Con il presente intervento riportiamo alcune nostre considerazioni in merito alla disciplina del computo degli interessi nell’ambito della proroga straordinaria introdotta dal Legislatore con l’art. 9 del c.d. Decreto Liquidità (D.L. 8 aprile 2020, n. 23, convertito nella Legge 5 giugno 2020, n. 40).
La predetta norma, la quale sta avendo un notevole impatto nell’ambito delle procedure concorsuali c.d. minori, come noto dispone che “i termini di adempimento dei concordati preventivi, degli accordi di ristrutturazione, degli accordi di composizione della crisi e dei piani del consumatore omologati aventi scadenza in data successiva al 23 febbraio 2020 sono prorogati di sei mesi”.
In particolare, ci siamo interrogati se in considerazione dello slittamento dei termini di adempimento dei concordati, degli accordi di ristrutturazione e dei piani previsti nel sopra menzionato articolo, si possa ritenere che gli interessi continuino a decorrere anche nel suddetto periodo semestrale, nonostante la proroga legale dei termini di adempimento e il silenzio del Legislatore sul punto.
Infatti, come si può evincere dal testo del comma primo dell’art. 9, la questione non è in alcun modo trattata dalla legge.
Con la conversione in legge è stato mantenuto il requisito della avvenuta omologazione (sia degli accordi di ristrutturazione che dei concordati) nonché esteso l’ambito di applicazione della disposizione anche ai piani del consumatore previsti dalla Legge 3/2012, sempre purché omologati, e modificato l’arco temporale di riferimento, il quale ora prevede solo il termine iniziale del 23 febbraio 2020.
Laratio della norma, in linea con la più ampia direttiva di temperamento degli effetti di illiquidità e blocco della produzione connessi alla pandemia, è quella di evitare che la mancata corretta e puntuale esecuzione dei concordati e l’inadempimento degli accordi di ristrutturazione e dei piani del consumatore già omologati possano determinare esiti risolutori degli stessi[1].
La proroga in oggetto opera ex lege (come di recente confermato dal Tribunale di Ravenna, con provvedimento del 16 giugno 2020[2]) e non occorre quindi adottare alcuno speciale provvedimento che la recepisca.
Peraltro, il fatto che la durata della proroga sia stata fissata in misura predeterminata non significa, naturalmente, che il debitore non possa comunque adempiere ai propri obblighi nei termini previsti in origine, essendogli stata concessa la facoltà di pagare più tardi, senza impedirgli affatto di pagare prima[3].
Effetto della proroga è altresì il differimento del termine finale di adempimento del concordato o dell’accordo di ristrutturazione o del piano del consumatore[4].
Ciò brevemente premesso, la fattispecie concreta che maggiormente qui interessa, a nostro avviso, attiene all’ipotesi in cui i pagamenti previsti nella procedura omologata siano oggetto di un piano rateale di pagamento. In tal caso la proroga deve essere a nostro avviso intesa nel senso di un vero e proprio allungamento del piano di pagamento rateale originario.
Tuttavia, la regolazione degli interessi, come sopra anticipato, non trova nel D.L. Liquidità una propria specifica disciplina.
Al fine di comprendere dunque se la moratoria debba intendersi estesa anche al computo degli interessi, pare opportuno prendere in esame ulteriori istituti recentemente introdotti con la normativa emergenziale.
L’art. 56 del DL Cura Italia (Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito nella Legge 24 aprile 2020, n. 27) prevede per le ipotesi dei mutui e degli altri finanziamenti a rimborso rateale che “il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre 2020 è sospeso sino al 30 settembre 2020 e il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione è dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti; è facoltà delle Imprese richiedere di sospendere soltanto i rimborsi in conto capitale”.
Nel caso della moratoria ex art. 56 D.L. Cura Italia è dunque facoltà delle imprese richiedere la sospensione del pagamento dell’intera rata o soltanto dei rimborsi in conto capitale.
Sul punto il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nelle proprie FAQ, ha chiarito che:
– in caso di sospensione della sola quota capitale della rata, si determina la traslazione in avanti del piano di ammortamento per un periodo pari alla sospensione accordata. Gli interessi sul capitale ancora da rimborsare sono corrisposti alle scadenze originarie;
– in caso di sospensione dell’intera rata (quota capitale e quota interessi), si determina lo spostamento del piano di ammortamento per un periodo pari alla sospensione accordata. Gli interessi che maturano durante il periodo della sospensione sono calcolati sul capitale residuo al tasso di interesse del contratto di finanziamento originario. L’ammontare corrispondente a tali interessi sarà ripartito in quote nel corso dell’ammortamento residuo.
Ancora l’art. 54 del D.L. Cura Italia ha esteso il Fondo di solidarietà mutui “prima casa” (cd. “Fondo Gasparrini”), anche alle situazioni emergenziali derivanti dalla compromissione delle condizioni economiche createsi a seguito delle restrizioni previste per il contenimento del Covid 19, ponendo a carico del Fondo il “pagamento degli interessi compensativi nella misura pari al 50% degli interessi maturati sul debito residuo durante il periodo di sospensione”. In sintesi, il Fondo pagherà alle Banche il 50% degli interessi maturati sul debito residuo durante il periodo di sospensione, mentre l’altra metà dovrà essere pagata da titolare del finanziamento alla ripresa dei versamenti.
Anche in questa ipotesi dunque il computo degli interessi è espressamente previsto.
Pare opportuno, inoltre, riportare una decisione dell’ABF (Collegio di Roma – Decisione n. 3257 del 14 giugno 2013) resa in materia di computo di interessi su rate sospese nell’ambito della normativa emergenziale successiva al sisma che ha colpito la regione Abruzzo.
Le questioni che il Collegio ha esaminato nel provvedimento citato erano le seguenti:
a) se siano dovuti interessi sulle rate sospese (per effetto della previsione di legge ovvero della scelta volontaria degli intermediari);
b) se tali interessi, ove dovuti, debbano essere calcolati sulle rate il cui pagamento è stato sospeso ovvero sull’intero capitale residuo;
c) se gli interessi, ove dovuti, debbano essere calcolati sulla quota capitale delle rate o sull’intera rata, comprensiva degli interessi.
Quanto alla questione sub a), il Collegio ha rilevato “per principio generale (arg. ex dall’art. 1499 c.c.), che sulle somme non riscosse, ancorché non ancora esigibili, sono dovuti interessi, che si inquadrano nella figura degli interessi compensativi (si veda, Collegio Roma, decc. 1435/11, 1676/2011). Si può, in proposito, osservare, che la sospensione del pagamento delle rate relative al periodo indicato dalla legge non comporta, ovviamente, la loro rinuncia da parte della banca, bensì la loro posposizione, a fronte della quale gli interessi costituiscono il compenso dovuto alla banca. Nel silenzio della legge, non può pertanto essere contestato il diritto della banca a percepire detti interessi, sia che la sospensione sia stata disposta dalla legge, sia che essa sia frutto di volontaria adesione delle banche alle indicazioni dell’ABI. Tale diritto non può essere contestato per effetto della mancata comunicazione al mutuatario che sulle rate sospese sarebbero stati applicati interessi (anche se sulla correttezza di tale comportamento omissivo dell’intermediario il Collegio non può non esprimere riserve)”.
Quanto alla questione sub b), il Collegio ha rilevato che “lo stesso fondamento di tali interessi “di sospensione”, che si aggiungono a quelli contrattuali che risultavano già ab origine calcolati nell’importo complessivo delle rate in cui la restituzione del mutuo era stata suddivisa secondo il piano di ammortamento, fa sì che essi debbano calcolarsi sull’importo delle sole rate venute a scadenza nel periodo di sospensione e non sull’intero residuo debito, come invece vorrebbe l’intermediario. Le rate sospese sono, infatti, collocate in coda al piano di ammortamento, che viene così a prolungarsi per una durata corrispondente”.
Quanto alla questione sub c), il Collegio ha rilevato che “come già precisato nella propria decisione n. 1676/2011 – non essendo il mancato pagamento delle rate riferibile ad un inadempimento del mutuatario, non è applicabile il principio stabilito, in tema di capitalizzazione degli interessi, dall’art. 3, comma 1, Del. CICR 2.2.2000. Ne deriva che l’interesse di sospensione dovrà essere calcolato sulla sola quota capitale delle rate interessate”.
Tutto ciò premesso, pur nel silenzio della Legge, riteniamo che nei piani di concordato, negli accordi di ristrutturazione e piani del consumatore che prevedano un rimborso rateale in seguito ad un piano di ammortamento costituito da quota capitale e da quota interessi, questi ultimi non debbano considerarsi congelati dalla proroga e che si possa dunque procedere al computo degli stessi.
Del resto, nelle fattispecie sopra esaminate in ogni caso non è mai stato escluso il computo degli interessi.
Lo stesso ABF nella pronuncia sopra riportata, pur avendo oggetto fattispecie diversa, ha infatti affermato che “la sospensione del pagamento delle rate relative al periodo indicato dalla legge non comporta, ovviamente, la loro rinuncia da parte della banca, bensì la loro posposizione, a fronte della quale gli interessi costituiscono il compenso dovuto alla banca. Nel silenzio della legge, non può pertanto essere contestato il diritto della banca a percepire detti interessi, sia che la sospensione sia stata disposta dalla legge, sia che essa sia frutto di volontaria adesione delle banche alle indicazioni dell’ABI”.
Il computo degli interessi nel caso in esame, peraltro, non ci parrebbe in aperto conflitto con la ratio posta alla base della previsione di cui all’art. 9 del D.L. Liquidità, che come visto sopra, attiene non tanto ad un mero beneficio economico da riconoscere alla Società in costanza di concordato o di accordo di ristrutturazione, ma ad evitare che si creino i presupposti per far valere un inadempimento del concordato o dell’accordo e procedere con la risoluzione dello stesso (impedendo dunque il risanamento dell’impresa per cause connesse all’emergenza sanitaria e non tanto alla incapacità della stessa di adempiere alle proprie obbligazioni e di continuare a stare sul mercato).
Sul come computare gli interessi, riteniamo che, dal momento che la previsione di cui all’art. 9 del D.L. Liquidità opera ex lege (e dunque non v’è necessità di alcun provvedimento o atto negoziale di recepimento, fatta salva la teorica possibilità che il debitore rispetti le scadenze originarie), ci sembrerebbe maggiormente coerente procedere nel modo previsto per l’art. 56 del D.L. Cura Italia, considerando sospesa l’intera rata di rimborso, sia per quota capitale che per quota interessi.
In tal caso, come visto sopra, si determina lo spostamento del piano di ammortamento per un periodo pari alla sospensione accordata. Gli interessi che maturano durante il periodo della sospensione sono calcolati sul capitale residuo al tasso di interesse del contratto di finanziamento originario (nel nostro caso al tasso di interesse previsto nel piano). L’ammontare corrispondente a tali interessi sarà ripartito in quote nel corso dell’ammortamento residuo.
Rileviamo inoltre come a nostro avviso la questione del computo o meno degli interessi non si applichi in quelle ipotesi in cui il decorso degli interessi è comunque escluso o dalla legge (a titolo esemplificativo, nell’ambito dei concordati preventivi, anche successivamente all’omologa, in relazione ai creditori chirografari, per i quali vale il disposto di cui all’art. 55 l.f.) o comunque in via contrattuale (ad esempio negli accordi di ristrutturazione, allorché sia previsto semplicemente in capo al debitore l’obbligo di rientrare – con modalità rateale o c.d. “bullet” – senza che però vi sia applicazione di interessi).
Precisiamo come le nostre siano considerazioni prese in base ad una interpretazione sistematica ed analogica delle norme emergenziali di recente introduzione. Sarebbe auspicabile, dato il notevole impatto della norma e considerato che la questione qui esaminata potrebbe dar luogo a futuri contenziosi, un intervento chiarificatore del Legislatore o quantomeno un parere di coordinamento da parte delle associazioni di categoria, avendo la questione oggetto del presente parere evidenti analogie con fattispecie, non solo in passato, già prese in considerazione.
[1] Riportiamo la parte di interesse della Relazione Illustrativa al Decreto Liquidità: “L’attuale situazione di crisi genera concreti rischi anche in relazione alla sopravvivenza dei tentativi di soluzione della crisi di impresa alternativa al fallimento promossi in epoca anteriore al palesarsi dell’emergenza epidemiologica determinata dal diffondersi del COVID-19. In questo caso, procedure di concordato preventivo o accordi di ristrutturazione aventi concrete possibilità di successo prima dello scoppio della crisi epidemica potrebbero risultare irrimediabilmente compromesse, con ricadute evidenti sulla conservazione di complessi imprenditoriali anche di rilevanti dimensioni.
Allo scopo di neutralizzare questa prospettiva, la norma in esame prevede una serie di interventi inerenti le procedure di concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione, consistenti, in sintesi:
1) nella proroga dei termini di adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione che abbiano già conseguito con successo l’omologa da parte del tribunale al momento dell’emergenza epidemiologica;
(…)
La prima misura si traduce in una proroga ex lege di sei mesi dei termini di adempimento in scadenza nel periodo che va dal 23 febbraio 2020 al 31 dicembre 2021, con evidenti riflessi anche sul meccanismo di risoluzione dei concordati ex art. 186 l. fall. (…)”.
[2] Sul punto, cfr. Tribunale di Ravenna, 16 Giugno 2020. Pres. Sereni Lucarelli. Est. Farolfi, in www.ilcaso.it: “L’interpretazione della nuova facoltà processuale prevista dal comma 3 dell’art. 9 d.l. liquidità – che è evidentemente ispirata ad un principio di favore per il buon esito delle procedure alternative al fallimento – non può non tenere conto della modifica che in sede di conversione è stata apportata al comma 1 della stessa disposizione; se infatti in sede di prima formulazione la norma prevedeva un allungamento semestrale dei termini di adempimento dei concordati preventivi già omologati aventi una scadenza ricompresa fra il 23 febbraio 2020 ed il 31 dicembre 2021, in sede di definitiva approvazione della legge n. 40/2020, è stata eliminata la finestra cronologica finale, sì che ogni concordato già omologato purchè abbia una scadenza successiva al 23 febbraio u.s. potrà fruire ex lege di una proroga semestrale per il suo adempimento, giustificata dalle gravissime conseguenze economiche generate dalla diffusione pandemica del Covid-19. Anche alla luce di tale modifica non vi sono, pertanto, motivi per rigettare la richiesta avanzata dalla debitrice in concordato (nel caso di specie è stato richiesto parere ai C.G. e valutato il possibile incremento delle spese prededuttive derivanti dal richiesto prolungamento semestrale dei termini di adempimento del concordato)”.
[3] Cfr. F. Lamanna, Le misure temporanee previste dal Decreto Liquidità per i concordati preventivi e gli accordi di ristrutturazione, 14 aprile 2020, in ilfallimentarista.it: “(…) La proroga opera ex lege e non occorre quindi adottare alcuno speciale provvedimento che la recepisca, escludendosi dunque qualsiasi vaglio di merito da parte del Tribunale anche sui concreti effetti determinati dall’emergenza COVID nel singolo caso al fine del rispetto dei termini di adempimento. Solo questi sono oggetto di modifica de jure, e non invece i piani e le proposte consacrati dall’intervenuta omologazione.
Che la durata della proroga sia stata fissata in misura fissa non significa, naturalmente, che il debitore non possa comunque adempiere ai suoi obblighi nei termini previsti in origine, essendogli stata concessa una facoltà in più – quella di pagare più tardi – senza impedirgli affatto di pagare prima. È appena il caso di rilevare che, stante la proroga, il mancato adempimento dei predetti obblighi nei termini originari non costituisce giusta causa di risoluzione del concordato, occorrendo semmai fare riferimento a tal fine ai nuovi termini prorogati (…)”.
Cfr. anche S. Morri, Il Decreto liquidità e le modifiche alla disciplina fallimentare. Una prima analisi, alcuni spunti critici e delle proposte, 9 aprile 2020, in ilfallimentarista.it, il quale ha espresso le seguenti e condivisibili riserve sulla proroga in esame: “(…) È prevista (art. 9, comma 1) una proroga di sei mesi dei termini di adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione già omologati e che hanno scadenza tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021. Qui entriamo in un’area molto delicata, che si intreccia con quella dei finanziamenti garantiti dallo Stato. Prevedere il rinvio di sei mesi degli adempimenti delle società che hanno già ottenuto l’omologazione e sono in fase di esecuzione del piano vuol dire scaricare sui fornitori, già prostrati, il problema della liquidità di queste imprese, che non è per niente diverso dal problema della liquidità di tutte le altre imprese. È una mossa in totale controtendenza con la politica del Governo volta a non interrompere i cicli aziendali. Evidentemente la mano che ha scritto questa norma non è la stessa che ha scritto quelle sulla liquidità. Bisogna prevedere che anche le imprese che abbiano superato l’omologazione possano accedere, senza le stringenti condizioni di cui infra, ai prestiti garantiti dallo Stato proprio per potere mantenere il piano. Esattamente il contrario di quel che si è fatto. Saranno le banche ad accordare semmai moratorie sui loro crediti a fronte delle provvidenze dello Stato sul fronte della liquidità. E poi non si capisce perché qui, a differenza di quanto si fa per i piani durante la procedura, non vi sia un vaglio di merito del Tribunale, cosicché sono messe sullo stesso piano aziende in grado di pagare, perché addirittura favorite da Covid 19, e altre in difficoltà. Dovrebbe poi avere un qualche rilievo anche il tempo decorso dall’omologazione, posta la durata spesso quinquennale dei piani, onde evitare che siano sullo stesso piano imprese ancora di fresca convalescenza ad altre che sono anni che si sono lasciate alle spalle il concordato e stavano, almeno prima dell’emergenza, navigando in acque tranquille (…)”.
[4] Cfr. F. Autelitano, Decreto Liquidità e disposizioni in materia di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione, 8 aprile 2020, in www.dirittobancario.it, in quale ha affermato che: “(…) Vi è tuttavia anche l’ipotesi, tutt’altro che infrequente, che il concordato o l’accordo ex art. 182bis l. fall. preveda, post omologa, l’attuazione di un complessivo assetto di adempimenti, che costituisce la tipica estrinsecazione dell’adempimento del piano predisposto dal debitore a supporto della proposta al ceto creditorio. Non è irragionevole pensare che, avuto riguardo alla ratio, la nuova norma possa essere intesa nel senso che il medesimo periodo di moratoria di sei mesi debba operare (anche) per differire il termine finale di adempimento del concordato o dell’accordo di ristrutturazione. A favore della predetta valutazione unitaria dei complessivi adempimenti della società debitrice risiede, in primo luogo, il riferimento letterale ai “termini di adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione omologati”. Inoltre, il termine finale degli adempimenti previsti nel piano omologato assume specifico rilievo ai fini della risoluzione del concordato, ai sensi dell’art. 186 l. fall. (…)”.