Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione si sofferma, da un lato, sulla finalità della disciplina dei requisiti di indipendenza del professionista attestatore, dall’altro, sulle conseguenze della violazione dei suddetti requisiti.
Sul punto è opportuno rammentare che l’art. 67, comma terzo, lett. d), L. Fall., delinea le caratteristiche del professionista, affermando, in particolare, che egli “in ogni caso…non deve…neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore.”
Più in particolare, per quanto riguarda il primo oggetto dell’analisi, la Corte – focalizzandosi sulla lettera della norma – precisa che l’art. 67 L. Fall., utilizzando il termine “in ogni caso”, non consente margine di valutazione in ordine alla sussistenza di rapporti effettivamente idonei ad inficiare l’indipendenza e pertanto esclude alla radice che qualsiasi tipo di rapporto di lavoro possa essersi svolto tra il professionista e il debitore.
Per quanto riguarda il secondo oggetto dell’analisi, cioè quali siano gli effetti della violazione dei requisiti di indipendenza del professionista, la Corte richiama l’art 167 L. Fall., il quale prevede, tra i presupposti per presentare la domanda di concordato, la relazione del professionista che, designato dal debitore, deve essere in possesso dei requisiti – sopra menzionati –di cui all’articolo 67, terzo comma, lett. d), L. Fall.
Per la Corte, la mancanza di tali requisiti non può considerarsi una mera irregolarità, ma un vero e proprio vizio radicale che, inficiando la figura di garanzia che il professionista dovrebbe rappresentare, comporta l’inammissibilità del concordato preventivo.