Con la sentenza in esame la Suprema Corte ha respinto il ricorso presentato dai sindaci di una società finanziaria che, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 2403 e 2403 bis cc nonché degli artt. 8, 148 bis e 149 TUF, sostenevano fosse stata loro addebitata dalla Corte di merito una responsabilità di tipo oggettivo per carenze della struttura societaria e dei controlli sull’organizzazione e sulla gestione.
La Corte di Cassazione ha statuito che l’omissione di vigilanza, tipica di numerose fattispecie di illeciti amministrativi disciplinate dal TUF (tra cui le ipotesi previste dalle lettere c) e c bis) dell’art. 149 TUF), pur potendo risultare incompatibile con l’effettiva rappresentazione degli illeciti da impedire, è invece perfettamente compatibile con la loro “rappresentabilità”, e dunque con la colpa. L’inosservanza dei doveri di informazione–sorveglianza, quindi, legittima pienamente la comminatoria di una sanzione colposa laddove seguano illeciti degli organi vigilati, non occorrendo la prova che il garante primario (nel caso di specie, i sindaci) conoscesse in concreto ogni aspetto dell’attività posta in essere dai secondi, risultando sufficiente in tal senso la “potenzialità di conoscenza”, che si può legittimamente presumere.
Pertanto, la complessa articolazione della struttura organizzativa di una banca o di una società di investimento non può in alcun modo comportare né l’esclusione né l’affievolimento del potere-dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei componenti del collegio sindacale, che in caso di carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo quoad functione: grava infatti sui sindaci sia l’obbligo di vigilanza, sia l’obbligo di denuncia immediata alle competenti Autorità (Consob e Banca d’Italia). Non si tratta, secondo la Suprema Corte, di imputare ai sindaci una responsabilità per il sospetto del compimento di operazioni irregolari o illecite da parte di altri o di sottoporre gli organi amministrativi a un controllo sul merito delle scelte gestionali, bensì di pretendere l’esercizio tempestivo dei poteri ispettivi che la legge pone a loro carico, anche mediante comunicazioni alla Consob (che invece nella fattispecie erano state parziali e tardive).
Le fattispecie considerate dall’art. 149 TUF e, più in generale, dagli artt. 2403, 2403 bis, 2406 e 2407 cc sono infatti incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di doverosità che àncora il giudizio di colpevolezza a parametri normativi esterni al dato puramente psicologico, essendo l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito limitata all’accertamento della “suità” della condotta inosservante, con la conseguenza che, una volta integrata e provata dall’Autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, graverà sul trasgressore l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza (in ossequio a quanto previsto dall’art. 3 della L. 689/1981). Per quanto riguarda in particolare i sindaci, essi hanno l’onere di provare che l’inosservanza dell’obbligo di comunicare senza indugio e in modo completo alla Consob le irregolarità riscontrate sia dipesa da impossibilità dovuta a caso fortuito o forza maggiore (in proposito anche Cass. 3251/2009).