Massima: “Va dichiarata la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 187 – sexies del D.Lgs. 24.2.1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) e dell’art. 9, comma 6, della L. 18.4.2005, n. 62, in riferimento agli artt. 3, 25, comma 2, e 117, comma 1, Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 7 della CEDU, nella parte in cui prevedono che la confisca per equivalente, introdotta per gli illeciti di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato, di cui alla parte V, titolo I-bis, del medesimo D.Lgs. n. 58 del 1998, si applica anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della L. n. 62 del 2005, che le ha depenalizzate, quando il relativo procedimento penale non sia stato definito”.
Il caso.
Il caso portato all’attenzione della Corte di Cassazione trae origine da una pregressa vicenda giudiziale inerente alla fattispecie di abuso di informazioni privilegiate ex art. 187 – bis del D.Lgs. n. 58 del 1998 (TUF).
In particolare, il Giudice dell’appello (sostanzialmente confermando quanto statuito in prime cure dalla CONSOB) nel ritenere la sussistenza dell’illecito amministrativo contestato, aveva applicato la sanzione amministrativa pecuniaria, nonché la sanzione accessoria della confisca per equivalente (sanzione che, invero, al momento della commissione dei fatti – il 2002 – non era comminata da alcuna norma, essendo stata introdotta, con efficacia retroattiva per i procedimenti pendenti e non ancora definiti, soltanto con L. n. 62 del 2005).
Alla luce di tali vicende, la parte sanzionata, ricorrendo in Cassazione, sollevava, fra le altre, questione di legittimità costituzionale della L. n. 62 del 2005, articolo 9, comma 6, laddove la stessa sanciva la retroattività della misura della confisca per equivalente di cui all’art. 187 – sexies, comma 2, TUF, così consentendo che l’autore della condotta fosse giudicato (e “punito”) sulla base di una legge meno favorevole rispetto a quella vigente al momento della commissione del fatto.
L’abuso di informazioni privilegiate: nozione e impianto sanzionatorio. Brevi cenni.
Per comprendere la ratio della delibazione espressa con l’ordinanza in commento, si impone una stringata premessa circa gli avvicendamenti normativi che hanno interessato la materia dell’abuso di informazioni privilegiate.
L’informazione privilegiata, ai sensi dell’art. 181 TUF, è “un’informazione di carattere preciso, che non è stata resa pubblica, concernente, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari”.
Prima del 2005, l’abuso di informazioni privilegiate (nel senso della loro indebita diffusione o utilizzazione), da parte di “soggetti qualificati”, costituiva una condotta sanzionata dall’art. 180 del medesimo TUF, che la classificava come reato punibile con la reclusione fino a due anni e con multa da venti a seicento milioni di lire.
Lo schema normativo ora descritto è stato mutato all’esito della L. n. 62 del 2005, che ha operato una depenalizzazione della condotta, derubricandola ad illecito amministrativo e demandandone la relativa disciplina all’art. 187 – bis del TUF, il quale, nello specifico, commina la sanzione amministrativa pecuniaria a chi “in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell’emittente, della partecipazione al capitale dell’emittente, ovvero dell’esercizio di un’attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio: a) acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime; b) comunica informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell’ufficio; c) raccomanda o induce altri, sulla base di esse, al compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a)”.
L’impianto sanzionatorio per il caso di abuso di informazioni privilegiate è stato peraltro ulteriormente rafforzato dalla L. n. 62/2005, la quale ha introdotto all’art. 187 – sexies, comma 2, TUF una nuova sanzione accessoria automaticamente applicabile a seguito dell’irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, ovvero la confisca per equivalente.[1]
Fondamentale notare come la citata L. n. 62 del 2005, nel depenalizzare e riorganizzare la materia, ha infine statuito (vd. art. 9, comma 6) circa la retroattività delle misure introdotte (ivi compresa, dunque, la confisca per equivalente), disponendo che “le disposizioni previste dalla parte V, titolo I – bis, del testo unico di cui al D. Lgs. 28.2.1998, n. 58, si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge che le ha depenalizzate, quando il relativo procedimento penale non sia stato definito”.
L’ordinanza 14.9.2015, n. 18025 della Corte di Cassazione: applicazione retroattiva della confisca per equivalente e dubbi di legittimità costituzionale.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 14.9.2015 n. 18025, nel ritenere fondata la sollevata questione di legittimità costituzionale, affronta il nodo problematico che emerge dall’appena citato art. 9, comma 6, della L. n. 62 del 2005, il quale finisce per legittimare l’applicazione retroattiva di una misura particolarmente incisiva quale la confisca per equivalente.
La premessa interpretativa da cui muove la Corte si compendia in un’asserzione granitica, che peraltro già aveva trovato strada in autorevoli precedenti, comunitari e nazionali: la confisca per equivalente comminata dall’art. 187 – sexies è misura dal contenuto prettamente afflittivo.
La conclusione trova conferma laddove si raffronti quel particolare rimedio alla più generale categoria della confisca ordinaria: quest’ultima, tradizionalmente, insiste su beni che presentano connotati di pericolosità, o che sono caratterizzati da un “rapporto di pertinenzialità” con l’illecito commesso (si pensi all’ipotesi di cui all’art. 20 della legge n. 689 del 1981 o a quella disciplinata dall’art. 240 c.p.).
Caratteri “tipici”, questi, che, al contrario, non si rinvengono nel caso della confisca per equivalente applicata alle ipotesi di abuso di informazioni privilegiate.
Il corollario che ne discende è evidente: la natura punitiva della confisca per equivalente la sottrae alla regola generale dell’art. 200 c.p., in forza del quale le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione, e possono essere, quindi, retroattive. Diversamente opinando, si prospetterebbe un conflitto con il disposto dell’art. 25 della Costituzione, ma anche con l’art. 7 CEDU, che enuncia – appunto – il noto principio “nulla poena sine lege”.
Il carattere afflittivo della misura, prosegue l’ordinanza n. 18025 della Corte di Cassazione, ne impedisce l’applicazione retroattiva anche quando, come accade nella fattispecie, la confisca per equivalente costituisca la sanzione accessoria ad un illecito amministrativo.
L’insegnamento cui si conforma il Giudice di legittimità, al riguardo, è non solo quello della Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri), che ha ravvisato nelle sanzioni amministrative pecuniarie previste dall’art. 187- bis TUF il carattere afflittivo proprio della sanzione penale; ma anche quello della Consulta, la quale, con provvedimento n. 104/2014, ha affermato a chiare lettere che le misure di contenuto punitivo (anche se accessorie a illeciti amministrativi) possono trovare applicazione solo qualora la legge che le preveda sia già entrata in vigore al tempo della commissione del fatto sanzionato.
Questa conclusione è peraltro confermata dalla disciplina di cui alla legge n. 689 del 1981 (“legge di depenalizzazione”), che, all’art. 1, stabilisce il principio generale per cui “nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione”.
Dichiarata la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione, non resta che attendere, dunque, l’ultima parola: quella della Corte Costituzionale.
[1] Si riporta il testo dell’articolo 187 – sexies: “(1) L’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente capo importa sempre la confisca del prodotto o del profitto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo. (2) Qualora non sia possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente”.