Un recentissimo paper dell’ISDA (International Swaps and Derivatives Association) muove dalle ultime tendenze del mercato globale dei contratti derivati per soffermarsi sul fenomeno dei derivati OTC non cleared, offrendo utilissimi spunti dal punto di vista contrattuale e legale. Un duplice chiarimento preliminare è fondamentale.
Si intendono per derivati OTC (Over the Counter) tutti quei contratti derivati che non sono scambiati su mercati regolamentati, tali per cui non esiste una quotazione ufficiale del loro valore che sia pubblicamente disponibile (come invece accade per i titoli quotati in borsa, per esempio). Si intendono, invece, derivati non-cleared, quelli che non ricadono in alcun circuito di compensazione e garanzia, ragion per cui si tratta di operazioni in cui ciascuna parte sopporta per intero il rischio di controparte, in quanto i relativi pagamenti sono effettuati dalle parti senza interfaccia di un soggetto terzo che si interponga istituzionalmente per neutralizzare ogni reciproco rischio di controparte. Per quanto ovvio, è utile ricordare che la funzione di una controparte istituzionalmente dedicata ad agire per la compensazione e garanzia, è alla base del funzionamento di qualsiasi mercato regolamentato. L’introduzione delle Controparti Centrali per la Compensazione è uno degli strumenti con cui i regolatori hanno deciso di prevenire il propagarsi di un rischio finanziario sistemico causato dagli inadempimenti a catena in tutti i contratti derivati non scambiati sui mercati regolamentati (OTC, appunto). Come puntualizzato in un articolo apparso lo scorso 14 marzo su questo sito, a partire dal luglio 2014, le Controparti Centrali per la Compensazione dei contratti derivati OTC saranno obbligatorie anche in l’Italia.
Fatte queste premesse, il paper dell’ISDA si concentra su alcuni aspetti problematici che non possono essere ignorati né dai regolatori né da chi sarà chiamato ad assicurare l’interpretazione e l’applicazione delle regole sulla compensazione dei contratti derivati. Va da sé che l’istituzione di una Controparte Centrale non è a costo zero per gli operatori finanziari, in quanto implica appositi obblighi di finanziamento del soggetto centrale. Inevitabili restrizioni si riflettono poi sul tipo di documentazione contrattuale impiegata dagli operatori: è altrettanto intuitivo che la devoluzione ad un circuito di compensazione implichi la massima standardizzazione contrattuale, pur essendo molteplici le tipologie di operazioni realizzate.
Esistono però ben specifiche tipologie di operazioni cui ricorrono frequentemente determinate categorie di operatori non finanziari (le compagnie aeree, le società energetiche, le imprese con vocazione alla esportazione, ma anche i governi, le istituzioni pensionistiche, alcune imprese assicurative) che si concentrano essenzialmente sulla gestione del rischio di cambio secondo scadenze non ricorrenti, sull’oscillazione a lungo termine dei tassi di interesse, sul reperimento di adeguate modalità di investimento in equity mediante opzioni strutturate ad hoc, sull’andamento di indici e parametri di non facile monitoraggio. Per queste ragioni, ovvero per il loro riferimento ad elementi e parametri di non omogenea diffusione, queste operazioni sono anche denominate taylor made (ossia su misura) e come tali sono documentate con contratti ad hoc (non potendo soggiacere a schemi contrattuali standardizzati), oltre che caratterizzate da meccanismi di funzionamento, durata, calcolo del valore del tutto incompatibili con le logiche operative standard di una Controparte Centrale per la Compensazione. Orbene, il rilievo dell’ISDA è molto chiaro: se da un lato è sacrosanta la regolamentazione e la prevenzione del rischio sistemico connesso all’uso dei derivati OTC, altrettanto fondamentale è agevolare gli operatori commerciali nella migliore gestione dei rischi connessi al loro business, non ostacolando il ricorso di questi ultimi all’uso di operazioni taylor made.
L’uso di dette operazioni presuppone da un lato la disponibilità degli operatori finanziari ad incontrare ed assecondare le esigenze di risk management sottese alle richieste delle categorie di operatori commerciali sopra esemplificate. Dall’altro presuppone un quadro regolamentare ad hoc, che non sfavorisca chi offre ed impiega prodotti che non si adattano facilmente alla standardizzazione dei circuiti delle Controparti Centrali per la Compensazione.
Tradotto in termini ancor più pratici, il monito dell’ISDA è inequivoco: sul tavolo della regolamentazione non possono trovare spazio solo i profili di rischio sistemico legato agli operatori finanziari globali in contratti derivati, ma devono trovare adeguata considerazione i rischi operativi e commerciali di altrettanto ben individuate categorie di imprenditori e operatori governativi. Per assicurare la migliore gestione di questi rischi (con ciò prevenendo gli effetti deleteri della loro mancata copertura) occorre accordare altrettanto riguardo a meccanismi di prevenzione del tutto diversi dalla istituzione di Controparti Centrali per la Compensazione. Diversamente, si aggiungerebbe ad un esito paradossale: l’eccesso di regolamentazione (e standardizzazione) se da un lato previene rischi sistemici, dall’altro lascia scoperti i rischi operativi di chi non trova sul mercato dei derivati OTC i prodotti adeguati alle proprie esigenze di copertura (perché poco standard appunto). Con la conseguenza che la mancata copertura di questi rischi non per questo abbia una ripercussione meno esiziale sulla tenuta dell’economia globale.