Nella sentenza in commento la Corte d’Appello di Milano, riformando la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Monza, si è pronunciata sull’inadeguatezza dell’investimento in titoli Lehman Brothers ex art. 29 del Regolamento Consob n. 11522/1998, oggi abrogato dalla disciplina superveniens di attuazione delle Direttive MiFID, contenuta nel Regolamento Consob n. 16190/2007, con particolare riferimento al profilo dimensionale, nonché alle conseguenze della violazione di tale regola di comportamento.
Rileva la giudice del gravame come la giurisprudenza, oramai copiosa e costante, ritenga che l’intermediario finanziario, qualora riscontri i profili di inadeguatezza specificatamente individuati dall’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522/1998, in diretta attuazione dell’art. 21 del TUF, D.Lgs. n. 58/1998, debba astenersi dal compiere l’operazione, comunicando all’investitore retail tali informazioni.
Sottolinea la sentenza in commento come tale comunicazione esuli e trascenda l’obbligo informativo disciplinato dall’antecedente art. 28 del Regolamento Consob n. 11522/1998, configurandosi come autonomo mezzo di tutela del risparmiatore non professionale, ancorché, si precisa, “abbia ordinato egli stesso l’investimento e sia consapevole della rischiosità dello stesso”.
Dunque la Corte d’Appello evidenzia come non costituisca valida esimente dal rispetto del dovere di valutare e segnalare i profili di inadeguatezza di un investimento la prestazione del servizio di c.d. execution only e la consapevolezza, da parte del cliente, della rischiosità dell’investimento, precisando al contempo come lo stesso “abbia diritto ad un parere tecnico professionale redatto da un intermediario finanziario che esplichi nel dettaglio l’inadeguatezza con riguardo a specifici ed oggettivi profili di rischio”.
In sostanza l’esser consapevoli che un’operazione finanziaria è rischiosa non equivale a conoscerne l’inadeguatezza e, tantomeno, i relativi specifici profili individuati dall’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522/1998.
Prosegue il giudice del gravame ribadendo come l’intermediario finanziario, nel caso rilevi l’inadeguatezza, debba astenersi dall’operazione, comunicare quanto rilevato al cliente ed ottenere dallo stesso la conferma scritta ad eseguire comunque l’operazione nonostante l’inadeguatezza. In proposito la sentenza cita ex multis due precedenti della Corte di Cassazione (cfr. n. 22147/10 e n. 18140/13), a cui è seguita una più recente pronuncia (cfr. n. 16828/2016), secondo la quale l’intermediario non deve eseguire un ordine d’investimento, pur impartito dal cliente, qualora sia valutato eccessivamente rischioso o inadeguato, sussistendo in tal ipotesi una giusta causa di recesso ex art. 1722 cod. civ..
Tanto premesso, la Corte d’Appello, nell’accogliere il gravame, analizza lo specifico profilo di inadeguatezza per dimensione, per il quale l’investitore risulta esposto ad un oggettivo rischio di concentrazione del portafoglio titoli, in violazione della primaria regola prudenziale di diversificazione degli investimenti.
Per tale motivo la valutazione di inadeguatezza per dimensione deve esser svolta in ogni caso, anche prescindendo dal profilo di rischio dell’investitore, il quale può persino delinearsi come uno speculatore.
La pronuncia in commento afferma dunque il principio per cui anche un cliente esperto e con propensione al rischio alta si presume applichi la regola di comportamento per cui tende a diversificare e suddividere gli investimenti per ridurne il rischio specifico, dal che “un investimento che occupi proporzioni rilevanti di un portafoglio finanziario risulta ex se inadeguato”, con conseguente obbligo di astensione, comunicazione e preventiva autorizzazione scritta ex art. 29 del Regolamento Consob n. 11522/1998.
Le sentenza, poi, nel valutare il caso di specie, rileva come la normativa applicabile non individui un preciso canone quantitativo oltre il quale vada ravvisata l’inadeguatezza per dimensione e lasci pertanto il compito all’interprete, il quale, secondo la pronuncia in commento, deve “individuare la soglia corretta in relazione alle specificità del caso concreto”.
Venendo al caso in esame il giudice del gravame ravvisa l’inadeguatezza per dimensione di un investimento che impieghi circa il 50% del portafoglio in un unico titolo, a maggior ragione se trattasi di importo non esiguo, non rilevando che l’investimento in questione replicasse “in modo pedissequo un investimento analogo effettuato l’anno precedente, ed anzi non costituiva altro che la rinnovazione dello stesso”.
La Corte d’Appello, infatti, pur ammettendo che un tale argomento abbia una sua logica “suggestiva”, richiama la prevalente giurisprudenza, anche di legittimità, alla luce della quale si nega che un precedente acquisto effettuato dall’investitore, pur se identico nell’importo, nei rischi e finanche nell’emittente, possa escludere l’operatività ed applicabilità dell’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522/1998, a maggior ragione se nel caso di specie l’intermediario finanziario non abbia fornito la prova che gli obblighi di comportamento previsti in tema di inadeguatezza siano stati assolti in occasione del precedente identico investimento.
La sentenza prosegue rilevando che pronunciarsi in senso contrario equivarrebbe a frustrare la ratio della norma regolamentare, rintracciando la consapevolezza di un investimento inadeguato alla luce di un precedente identico investimento, in occasione del quale veniva parimenti omessa la rilevazione e segnalazione di inadeguatezza. Dunque, la circostanza dedotta dalla banca non prova in alcun modo che l’investitore fosse cosciente dell’inadeguatezza, tanto nel precedente che nel successivo acquisto di titoli Lehman Brothers.
Se ne deduce che i precedenti investimenti possono al rilevare più con riferimento al profilo di rischio, all’esperienza finanziaria ed all’informativa sul titolo, finanche alla valutazione di inadeguatezza per tipologia ed oggetto, ma gli stessi non possono di certo rilevare con riferimento all’inadeguatezza per dimensione, né tantomeno esimere l’intermediario finanziario dal rispetto dell’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522/1998.
All’accertamento della violazione in questione secondo la Corte d’Appello consegue una responsabilità contrattuale (cfr. in tal senso ex plurimis Cass. SS.UU. Civ. n. 26724/2007 e n. 26725/2007), in ragione della quale l’intermediario è tenuto al risarcimento del danno costituito nel quantum dalla differenza tra l’importo inizialmente investito e le utilità via via percepite grazie allo stesso investimento (cfr. Cass. n. 29864/2011 e n. 1511/2014), tra cui nello specifico le cedole periodiche incassate ed i rimborsi parziali ricevuti dalle procedure fallimentari in corso per le società del Gruppo Lehman Brothers.
Conclude la pronuncia di secondo grado, riconoscendo sul risarcimento accordato la rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, nonché gli interessi legali sulla somma via via annualmente rivalutata, tuttavia solo a far data dalla domanda giudiziale.