Nella sentenza numero 19188 del 2015 il Tribunale di Roma menziona, al fine di chiarire quali siano i principi fondamentali che contraddistinguono la redazione del bilancio nelle società di capitali, il quadro normativo di riferimento; in base alla disciplina codicistica, il bilancio di esercizio delle società di capitali è costituito da tre documenti contabili: stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa (art. 2423, comma 1, c.c.) e che la funzione del bilancio di esercizio è quella di dimostrare e rendere noto agli interessati il risultato economico del periodo considerato. In base all'articolo 2423, comma secondo del codice civile, è previsto, espressamente che "il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società ed il risultato economico dell'esercizio".
Alla luce di quanto sopra esposto, la deliberazione di assemblea di società di capitali con la quale venga approvato un bilancio redatto in modo non conforme ai sopra menzionati precetti normativi ( o in violazione dalle norme dettate dalle altre disposizioni in materia di bilancio costituenti espressione dei medesimi precetti), è da ritenersi nulla per illiceità dell'oggetto (art. 2379 c.c.), essendo tali disposizioni poste a tutela degli interessi che trascendono i limiti della compagine sociale e riguardano anche i terzi, del pari destinatari delle informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società.
Merita menzione l'ulteriore questione affrontata dal Tribunale di Roma in relazione alla determinazione del compenso spettante all'amministratore. Dal contenuto dell’art. 2389 c.c. si desume che l’ordinamento riconosce agli amministratori delle società di capitali il diritto ad un compenso per l’attività da essi svolta per conto della società in adempimento del mandato ricevuto (naturalmente oneroso, ex art. 1709 c.c.). La pretesa dell’amministratore di una società al compenso per l’opera prestata, dovendosi presumere che l’attività professionale sia svolta a titolo oneroso, va qualificata in termini di diritto soggettivo perfetto. In tema di amministratori di società di capitali, pertanto, non esiste un compenso minimo, tanto è vero che essi possono accettare di essere retribuiti in modo oggettivamente inadeguato al lavoro svolto, anche se, in tali ipotesi, vi deve essere il loro consenso, ancorché tacito.