Massima
La Banca che voglia insinuare al passivo fallimentare un credito derivante da un affidamento regolato su di un conto corrente di corrispondenza non può limitarsi a produrre l’estratto del libro giornale dei crediti in sofferenza, sia pure con attestazione di un notaio sulla regolare vidimazione del libro giornale e sulla conformità alla legge della contabilità della Banca, ma deve necessariamente produrre anche gli estratti di conto corrente. Con la conseguenza che, se gli estratti di conto corrente sono prodotti soltanto in sede di successiva opposizione allo stato passivo, la Banca, ancorché vittoriosa, non può ottenere la condanna della Curatela al pagamento delle spese di lite, avendo dato causa al giudizio di opposizione con la sua produzione tardiva.
Commento
La sentenza riguarda un giudizio di opposizione allo stato passivo instaurato da una Banca il cui credito non era stato ammesso per insufficienza della documentazione giustificativa prodotta. In particolare, la Banca era titolare di un credito per anticipazione bancaria su pegno, ma non si era premurata di proporre domanda di ammissione al passivo producendo anche gli estratti del conto corrente su cui l’affidamento era regolato, essendosi viceversa limitata a produrre i contratti di anticipazione all’esportazione e le contabili di accredito sul conto corrente di corrispondenza.
Promuoveva allora giudizio di opposizione allo stato passivo ex art. 98 L.F. e soltanto in quella sede produceva anche gli estratti del conto corrente su cui l’affidamento era regolato. Insisteva, nondimeno, per la condanna della Curatela al pagamento delle spese ritenendo questa soccombente, ed in particolare sostenendo che gli estratti di conto corrente non fossero affatto necessari ai fini dell’ammissione al passivo del credito vantato.
Il Tribunale ammetteva il credito, ma rigettava la richiesta di condanna della Curatela alle spese di lite e, quindi, compensava le spese.
Così statuendo, il Tribunale confermava quell’indirizzo della Suprema Corte di Cassazione che prende le mosse dalla posizione di terzietà della Curatela rispetto al fallito a tutela degli interessi della massa (ex multis, Cass. civ., Sez. I, 09.05.2001, n. 6465). Ciò posto, se è vero che l’anticipazione bancaria è regolata su conto corrente di corrispondenza, e che la disciplina delle operazioni bancarie in conto corrente, e precisamente l’art. 1857 cod. civ., richiama, tra gli altri, l’art. 1832 cod. civ. sull’approvazione del conto non contestato nei termini dal correntista, è altrettanto vero che il regime di approvazione di cui all’art. 1832 cit. (pur con tutti i limiti che sono noti) vale soltanto tra le parti del rapporto di conto corrente bancario, e cioè tra la Banca ed il correntista, e soltanto in questo rapporto è opponibile dalla Banca al correntista. Viceversa, al curatore, che è terzo rispetto al predetto rapporto, la Banca non può opporre gli effetti che dall’approvazione anche tacita del conto e dalla decadenza dalle impugnazioni derivano tra le parti del contratto di conto corrente di corrispondenza. Non si può – sostiene la Suprema Corte – “assegnare a detti estratti conto il valore probatorio circa la veridicità e l’esistenza del credito che dalla mancata contestazione o impugnazione deriva allorché il rapporto si svolge inter partes. Né la banca potrebbe invocare la norma dell’art. 2710 c.c. in relazione alle risultanze interne dei suoi libri contabili, e ciò per la considerazione che le contestazioni eventualmente insorte in sede di formazione dello stato passivo […] tra il curatore e il creditore istante non danno luogo né si configurano come una controversia tra imprenditori”.
La conseguenza di questo ragionamento è che, se, in sede fallimentare, la Banca non gode di alcun regime probatorio privilegiato, nel momento in cui essa chiede l’ammissione al passivo di un proprio credito per anticipazione bancaria regolata su conto corrente (ma lo stesso dicasi per ogni altro affidamento così regolato), la Banca deve assolvere pienamente all’onere della prova a suo carico ex art. 2697 cod. civ. e, per l’effetto, deve produrre anche tutti gli estratti conto che dimostrino l’esistenza del credito girato “a sofferenza”; ciò sia nella fase di ammissione del credito al passivo sia nell’eventuale giudizio di opposizione, che si configura come un giudizio di cognizione ordinaria.
Certo è che l’onere probatorio a carico della Banca si aggrava di molto; ma la Suprema Corte osserva che la Banca, anche ai fini dell’assolvimento degli obblighi di cui all’art. 119, comma 4, TUB, ha l’obbligo di conservare tutta la documentazione inerente alle singole operazioni relativa agli ultimi dieci anni. Dal che par di capire che la Banca, nella produzione documentale a supporto della domanda di ammissione al passivo, dovrebbe spingersi fino a tutti gli ultimi dieci anni, salvo, ovviamente, che il rapporto abbia avuto una più breve durata.
Alla luce di questo ragionamento, cadeva, quindi, anche l’assunto della Banca nel caso che ci occupa per ottenere la condanna della Curatela alle spese in sede di opposizione allo stato passivo. Il Tribunale aveva, infatti, buon gioco nel rammentare che la materia delle spese deve ritenersi regolata dal principio ricavabile dall’art. 101, ultimo comma, L.F. sulla dichiarazione tardiva di credito, ed in particolare sul rilievo che può assumere la tardività colpevole del creditore ai fini della non ammissione delle domande tardive: “Pertanto, [scrive il Tribunale] anche nel giudizio di opposizione a stato passivo, il regolamento delle spese non può prescindere dalla valutazione della condotta del creditore opponente e della sua eventuale responsabilità, tutte le volte che a lui si possa o si debba ascrivere di aver dato causa (ad esempio con la tardiva produzione della documentazione giustificativa del credito) o di aver reso necessario il giudizio di opposizione stesso, pur se di esito favorevole ad esso opponente”; e, per l’effetto, compensava le spese di lite tra la Banca e la Curatela, pur ammettendo il credito della Banca.