuata la compravendita, con ciò senza obbligo di adeguamento annuale del valore al fine di tenere conto delle oscillazioni del tasso di cambio.
Nel confermare l’approccio descritto dall’istante, l’Agenzia ribadisce preliminarmente come con riferimento alle attività di natura patrimoniale l’obbligo di monitoraggio fiscale vada esteso alle consistenze di tutti gli investimenti detenuti oltralpe, a prescindere dal fatto che la capacità di reddito derivante dallo sfruttamento del cespite risulti essere meramente potenziale ed eventuale (cfr. Circolare n. 38/E/2013).
Al fine di ottemperare a quanto sopra, e sposando come detto la tesi sostenuta dall’istante, viene evidenziato come ai fini dell’IVIE il controvalore dell’immobile espresso in valuta estera debba essere parametrato rispetto ai valori storici rappresentati nell’atto di acquisto, e che solo in mancanza di detto valore debba farsi riferimento al valore di mercato rilevabile alla chiusura dell’anno, o periodo di detenzione, nel luogo in cui l’immobile è ubicato.
Più in particolare, si evidenzia come:
- qualora si debba adottare il costo storico, verrà adottato il cambio medio del mese in cui è stato concluso l’acquisto, e non sarà necessario provvedere all’aggiornamento del valore indicato nella dichiarazione;
- nell’ipotesi in cui invece venga preso in considerazione il valore di mercato, rilevabile al termine dell’anno (o del periodo di detenzione), si applicherà il cambio medio del mese in cui ricade detto termine o periodo come indicato nel provvedimento di accertamento dei tassi di cambio. In questo caso, sarà necessario aggiornare annualmente il valore indicato nella dichiarazione.
Con riguardo alla conversione delle attività in valuta estera, l’Amministrazione ribadisce come debba farsi riferimento alle indicazioni contenute nel Provvedimento del 18 dicembre 2013, il quale stabilisce che il controvalore in euro degli investimenti delle attività in valuta da indicare nel quadro RW debba essere calcolato, per tutti i dati in esso riportati, secondo quanto previsto dal provvedimento direttoriale emanato ai fini dell’individuazione dei cambi medi mensili agli effetti delle disposizioni dei Titoli I e II del TUIR.
Viene inoltre ricordato come fino all’entrata in vigore delle disposizioni istitutive delle agenzie fiscali, dovrà farsi riferimento ai decreti adottati dal Ministero delle Finanze, vale a dire l’organo amministrativo competente pro tempore.
Nonostante l’orientamento dell’Amministrazione Finanziaria non appaia esaustivo e non risolva i vari dubbi applicativi connessi alla valorizzazione delle attività detenute all’estero, la dottrina ha comunque osservato come l’approccio adottato dall’Agenzia risponda essenzialmente ad obiettivi semplificazione, ed è comunque volto a definire con maggior chiarezza una fattispecie che in passato aveva generato non poche problematiche tra contribuenti e fisco.
Invero, una soluzione opposta ossia l’obbligo di conversione delle attività indicate al costo storico sulla base dei rispettivi tassi annuali, avrebbe determinato di volta in volta valori differenti solo ed unicamente a causa delle fluttuazioni del tasso di cambio, risultando totalmente illogica ed incoerente da un punto di vista operativo.