La pendenza del procedimento penale nei confronti dell’imprenditore non può essere considerata una “condicio sine qua non” del potere di iniziativa del Pubblico Ministero ex art. 7, n. 1, L.F., essendo distinti i presupposti della responsabilità penale e i sintomi dell’insolvenza. Il Pubblico Ministero, pertanto, è legittimato a chiedere il fallimento dell’imprenditore anche qualora abbia appreso la “notitia decoctionis” nel corso di un procedimento penale pendente nei confronti di soggetti diversi o collegati all’imprenditore medesimo, sia esso individuale o collettivo.
Nel caso in esame, la Suprema Corte dà seguito ad un proprio orientamento, secondo cui, venuta meno la possibilità di dichiarare il fallimento d’ufficio da parte dell’autorità giudiziaria, la volontà legislativa è nel senso di ampliare la legittimazione del Pubblico Ministero a tutti in casi in cui egli abbia appreso la notizia dell’insolvenza attraverso i canali istituzionali (cfr. Cass. Civile, sent. n. 10679/14 e Cass. Civile, sent. n. 8977/16 ).
Il Collegio osserva che l’unico profilo rilevante, in relazione a tale legittimazione, è che la “notitia decoctionis” sia emersa nel corso di indagini legittimamente svolte, anche a prescindere dal concreto approfondimento investigativo circa la situazione contabile della società insolvente.