Il divieto di sequestro, pignoramento o cessione di stipendi, salari, pensioni ed altri emolumenti sancito dall’art. 1 del d.P.R. n. 180 del 1950 trova applicazione anche con riferimento alla costituzione di pegno.
Sul piano funzionale deve infatti riconoscersi una perfetta assimilabilità tra la costituzione in pegno ed il pignoramento (di crediti), avendo entrambi lo scopo di vincolare il credito allo scopo del soddisfacimento del creditore pignoratizio e l’effetto di sottrarne la disponibilità al debitore pignorato, legittimando il creditore pignoratizio, in sua sostituzione, alla riscossione del credito, se del caso anche attraverso l’assegnazione (art. 2804 cod. civ.), esattamente negli stessi termini dunque in cui è previsto per l’espropriazione presso terzi dall’art. 553 cod. proc. civ..
Se lo scopo del suddetto divieto è infatti quello di garantire la permanente destinazione della maggior parte degli stipendi, salari, pensioni ed altri emolumenti alla loro naturale destinazione di far fronte ai bisogni propri del dipendente e della sua famiglia (a difesa del dipendente anche da sé stesso, ossia dai pregiudizi che deriverebbero dalla eventuale propensione a far eccessivo ricorso a finanziamenti ed a conseguenti indebitamenti), appare innegabile la piena sovrapponibilità, rispetto ad esso, delle ipotesi, da un lato, del pignoramento di crediti, quale atto unilaterale prodromico alla espropriazione forzata, e, dall’altro, della costituzione volontaria di pegno, quale atto dispositivo consensuale, volgente al medesimo risultato.