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Giurisprudenza

Insolvenza nel fallimento: i criteri di valutazione

25 Gennaio 2023

Cassazione Civile, Sez. VI, 03 gennaio 2023, n. 64 – Pres. Bisogni, Rel. Ferro

Di cosa si parla in questo articolo

Con ordinanza n. 64 del 3 gennaio 2023, la VI Sezione Civile della Corte di Cassazione (Pres. Bisogni, Rel. Ferro) conferma il proprio orientamento (Cass. 7087/2022 e 29913/2018) sui criteri di valutazione dello stato di insolvenza nel fallimento.

Secondo tale orientamento, lo stato di insolvenza delle società, che non siano in liquidazione, deve essere desunto non già dal rapporto tra attività e passività, bensì dall’impossibilità dell’impresa di continuare ad operare proficuamente sul mercato.

In tal senso, l’impossibilità di operare dell’impresa deve tradursi in una situazione d’impotenza strutturale (e non soltanto transitoria) a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, per il venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie allo svolgimento dell’attività.

E’ certo che legittimamente la situazione di irreversibilità può essere desunta, nel contesto dei vari elementi, anche dal mancato pagamento dei debiti. Ma quel che interessa è che l’inadempimento sia sintomatico di un giudizio di inidoneità solutoria strutturale del debitore, e che quindi sia oggetto di valutazione complessiva.

Infatti, il significato oggettivo dell’insolvenza, rilevante agli effetti della dichiarazione di fallimento ex art. 5 della legge fallimentare, deriva da una valutazione circa le condizioni economiche necessarie (secondo un criterio di normalità) all’esercizio delle corrispondenti attività, e si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all’impresa, che si esprime nell’incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle relative esigenze – prima fra tutte l’estinzione dei debiti.

In questa concezione sostanziale, l’accertamento dell’insolvenza ai fini del fallimento non s’identifica in modo necessario e automatico con il mero dato contabile fornito dal raffronto tra l’attivo ed il passivo patrimoniale dell’impresa.

Lo sbilancio negativo infatti non esclude che l’imprenditore possa continuare a godere di credito e sia di fatto in condizione di soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, configurandosi l’eventuale difficoltà in cui egli versa come meramente transitoria.

Per contro, laddove l’eccedenza di attivo dipenda dal valore di beni patrimoniali non agevolmente liquidabili, o la cui liquidazione risulterebbe incompatibile con la permanenza dell’impresa sul mercato e con il puntuale adempimento di obbligazioni già contratte, il presupposto dell’insolvenza ai fini del fallimento può esser egualmente riscontrato.

E’ comunque evidente come l’eventuale eccedenza del passivo sull’attivo patrimoniale costituisce, pur sempre, e nella maggior parte dei casi, uno dei tipici “fatti esteriori” che dimostrano l’impotenza dell’imprenditore a soddisfare le proprie obbligazioni.

Sempre quindi dai dati di contabilità dell’impresa si deve partire per vagliare se il debitore disponga di risorse idonee a fronteggiare in modo regolare le proprie obbligazioni, tenendo conto della loro scadenza, della natura e composizione dei cespiti necessari per poterne eventualmente far fronte.

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