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Giurisprudenza

Inadeguatezza organizzativa e nell’attività di controllo interno in caso di obbligazioni di soggetto poi fallito

24 Agosto 2012

Cassazione Civile, Sez. II, 22 agosto 2012, n. 14605

Di cosa si parla in questo articolo

Con sentenza n. 14605 del 22 agosto 2012 la Suprema Corte di Cassazione ha affrontato il ricorso da parte di una banca e di alcuni suoi dipendenti svolgenti funzioni di controllo contro il decreto con cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva loro irrogato sanzioni ex art. 190 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), in relazione all’art. 21, comma 1, lettera d), del citato d.lgs. e dell’art. 56, commi 1 e 2, del regolamento Consob n. 11522 del 1998, per inadeguatezze nella procedura di prestazione dei servizi di investimento e nell’attività di controllo interno, con riguardo all’acquisto, promosso e procacciato dalla stessa banca di obbligazioni di un operatore statunitense in seguito fallito.

Rigettando il ricorso proposto, la Cassazione ha evidenziato come, nel caso di specie, la negligenza degli opponenti all’obbligo di assumere adeguate informazioni finanziarie ai fini della valutazione di compatibilità dell’investimento richiesto, con il conseguente obbligo di astenersi dal dare corso ad operazioni scoordinate con la tipologia del cliente senza l’ausilio di specifica richiesta dove fossero state annotate le contrarie avvertenze scritte, è stata ravvisata non già esclusivamente per l’inadeguatezza del sistema informatico adottato dalla banca, ma, più specificamente, per la più articolata inidoneità dell’assetto complessivo di procedure e strumenti predisposti ed utilizzati dalla banca.

In particolare, la valutazione di adeguatezza faceva leva soltanto sulle informazioni fornite dal modulo informatico, senza alcun ausilio di sistemi o procedure alternativi nel caso di inefficacia delle risposte fornite dal modulo, in tutte le ipotesi di mancata collaborazione del cliente.

Secondo la Cassazione, l’assenza di sistemi e procedure alternativi non poteva essere colmata con il ricorso al sistema della raccolta della doppia firma, posto che con tale metodo la banca violava l’obbligo di verificare, attraverso i propri uffici, le caratteristiche dell’investimento, scaricandone, invece, la responsabilità sul cliente; e perché comunque sugli ordini cosi acquisiti (con doppia firma) mancava l’essenziale menzione dell’avvenuta comunicazione dell’avvertenza della banca circa la rischiosità dell’investimento.

Per quanto attiene poi gli organi di controllo, la violazione ascritta risiede nel non avere vigilato sul rispetto delle disposizioni diramate (culpa in vigilando), come confermato dalla concreta consistenza del fenomeno accertato.

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