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Giurisprudenza

Inadeguatezza della documentazione bancaria attestante l’avvenuto pagamento delle fatture ai fini della dimostrazione dell’effettività delle operazioni

16 Febbraio 2017

Dott. Marcello Moretti, Dottore di ricerca in diritto pubblico e tributario nella dimensione europea nell’Università di Bergamo

Cassazione Civile, Sez. V, 23 novembre 2016, n. 23804

La Corte di Cassazione, nella sentenza in rassegna, è tornata ad affrontare il tema delle operazioni inesistenti[1] e, con riferimento all’inesistenza oggettiva, ribadisce un principio consolidato[2], ovverosia che la sola documentazione dell’avvenuto pagamento delle fatture non è di per sé sufficiente a dimostrare l’effettività di un’operazione.

Il contribuente, nel caso di specie, ricorreva contro plurimi avvisi di accertamento con i quali, in relazione sia a quelle operazioni qualificate come oggettivamente inesistenti che a quelle classificate come soggettivamente inesistenti, erano stati ripresi a tassazione tanto i costi, perché ritenuti indeducibili, quanto l’iva, poiché considerata indetraibile.

Sia la Commissione tributaria provinciale che quella regionale[3] rigettavano le istanze della parte contribuente volte a dimostrare, da un lato, la concreta realizzazione delle operazioni e, dall’altro lato, la propria buona fede e l’estraneità nei confronti dell’illecito commesso dal fornitore.

Il contribuente, da ultimo, ricorreva per Cassazione denunciando vizi della motivazione in relazione all’individuazione delle operazioni inesistenti.

La Corte, nella decisione qui commentata, per quanto concerne le operazioni oggettivamente inesistenti ha confermato un orientamento assolutamente condivisibile. In relazione a tale fattispecie, difatti, la Cassazione, avallando quanto affermato dai giudici di merito, ha riaffermato che i pagamenti a mezzo di conti bancari e bonifici, se non corroborati da ulteriori elementi, non possono scardinare l’asserita esclusiva dimensione cartolare delle operazioni contestate.

La documentazione bancaria attestante l’avvenuto pagamento delle fatture, infatti, non può essere ritenuta idonea a dimostrare l’effettiva esecuzione delle operazioni sottostanti poiché tali strumenti vengono spesso utilizzati in modo fittizio al fine di dissimulare il compimento di illeciti[4].

Gli elementi ulteriori che si rendono necessari per comprovare la reale esecuzione di una cessione di beni, operazione oggetto di analisi in questo frangente, vengono individuati, a titolo esemplificativo, nei documenti di trasporto che, nella circostanza specifica, erano completamente assenti[5].

 


[1] Per un’accurata ricostruzione della nozione di operazioni inesistenti, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, si rinvia a G. Zizzo, Incertezze e punti fermi in tema di frodi carosello, in Corr. trib., 2010, n. 2, p. 962 ss.; M. Logozzo, Iva e fatturazione per operazioni inesistenti, in Riv. dir. trib., 2011, n. 3, p. 287 ss. ed E. Della Valle, Le operazioni inesistenti nell’ordinamento penal-tributario, in Rass. trib., 2015, n. 2, p. 433 ss.

[2] Cfr., ex multis, Cass. Civile, Sez. V, sentenza n. 8634 del 29 aprile 2015; Cass. Civile, Sez. V, sentenza n. 12802 del 10 giugno 2011 e Cass. Civile, Sez. V, sentenza n. 15228 del 3 dicembre 2001.

[3] CTR Bologna, Sez I, sentenza n. 7 del 9 gennaio 2009.

[4] La Cassazione, ai fini della dimostrazione dell’effettività di un’operazione, già nella summenzionata sentenza n. 15228 del 2001 aveva statuito che «[t]ale prova, però non può essere costituita dalla sola esibizione dei mezzi di pagamento, che normalmente vengono utilizzati fittiziamente, per dare corpo apparente ad una transazione inesistente. Si tratta di un mero elemento indiziario, la cui presenza (o assenza) deve essere letta nel contesto di tutte le altre risultanze processuali».

[5] A tale proposito nella sentenza di secondo grado viene affermato che «[a] pagina 8 del processo verbale di constatazione (e all’allegato 4 di quel documento) risulta acquisito che le spedizioni di quelle merci, dalla Germania e dall’Inghilterra alla società appellante in realtà non risultavano realmente avvenute. La (…) avrebbe dovuto, secondo la tesi difensiva, ricevere in deposito la merce inviata alla (…) ed ottenere la liberatoria per la consegna dei beni, dopo l’avvenuto pagamento del dovuto. Ebbene nelle lettere di vettura internazionale e nelle fatture di deposito e stoccaggio sequestrate dai verificatori, non vi è traccia di cessioni collegate alle tre fatture in questione, né risultano addebiti per spese di trasporto».


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