Con ordinanza n. 117 del 10 maggio 2019 la Corte Costituzionale ha rinviato alla Corte di giustizia dell’Unione europea le seguenti questioni pregiudiziali:
a) se l’art. 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6/CE, in quanto tuttora applicabile ratione temporis, e l’art. 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) n. 596/2014 debbano essere interpretati nel senso che consentono agli Stati membri di non sanzionare chi si rifiuti di rispondere a domande dell’autorità competente dalle quali possa emergere la propria responsabilità per un illecito punito con sanzioni amministrative di natura “punitiva”;
b) se, in caso di risposta negativa a tale prima questione, l’art. 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6/CE, in quanto tuttora applicabile ratione temporis, e l’art. 30, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (UE) n. 596/2014 siano compatibili con gli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di art. 6 CEDU e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, nella misura in cui impongono di sanzionare anche chi si rifiuti di rispondere a domande dell’autorità competente dalle quali possa emergere la propria responsabilità per un illecito punito con sanzioni amministrative di natura “punitiva”.
Il rinvio viene fatto nell’ambito del giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 187-quinquiesdecies del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), promosso dalla Corte di Cassazione nell’ambito del procedimento davanti alla Consob per l’accertamento di un abuso di informazioni privilegiate, relativamente alla parte in cui tale norma sanziona la mancata ottemperanza nei termini alle richieste della Consob, ovvero la causazione di un ritardo nell’esercizio delle sue funzioni, «anche nei confronti di colui al quale la medesima Consob, nell’esercizio delle proprie funzioni di vigilanza, contesti un abuso di informazioni privilegiate».