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Giurisprudenza

Inconferibilità incarichi amministratori: illegittimità costituzionale

6 Giugno 2024

Corte Costituzionale, 4 giugno 2024, n. 98 – Pres. Barbera, Red. San Giorgio

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 98 del 4 giugno 2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale per eccesso di delega del D.L. 39/2013 nella parte in cui disponeva l’inconferibilità di incarichi di amministratore di enti privati sottoposti a controllo pubblico da parte degli enti locali, a coloro che nell’anno precedente abbiano già svolto analoghi incarichi presso altre PA della stessa natura.

Il divieto di conferire tali incarichi era previsto, in particolare, dagli artt. 1, comma 2, lettera f), e 7, comma 2, lettera d), del D.L. 8 aprile 2013, n. 39 (recante disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’art. 1, commi 49 e 50, della l. 190/2012).

La Corte precisa infatti che, nell’individuare gli incarichi di provenienza ostativi, la legge delega si è limitata ad indicare solo quelli di natura politica (comma 50, lettera c), con esclusione di quelli di natura amministrativo-gestionale.

Non possono considerarsi tali gli incarichi di amministratore di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico, che la legge di delega non ha incluso tra le posizioni di provenienza ostative: tali incarichi, di cui alla lettera d), numero 3), dello stesso comma 50, assumono rilievo, nella logica della legge delega, solo in quanto incarichi di destinazione, che il comma 49 rende oggetto della disciplina delegata.

Le disposizioni del D. Lgs. n. 39/2013 avrebbero dovuto in sostanza prediligere una interpretazione restrittiva delle cause di inconferibilità, che si mantenesse entro i binari indicati dalla legge di delega.

Esse invece hanno incluso, tra le ragioni di inconferibilità di nuovi incarichi di amministratori, l’esercizio di pregresse esperienze di natura non politica, anche mediante l’introduzione della definizione di componenti di organi di indirizzo politico (di cui all’art. 1, comma 2, lettera f, del Dlgs n. 39 del 2013), la quale, in modo improprio, si riferisce anche alle persone che abbiano preso parte a organi privi di rilevanza politica, quali quelli di indirizzo di enti di diritto privato in controllo pubblico: operando così una commistione tra incarichi politici e incarichi di mera gestione amministrativo-aziendale, che devono invece essere tenuti distinti.

Le previsioni della delega, secondo la Corte Costituzionale, costituiscono infatti il frutto di un bilanciamento tra l’accesso al lavoro dei professionisti, che è stato parzialmente sacrificato mediante la previsione della non conferibilità degli incarichi per provenienza politica, e l’imparzialità dell’azione amministrativa, che va assicurata anche nelle forme della mera apparenza di imparzialità.

In conclusione, l’ulteriore estensione della garanzia preventiva anche ad ipotesi prive di qualsiasi percepibile collegamento con lo svolgimento di cariche o incarichi “politici” appare, dunque, per la Corte, estranea all’obiettivo perseguito dal legislatore delegante e finisce, anzi, per pregiudicarlo.

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