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Indagini finanziarie e accertamento tributario: dal segreto bancario alla trasparenza finanziaria

20 Febbraio 2013

Avv. Prof. Stefano Loconte e Avv. Antonio Caramia, Studio Legale e Tributario Loconte & Partners

1. Le indagini finanziarie. Definizione.

Per indagine finanziaria si deve intendere l’attività posta in essere al fine di acquisire informazioni, notizie e dati relative ad un rapporto, continuativo o anche occasionale – intrattenuto dal soggetto verificato con una Banca, con Poste Italiane o con un qualsiasi altro istituto finanziario.

Oggi, dal punto di vista terminologico, appare più corretto utilizzare in luogo di indagine “bancaria” quello più ampio ed appropriato di indagine “finanziaria”. Il motivo di tale precisazione è rintracciabile, alla luce delle intervenute modifiche normative dovute alla legge finanziaria 2005 approvata con L. 30 dicembre 2004, n. 311 ed alla Manovra 2011 approvata con L. 15 luglio 2011, n. 111, nell’ampliamento della platea di soggetti (comprensiva oltre che degli istituti bancari anche di imprese e società di assicurazioni) ai quali gli organi accertatori possono rivolgere le richieste di informazioni.

I destinatari di tale attività accertativa sono, invece, sia i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili sia i soggetti titolari di altre categoria di reddito imponibile.

La finalità è, ovviamente, quella di far emergere componenti reddituali imputabili al soggetto sottoposto a controllo e da questo non dichiarate.

Attraverso l’acquisizione e l’analisi di informazioni, infatti, gli organi competenti possono con maggiore facilità procedere ad individuare operazioni economiche occulte nonché quantificare l’eventuale maggior reddito imponibile in capo al contribuente controllato.

2. Evoluzione normativa.

L’evoluzione della disciplina in materia di indagini bancarie e finanziarie ha viaggiato, nel corso degli anni, di pari passo con la lenta ed inesorabile scomparsa del cosiddetto segreto bancario.

Malgrado nel quadro normativo italiano sia sempre mancata una norma positiva che definisse il segreto bancario, questo è stato, comunque, nel corso degli anni, l’unico baluardo a tutela della riservatezza del contribuente.

La regolamentazione in materia di indagini bancarie e finanziarie è passata dalla riforma Preti, che subordinava l’utilizzo di tale modalità accertativa alla preventiva acquisizione di indizi di evasione, a quanto previsto dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici» (c.d. decreto Monti), secondo cui le indagini finanziarie rappresentano un vero e proprio presupposto dell’accertamento tributario.

Con la riforma Preti (anni 1971-1973), il Legislatore ha provveduto a stabilire all’art. 35 del D.P.R. n. 600 del 1973, rubricato “Deroghe al segreto bancario”, chiare e tassative ipotesi di deroga proprio al segreto bancario, cercando di coniugare la tutela del contribuente/risparmiatore sottoposto a controllo con l’interesse pubblico della riscossione dei tributi.

L’obiettivo del Legislatore era quello di evitare che il segreto bancario potesse costituire un facile strumento dietro il quale nascondere eventuali forme di evasione ed elusione fiscale.

Il D.P.R. n. 463 del 15 luglio 1982, ha provveduto a colmare le discrasie normative esistenti, inserendo nella nuova formulazione dell’art. 35 del D.P.R. n. 633 del 1972, analoga deroga al segreto bancario anche in materia di Iva, allineando, così, l’accertamento di tale imposta a quello previsto in materia di imposte dirette.

Ma l’ulteriore e decisivo intervento in materia di indagini finanziarie è stato fatto con l’entrata in vigore della L. n. 413/1991.

La norma in questione ha ampliato i poteri istruttori degli Uffici, provvedendo, sostanzialmente, alla soppressione del segreto bancario.

In seguito a tale intervento l'accesso alle informazioni bancarie è stato notevolmente semplificato. Gli Uffici finanziari, hanno potuto accedere ai rapporti di conto e deposito dei soggetti controllati semplicemente sulla base di una richiesta nominativa autorizzata.

Il Legislatore del ’91 ha provveduto ad istituire, altresì, la cosiddetta Anagrafe dei conti, consistente nell’elenco dei rapporti intrattenuti dai contribuenti con gli operatori finanziari e prevedendo, altresì, l'obbligo a carico di questi ultimi, di trasmettere all'Anagrafe tributaria tutte le informazioni relative alla propria clientela.

La ratio di tale previsione normativa è individuabile nell'opportunità pratica per l’Amministrazione Finanziaria di disporre di un unico canale di informazioni.

L’implementazione delle funzioni dell’Anagrafe tributaria prevista dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311 (Legge Finanziaria 2005) risponde, invece, all’esigenza di un corretto e trasparente controllo dei flussi finanziari, sempre, ovviamente, nell’ottica di una maggiore incisività nella lotta all’evasione ed all’elusione fiscale.

Le novità portate da tale provvedimento sono individuabili sia nella possibilità di accedere a tutti i dati, le notizie ed i documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata dagli operatori finanziari, inclusi i servizi prestati con i clienti, sia nella riduzione del termine da 60 a 30 giorni entro il quale dovrebbero essere fornite le risposte all’Amministrazione Finanziaria.

Tutto ciò previa autorizzazione del Direttore regionale dell’Agenzia delle entrate o del Comandante regionale della Guardia di finanza.

In seguito alle modifiche intervenute con l’approvazione del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge il 4 agosto 2006, n. 248, l’art. 7 del D.P.R. n. 605/1973 (istitutivo dell’Anagrafe tributaria), ha disposto l’obbligo a carico di tutti gli operatori finanziari di rilevare e tenere in evidenza i dati identificativi di ogni soggetto che intrattiene con loro qualsiasi rapporto o effettua qualsiasi operazione di natura finanziaria, ad esclusione di quelle di importo unitario inferiore a 1.500 euro. La richiesta di informazioni, rivolta unicamente agli operatori finanziari che detengano rapporti con il contribuente, previa consultazione dell’Archivio dei conti e dei rapporti, inserito in seno all’Anagrafe tributaria, deve essere effettuata nel rispetto della privacy del contribuente.

In attuazione di tale norma l’Agenzia delle Entrate ha emanato il provvedimento del 19 gennaio 2007, n. 2007/9647, in base al quale gli operatori finanziari devono comunicare i dati identificativi, compreso il codice fiscale, del soggetto, persona fisica o non fisica, che intrattiene il rapporto e, nel caso di rapporti intestati a più soggetti, i dati identificativi, compreso il codice fiscale, di tutti i contitolari del rapporto, nonché la tipologia di rapporto in essere.

Un recente e forse più significativo intervento normativo in materia di indagini finanziarie è quello posto in essere con il D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge il 14 settembre 2011, n. 148 che all’art. 2, comma 36 undevicies, ha stabilito che “in deroga a quanto previsto dall’art. 7, comma 11, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605”, l’Agenzia delle entrate può procedere alla elaborazione di specifiche liste selettive di contribuenti da sottoporre a controllo basate su informazioni relative ai rapporti e operazioni di cui al citato art. 7.

Viene, altresì, sostanzialmente previsto a carico degli istituti di credito e di tutti gli operatori finanziari in genere, l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate informazioni di carattere selettivo relative a tutti i potenziali evasori fiscali, titolari di situazioni finanziariamente anomale.

La novità di tale norma è di notevole portata e consiste nel ribaltamento del criterio di utilizzo dello strumento istruttorio costituito dalle indagini finanziarie. In base al D.L. n. 138/2011, infatti, le informazioni ed i dati recepiti sono utilizzati per individuare le categorie di contribuenti che presentano anomalie e che quindi devono successivamente essere sottoposti a verifiche, mentre, in precedenza l’accertamento bancario era utilizzato soltanto dopo che l’Amministrazione finanziaria aveva già avviato nei confronti di un individuato contribuente una attività accertativa, previa autorizzazione e richiesta motivata.

3. Decreto Salva Italia

Un discorso a parte, sempre con riferimento alle indagini bancarie e finanziarie, merita quanto previsto nel cosiddetto decreto Salva – Italia.

ll D.L. n. 201/2011, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della L. 22 dicembre 2011, n. 214, comunemente noto come decreto “Salva Italia”, non ha una particolare portata innovativa ma conferma un orientamento volto a spazzare qualsiasi tutela della riservatezza dei cittadini italiani in favore della lotta all’evasione ed elusione fiscale.

Esso, infatti, prevede l’obbligo a carico degli operatori finanziari di comunicare periodicamente all’anagrafe tributaria le movimentazioni ed ogni informazione, relativa ai rapporti intrattenuti con i propri clienti, necessaria ai fini dei controlli fiscali, nonché l’importo delle operazioni finanziarie indicate nella predetta disposizione.

Le modalità ed i tempi di comunicazione sono stati stabiliti con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate al fine di disporre adeguate misure di sicurezza, di natura tecnica ed organizzativa, per la trasmissione e la conservazione di tali informazioni ed il cui utilizzo non può superare i termini massimi di decadenza previsti in materia di accertamento delle imposte sui redditi.

In sostanza, l’Agenzia delle Entrate ha il potere di ispezionare, preventivamente, e senza autorizzazione alcuna, le movimentazioni ed ogni ulteriore informazione relativa ai rapporti di cui all’art. 7, comma 6, del D.P.R. n. 605/1973, senza tener conto del fatto che tali notizie relative al singolo contribuente siano in conto o fuori conto.

Quanto previsto dall’art. 11, secondo comma, del D.L. n. 138 del 2011, pur consentendo all’Amministrazione Finanziaria di avere, con maggiore celerità, le informazioni relative alle movimentazioni finanziarie di tutti i contribuenti ( e non solo dei soggetti destinatari di controlli fiscali) non definisce, però, con chiarezza il concetto di rapporti finanziari oggetto di tali informative, limitandosi ad escludere da tale categoria solo le operazioni effettuate mediante versamento in conto corrente di importo unitario inferiore a 1.500 euro.1

4. La valenza presuntiva delle movimentazioni bancarie.

La normativa vigente, perciò, consente agli organi accertatori di desumere dall’esame delle movimentazioni bancarie e/o finanziarie una redditività del contribuente sottoposto ad indagine il quale dovrà fornire la prova contraria della propria estraneità alle operazioni imponibili.

L’Amministrazione Finanziaria può emettere l’avviso di accertamento senza essere obbligata in alcun modo a svolgere ulteriori indagini ma basandosi semplicemente ed esclusivamente sull’esame delle movimentazioni bancarie o finanziarie.

Ai sensi dell'art. 32, n. 2 del D.P.R. n. 600 del 1973 nonché dell’art. 51 D.P.R. n. 633 del 1972 gli importi a qualsiasi titolo accreditati sui conti correnti bancari possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti e, pertanto, verranno considerati dal Fisco componenti positivi di reddito (per qualsiasi categoria reddituale) sempre che il contribuente non dimostri di averne tenuto conto ai fini della determinazione del reddito stesso o che le operazioni ad esse relative siano fiscalmente irrilevanti.

Per ciò che riguarda i prelevamenti, invece, nel caso in cui di tali importi non ne risulti traccia in contabilità e, soprattutto, non venga indicato il beneficiario, si presumeranno sintomatici di acquisti in nero di beni o servizi destinati all’attività economica e, di conseguenza, presuntivi di ricavi o compensi non dichiarati in quanto derivanti da vendite o prestazioni in nero.

E non solo! Nel nuovo contesto normativo anche le operazioni derivanti dai conti finanziari o da operazioni “fuori conto” si presumono come ricavi, compensi e comunque elementi positivi rappresentativi per le sole persone fisiche di altri componenti reddituali da porre a base delle rettifiche.

Il Legislatore ha, pertanto, riconosciuto l’attitudine probatoria delle movimentazioni finanziarie, le quali assumono una vera e propria efficacia presuntiva.

In tale ottica bisogna però fare una ovvia distinzione. Saranno irrilevanti ai fini accertativi le movimentazioni che rientrino, comunque, nell’importo dichiarato e contabilizzato dal contribuente, salvo adeguata motivazione da parte del Fisco (in quanto l’inversione dell’onere della prova opera solo ed esclusivamente in presenza delle citate eccedenze).

Pertanto, sarà indispensabile per il contribuente che tutti i versamenti trovino capienza e giustificazione nei ricavi contabilizzati e/o dichiarati ovvero nel reddito lordo documentato, altrimenti dinanzi alle cosiddette eccedenze di versamento il Fisco avrà pieno titolo per chiedere spiegazioni sulla provenienza.

Con riferimento ai prelevamenti, invece, è opportuno distinguere a seconda che il contribuente sia un dipendente, un pensionato o che si tratti, invece, di un imprenditore.

Secondo recente giurisprudenza di legittimità2, infatti, il ragionamento presuntivo di cui sopra opererebbe solo ed esclusivamente con riferimento ai redditi d’impresa ed ai redditi di lavoro autonomo perché solo per tali categorie reddituali sarebbe ragionevole che una “spesa faccia presumere attività occultate agli uffici”.

La norma richiede, con riferimento alle somme prelevate in eccedenza a quanto contabilizzato o dichiarato, l’indicazione del destinatario, qualunque sia la causale.

Riepilogando, il Legislatore prevede una presunzione di imponibilità relativamente ai versamenti effettuati ed una discutibile doppia presunzione quanto ai prelevamenti, recuperandoli a tassazione in quanto ritenuti costi occulti a fronte di ricavi occulti.

La direzione scelta dal Legislatore è apparsa totalmente in contrasto con le opinioni espresse sull’argomento dalla dottrina. Si rammenta in proposito, autorevolissima, ma non recente, dottrina3, secondo cui affinché gli “indizi di evasione” assumessero la dignità di presunzioni gravi, precise e concordanti, era necessaria l’audizione del contribuente e solo da ciò sarebbe potuta scaturire un’inversione dell’onere della prova, secondo la quale era il contribuente a dover dimostrare che le suddette operazioni bancarie fossero state contabilizzate, ovvero fossero ininfluenti dal punto di vista fiscale4.

Negli anni passati, infatti, l’applicazione delle presunzioni alle movimentazioni bancarie era da tutti ritenuta «un esercizio di vessazione fiscale, in cui il contribuente si sente chiedere una giustificazione per versamenti di quattro o cinque anni prima, sotto pena di vedersi accertare come reddito o operazioni imponibili Iva queste movimentazioni di conto»5.

Il contribuente, oggi, privo anche delle garanzie rappresentate dalle autorizzazioni per l’acquisizione dei dati, ormai non più necessarie, pare essere del tutto in balia degli organi accertatori.

In effetti, l’applicazione di tali presunzioni, con riferimento alle comunicazioni delle movimentazioni finanziarie, provoca apprensione tra i contribuenti soprattutto in virtù del fatto che una volta acquisiti i dati, gli organi accertatori possono, in via automatica quantificare un maggior reddito o dei maggiori ricavi e compensi.

Con riferimento a tale problematica la soluzione che pare essere la più corretta è quella di chi ritiene che le comunicazioni relative alle movimentazioni bancarie debbano essere utili unicamente per selezionare i contribuenti da sottoporre a controllo e non per utilizzare le presunzioni che, comunque, potrebbero essere applicate in un momento successivo6.

E ciò in quanto appare evidente che, se è vero che tali comunicazioni sono funzionali solo all’individuazione dei potenziali evasori fiscali, appare altrettanto veritiero che, sulle movimentazioni anomale e non giustificate – sia pure in una fase successiva – gli Uffici dell’Amministrazione finanziaria, possano azionare i meccanismi presuntivi previsti dall’ordinamento tributario.

Conclusioni

Alla luce di quanto sopra delineato, l’Amministrazione finanziaria, oggi più che mai, deve essere determinata ad utilizzare con equilibro il penetrante strumento istruttorio delle indagini finanziarie.

Un ripensamento complessivo, anche ad opera del Legislatore, della valenza sistematica degli automatismi e delle cautele previste dalla normativa in tema di indagini finanziarie sarebbe auspicabile, soprattutto alla luce dell’autorevole orientamento garantista della giurisprudenza comunitaria7 secondo cui il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale di diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione Finanziaria si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo.

 

1

Cfr. BASILAVECCHIA, Emersione (diretta o indiretta) degli imponibili, in Corr. trib., n. 42 del 2012 p. 40 e ss., secondo il quale con il decreto Monti, la lotta all’evasione assume una connotazione strutturale e definitiva al fine di dotare l’Agenzia delle Entrate di un bagaglio di conoscenze relative alle movimentazioni finanziarie dei contribuenti.


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2

Cassazione Civile, sentenza n. 19692 del 2011


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3

Cfr. LUPI, La doppia presunzione è vietata solo quando non è convincente, in Rass. Trib., 1994, 1618.


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4

Cfr. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 2011, 189 ss., il quale afferma che la relatività della presunzione può essere superata dal contribuente indicando, per esempio, nel caso della doppia presunzione relativa ai prelevamenti, il beneficiario del prelevamento, ma purtroppo, secondo noi, il contribuente non viene messo nelle condizioni di chiarire all’Amministrazione finanziaria tali movimenti poco chiari.


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5

Cfr. LUPI, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, Milano, 2001, 437.


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6

Cfr. BASILAVECCHIA, Emersione (diretta o indiretta) degli imponibili, in Corr. trib., n. 42 del 2012, secondo cui appare probabile, nonostante le perplessità manifestate nei primi commenti, che, una volta trasmessi i dati (secondo modalità definite con il coinvolgimento di Garante della privacy e categorie interessate), possano essere applicate le presunzioni di cui all’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, in ordine ai prelevamenti e ai versamenti risultanti.


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7

Cfr. Corte di Giustizia UE, sent. 18 dicembre 2008, causa Sopropé C-349/07

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