Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 12264 del 2016, pubblicata lo scorso 8 novembre 2016, si è pronunciato in tema di qualificazione della fattispecie posta al suo esame, relativa a un impegno da parte di una società ad indennizzare gli amministratori dimissionari di altra società, in termini di contratto a favore di terzo ex. art. 1411 c.c..
Al fine di meglio comprendere la qualificazione operata dal Collegio, è necessario premettere taluni brevi cenni concernenti la fattispecie concreta di cui alla sentenza in esame.
Il caso posto all’attenzione del Collegio si inserisce infatti in una situazione di crisi nella quale versavano una società (di seguito, la “Società Holding“) e la sua controllata, tale da richiedere un piano di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d) l.f.. Una terza società (la “Società Finanziaria“), si dimostrava interessata a un complessivo piano di salvaguardia della solvibilità della Società Holding e del relativo gruppo; tale piano prevedeva, inter alia, la sottoscrizione da parte della Società Finanziaria di un aumento di capitale della Società Holding, finalizzato ad aumentare a sua volta il capitale sociale della relativa controllata. A seguito di tale aumento di capitale, la Società Finanziaria sarebbe venuta a detenere il controllo della Società Holding. Inoltre, nell’ambito di detto piano complessivo erano previste anche talune operazioni straordinarie fra società controllate dalla Società Finanziaria e dalla Società Holding.
La Società Finanziaria si impegnava quindi a sottoscrivere e liberare l’aumento di capitale, al soddisfacimento di talune condizioni sospensive. Fra le stesse vi era, rilevante in particolare per la sentenza in esame, la seguente: le dimissioni irrevocabili di almeno la maggioranza degli amministratori di nomina assembleare della Società Holding, con la rinuncia da parte degli stessi a far valere qualsiasi pretesa in relazione alle cariche ricoperte, ad eccezione del pro-rata dei compensi annuali maturati per la parte non ancora corrisposta, nonché di quelli maturandi sino alla scadenza naturale del loro mandato. Le parti davano atto che le condizioni sospensive, fra cui anche quella appena riportata, erano apposte nell’esclusivo interesse della Società Finanziaria.
La Società Finanziaria procedeva quindi a indirizzare alla Società Holding, all’attenzione del Consiglio di Amministrazione, una lettera a latere dell’accordo di cui sopra (la “Lettera“), specificando i termini dell’accordo e la sua propedeuticità alla realizzazione del piano di risanamento. Inoltre, nella Lettera si specificava quanto segue: in considerazione della richiesta alla maggioranza degli amministratori di nomina assembleare della Società Holding di porre termine in via anticipata alla propria carica di amministratore, e preso atto dell’ammontare complessivo degli emolumenti spettanti al C.d.A. della Società Holding, la Società Finanziaria si impegnava in via irrevocabile a far sì che, ai sensi dell’art. 1381 del codice civile, la Società Holding, subordinatamente alla sottoscrizione dell’aumento di capitale, corrispondesse a tutti gli amministratori della stessa Società Holding, a titolo di indennizzo per la cessazione anticipata dalla carica, gli importi che ciascuno di essi avrebbe dovuto percepire per il restante periodo della carica (inclusi quelli riferibili agli amministratori investiti di particolari cariche). La Società Finanziaria riconosceva ed accettava che l’impegno irrevocabile di cui sopra nei confronti degli amministratori della Società Holding non abbisognava di alcuna loro espressa adesione o accettazione e li dispensava altresì da qualsiasi dichiarazione di volerne profittare.
La maggioranza degli amministratori – ma non il Presidente del C.d.A. – rassegnava spontaneamente le proprie dimissioni irrevocabili, accompagnate da una dichiarazione di non avere più nulla a pretendere nei confronti della Società Holding, ad eccezione naturalmente dei compensi maturati e maturandi. Decadeva quindi l’intero C.d.A., come da statuto della Società Holding; la Società Finanziaria sottoscriveva l’aumento di capitale e l’assemblea ordinaria della Società Holding immediatamente successiva nominava i nuovi consiglieri.
Al precedente Presidente del C.d.A., che aveva coperto anche la carica di amministratore delegato, e che non si era dimesso, venivano corrisposti tuttavia solo parte dei compensi di sua spettanza con riferimento alle cariche ricoperte. Il Presidente procedeva quindi ad agire in giudizio nei confronti sia della Società Holding che della Società Finanziaria per la condanna al pagamento di tali somme, a titolo di indennizzo ovvero di risarcimento del danno ex art. 1381 c.c., fondando la propria domanda sulla Lettera. Le due società convenute resistevano con numerose eccezioni.
Delineati così i tratti distintivi della fattispecie concreta, è possibile ora passare all’analisi della parte di diritto relativa alla sentenza in commento.
Sotto tale profilo, il Tribunale di Milano affronta in primo luogo talune questioni preliminari, fra le quali ribadisce il principio pacifico secondo cui spetta al Giudice di operare la qualificazione giuridica dei fatti fondanti le domande poste dalle parti, ponendosi perfettamente in linea con la giurisprudenza consolidata sul punto[1].
Nel merito, invece, il Collegio affronta le eccezioni dei convenuti iniziando dalla qualificazione giuridica, appunto, dei rapporti fra le parti in causa. In particolare, il Tribunale ritiene che i rapporti giuridici nascenti dalla Lettera non possano essere ricondotti allo schema della promessa di fatto del terzo di cui all’art. 1381 c.c.. Tale schema di promessa viene infatti definito come l’impegno che il promittente assume con il promissario/beneficiario a che un terzo – un soggetto quindi estraneo alla promessa – assuma un comportamento vantaggioso per il promissario/beneficiario. La promessa è inoltre inefficace nei confronti del terzo[2]. Nel caso di specie, tuttavia, l’accordo che viene riportato nella Lettera è stipulato tra la Società Finanziaria e la Società Holding, e quest’ultima certamente non è destinataria di alcun beneficio da parte di soggetti estranei all’accordo, il cui comportamento sia promesso dalla Società Finanziaria.
Viene quindi esclusa la sussumibilità dei rapporti in esame alla fattispecie prevista dall’art. 1381 c.c. Ed infatti, alla promessa del fatto del terzo di cui all’art. 1381 c.c. non è ricollegata alcuna conseguenza giuridica per il terzo, ma esclusivamente l’obbligo per il promittente di indennizzare l’altro contraente, se il terzo non compie il fatto promesso[3].
Il Tribunale di Milano ritiene che il caso de quo sia riconducibile piuttosto allo schema del contratto a favore di terzo ex art. 1411 c.c.. Il Tribunale si afferma consapevole del dato testuale della Lettera, che indicherebbe, a una lettura non contestuale, il solo impegno della Società Finanziaria a corrispondere alla Società Holding i mezzi finanziari necessari.
Tale lettura viene tuttavia considerata restrittiva e limitante, in ragione della comune volontà delle parti, della funzione dell’atto e del fatto che nella Lettera si legge anche che l’impegno della Società Finanziaria è “nei confronti degli amministratori della [Società Holding]”. Detto impegno nei confronti degli amministratori non può peraltro essere in capo alla Società Holding, poiché in tal caso non avrebbe senso il riconoscimento da parte della Società Finanziaria dell’impegno né l’aver dispensato gli amministratori dal volerne profittare. Il Tribunale di Milano ritiene quindi che la Società Finanziaria abbia assunto due obbligazioni nella Lettera: (i) l’obbligo di corrispondere alla Società Holding i mezzi finanziari necessari per indennizzare gli amministratori – senza che la Società Holding abbia peraltro assunto alcun obbligo di versamento agli stessi – e (ii) l’obbligo nei confronti degli amministratori di corrispondere loro tali importi. Tale schema è ritenuto corrispondente al contratto a favore di terzo ex art. 1411 c.c., in cui la Società Finanziaria assume la veste del promittente, la Società Holding la veste dello stipulante e gli amministratori la veste di terzi beneficiari[4]. Gli amministratori divengono pertanto titolari di un diritto di credito nei confronti della Società Finanziaria.
Il Collegio affronta quindi la restante parte delle eccezioni proposte dai convenuti. Fra queste si segnalano le questioni riguardanti l’interesse delle parti e la causa dell’accordo di cui alla Lettera.
Con riferimento alla questione relativa all’interesse delle parti, il Tribunale muove dalle seguenti considerazioni: (i) le dimissioni degli amministratori della Società Holding non erano un atto giuridicamente dovuto; (ii) ai sensi dell’art. 2383 c.c., una società può liberarsi dell’amministratore con revoca ad nutum, salvo il risarcimento del danno in assenza di giusta causa; e (iii) le clausole della Lettera di cui al caso de quo erano indirizzate indistintamente a tutti i membri del C.d.A.
Sulla base di ciò, vengono ricostruiti l’interesse della promittente Società Finanziaria e l’interesse della stipulante Società Holding[5] alla promessa della prima nei confronti degli amministratori. Quanto alla Società Finanziaria, essa aveva interesse ad agevolare le dimissioni degli amministratori, in modo tale da poter vedere soddisfatta la condizione sospensiva all’aumento di capitale e realizzare un piano di avvicinamento del proprio gruppo e di quello della Società Holding. Quanto alla Società Holding, essa aveva certamente interesse a salvare il proprio gruppo, vedendo avviato il piano complessivo di risanamento.
Gli interessi delle parti nel caso di specie rientrano peraltro nello schema di contratto a favore di terzi. Per aversi contratto a favore di terzi è necessaria infatti[6] la dissociazione degli interessi in gioco, nel senso che l’interesse del terzo deve essere autonomo nei confronti di quello del promittente o dello stipulante (schema rinvenibile nel caso in esame).
Con riferimento alla questione della causa dell’accordo, il Tribunale la rinviene nel consentire una sostituzione rapida e senza strascichi di contenzioso degli amministratori in carica prima dell’aumento di capitale con altri di nomina della Società Finanziaria[7]. A tale proposito, si ricorda che la materia degli amministratori, della loro revoca e del relativo risarcimento del danno è materia disponibile. Le parti hanno quindi posto in essere un meccanismo che, da un lato, evita la revoca degli amministratori al fine di evitare contenziosi in ordine alla sussistenza della giusta causa; dall’altro lato, raggiunge l’obiettivo delle dimissioni della maggioranza degli amministratori e la conseguente caducazione dell’intero C.d.A., oltre alla sostituzione degli amministratori nel modo più rapido e indolore possibile[8].
Ne consegue peraltro che il diritto di credito di cui sono titolari gli amministratori – e quindi anche il Presidente del C.d.A. – nei confronti della Società Finanziaria prescinde da ogni accertamento in ordine alla sussistenza o meno della giusta causa di revoca. Con la Lettera le parti hanno infatti voluto evitare tale accertamento, come era lecito fare trattandosi di materia estranea alla disciplina di norme imperative: non si tratta di responsabilità degli amministratori verso la società – l’azione di responsabilità potrebbe essere fatta peraltro valere in altre sedi – ma di responsabilità della società verso gli amministratori.
A conclusione delle argomentazioni sopra riportate, il Collegio ritiene che le domande del Presidente del C.d.A. siano fondate, sebbene facendo riferimento all’errata fattispecie normativa. A seguito della qualificazione dei rapporti fra le parti in causa nello schema del contratto a favore di terzo, i Giudici ritengono che l’attore nulla possa pretendere dalla Società Holding; quest’ultima ha infatti assunto la veste di stipulante nel contesto della Lettera, e non ha quindi alcuna obbligazione di pagamento nei confronti dei propri amministratori.
Il Tribunale di Milano accoglie invece le pretese attoree nei confronti della Società Finanziaria, segnalando peraltro che, avendo inquadrato il rapporto nello schema del contratto a favore di terzo ai sensi dell’art. 1411 c.c., “non può farsi questione di “indennizzo” ma senz’altro di adempimento dell’obbligazione assunta dal promittente ([la Società Finanziaria]) verso il terzo (gli amministratori)”.
[1] Cfr., fra le ultime, Tribunale di Roma, Sez. XI, sentenza n. 2652 del9 febbraio 2017, Cass. Civ., Sez. lav., sentenza n. 23865 del 23 novembre 2016, e così pure Cass. Civ., Sez. lav., sentenza n. 2651 del 10 febbraio 2016, Cass. Civ., Sez. lav., sentenza n. 12943 del 24 luglio 2012 e Corte d’Appello di Bari, Sez. III, sentenza n. 27 del 19 gennaio 2012.
[2] Cfr. Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 1110 del 14 febbraio 1980, che, sebbene risalente viene ripresa anche dalla sentenza in commento, e così pure Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 1379 del 27 febbraio 1980. Vi si afferma infatti che la promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo ha per suo presupposto indispensabile che il rapporto si sia svolto unicamente fra colui che ha fatto e colui che ha accettato la promessa e, quindi, che ad esso sia rimasto estraneo il terzo. Non può, pertanto, configurarsi l’istituto regolato dall’art. 1381 c.c. nel caso in cui il terzo, per la natura e l’oggetto del negozio, sia chiamato a partecipare alla formazione di esso, prestando il proprio consenso alla stipulazione dello stesso.
[3] Cfr. A. Cataudella, I contratti – Parte generale, G. Giappicchelli Editore, Torino, 2014, p. 286.
[4] Con riferimento alla struttura del contratto a favore di terzo, cfr. le seguenti pronunce: Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 8272 del 9 aprile 2014; Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 759 del 14 gennaio 2011; Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 12447 del 9 dicembre 1997 e Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 1136 del 4 febbraio 1988. Inoltre, fra tutti, cfr. V. Roppo, Diritto privato – Linee essenziali, G. Giappicchelli Editore, Torino, 2014, p. 354 e ss., oltre a V. Sanna, Patto parasociale a vantaggio della società e contratto a favore del terzo, nota a Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 9846 del 7 maggio 2014, in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc.6, 2015, pag. 697 e ss., e M. Dogliotti e D. Morello di Giovanni, Contratto a favore di terzo, in Giur. merito, fasc.2, 2001, pag. 513 e ss..
[5] Con riferimento all’interesse dello stipulante nel contratto a favore di terzi, cfr. le seguenti sentenze: Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 3749 del 3 luglio 1979 e Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 2578 del 2 luglio 1975, oltre a V. Roppo, Diritto privato – Linee essenziali, G. Giappicchelli Editore, Torino, 2014, pp. 354-355, oltre a V. Sanna, Patto parasociale a vantaggio della società e contratto a favore del terzo, nota a Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 9846 del 7 maggio 2014, in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc.6, 2015, pag. 697 e ss. E e M. Dogliotti e D. Morello di Giovanni, Contratto a favore di terzo, in Giur. merito, fasc.2, 2001, pag. 513 e ss..
[6] Cfr. V. Sanna, Patto parasociale a vantaggio della società e contratto a favore del terzo, nota a Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 9846 del 7 maggio 2014, in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc.6, 2015, pag. 697 e ss..
[7] Sul punto si ricorda che l’orientamento secondo il quale l’attribuzione del diritto al terzo, nel contratto a favore altrui, può rinvenire il proprio fondamento nei più svariati profili causali (cfr. V. Sanna, Patto parasociale a vantaggio della società e contratto a favore del terzo, nota a Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 9846 del 7 maggio 2014, in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc.6, 2015, pag. 697) e ss..
[8] Con riferimento alla causa nel contratto a favore di terzo, cfr. i seguenti arresti: Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 8272 del 9 aprile 2014 e Cass. Civ., Sez. Un., sentenza n. 4192 del 16 marzo 2012 (la causa giustificativa del contratto coinciderebbe con l’interesse dello stipulante, che peraltro sta alla base di ogni contratto a favore di terzi ai sensi dell’art.1411 c.c.). Inoltre, cfr. e M. Dogliotti e D. Morello di Giovanni, Contratto a favore di terzo, in Giur. merito, fasc.2, 2001, pag. 513 e ss. oltre a V. Roppo, Diritto privato – Linee essenziali, G. Giappicchelli Editore, Torino, 2014, p. 355: l’interesse dello stipulante fa parte della causa del contratto.