Con la pronuncia in oggetto, la Corte di Cassazione interviene sia in materia di indebito su conto corrente, sia in tema di onere probatorio circa l’esistenza di un contratto di apertura di credito.
Nel caso di specie i ricorrenti sostengono che, ai fini della prescrizione, fosse onere della banca provare che i dedotti e allegati i versamenti avessero una funzione diversa da quella ripristinatoria, e pertanto dovesse indicare le circostanze dalle quali avrebbe potuto desumersi la natura solutoria di tali pagamenti.
Sul punto, però, la Suprema Corte ricorda come l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un’apertura di credito, è da intendersi soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l’indicazione di specifiche rimesse solutorie (cfr. Sezioni Unite, n. 15895/2019).
Tale principio, in piena linea con numerosi precedenti giurisprudenziali, sottolinea come in materia di contratto di conto corrente bancario, poiché la decorrenza della prescrizione è condizionata al carattere solutorio, e non meramente ripristinatorio, dei versamenti effettuati dal cliente, essa maturi sempre dalla data del pagamento, qualora il conto risulti in passivo e non sia stata concessa al cliente un’apertura di credito, oppure i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento.
Pertanto, la Corte di Cassazione ha statuito il principio per cui una volta eccepita dalla Banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel versamento come mero ripristino della disponibilità accordata.