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Attualità

Interessi legali maggiorati ex art. 1284, IV comma c.c.: qual è l’ambito di applicazione?

19 Marzo 2024

Simona Daminelli, Partner, La Scala Società tra Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza l’ambito di applicazione degli interessi legali “maggiorati” disciplinati dall’art. 1284, IV comma, del codice civile.


L’art. 1284 c.c., in tema di “saggio degli interessi”, al IV comma prevede che “Se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

Questa disposizione è stata introdotta dal legislatore nel 2014 al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalla lunga durata dei processi civili, tutelando la parte creditrice rispetto al pregiudizio che, in caso di inadempimento del debitore, le deriverebbe dai tempi della giustizia. In particolare, tramite la previsione di un tasso di interesse più elevato rispetto a quello ordinario a partire dalla proposizione della domanda, si è voluto scoraggiare le condotte meramente dilatorie.

In altri termini, l’intento del legislatore è stato quello di sanzionare il debitore che, pur avendo assunto uno specifico impegno convenzionale, si sottragga consapevolmente ai propri obblighi, con l’intento di lucrare sulla convenienza del passare del tempo, correlata all’esiguità del tasso degli interessi legali.

Tale norma, tuttavia, ha posto e continua a porre dubbi circa i limiti della sua applicabilità, ossia se riguardi esclusivamente le obbligazioni derivanti da un rapporto giuridico di natura negoziale ovvero se possa estendersi anche alle obbligazioni restitutorie e risarcitorie.

È, dunque, opportuno verificare come la giurisprudenza si sia posta con riguardo a tale questione.

La Corte di Cassazione, con sentenza 7 novembre 2018, n. 28409 ha dapprima escluso la sua applicabilità alle ipotesi di atto illecito e alle obbligazioni derivanti da disposizioni di legge. Infatti, secondo la Suprema Corte, già dall’incipit della norma emergerebbe la volontà di limitare la sua applicazione alle obbligazioni pecuniarie ossia quelle che trovano la loro fonte genetica nel contratto. Sul punto si legge in sentenza: “Difatti il cenno alla convenzione tra le parti sul punto lumeggia come la voluntas legis sia diretta a colpire l’inadempienza, rispetto ad un obbligo liberamente e pattiziamente assunto, anche mediante l’abuso del processo come mezzo per prolungare ai danni del creditore la soddisfazione del suo diritto. Quindi si deve concludere che la norma di cui all’art. 1284 c.c., comma 4, disciplina il saggio degli interessi legali – e come tali dovuti automaticamente senza necessità di apposita precisazione del loro saggio in sentenza – applicato a seguito d’avvio di lite sia giudiziale che arbitrale però in correlazione ad obbligazione pecuniaria che trova la sua fonte in un contratto stipulato tra le parti, anche se afferenti ad obbligo restitutorio. Viceversa in relazione alle obbligazioni pecuniarie derivanti dalle altre fonti indicate in art. 1173 c.c., detta disciplina non risulta applicabile poichè nemmeno in astratto è possibile ipotizzare un previo accordo tra le parti interessate circa il saggio d’interesse o le conseguenze dell’inadempimento”.

Analogamente, con sentenza 9 maggio 2022, n. 14512, i giudici di legittimità hanno ribadito che la regola generale, prevista dal comma IV dell’art. 1284 c.c., trova applicazione solo con riguardo alle obbligazioni di fonte contrattuale, atteso che “rappresenta una chiara eccezione prevista esclusivamente per l’ipotesi in cui gli interessi costituiscano accessorio di un debito nascente da un negozio giuridico, con la conseguenza che essa non si applica all’indennizzo per irragionevole durata del processo, che non ha fonte negoziale”.

La giurisprudenza di merito prevalente, in continuità con tale orientamento, fino allo scorso anno ha pertanto escluso che l’interesse maggiorato possa essere applicato nell’ambito del contenzioso bancario, con riferimento alle obbligazioni restitutorie da ripetizione d’indebito. Ciò in quanto, sino all’emissione della sentenza, non può configurarsi alcun credito a favore del correntista certo, liquido ed esigibile: il pagamento ricevuto dalla Banca costituisce atto lecito finché non ne venga dichiarata l’illegittimità, con la conseguenza che, fino alla decisione, non è possibile parlare di inadempimento contrattuale in capo all’istituto di credito.

I giudici sono, peraltro, pervenuti a questa conclusione anche sulla base del fatto che l’ipotesi del IV comma dell’art. 1284 c.c. è strettamente correlata ai due commi che precedono e, in particolare, al secondo, che fa espresso riferimento agli interessi convenzionali (e, dunque, all’esistenza di un contratto sottostante). Anche la locuzione “se le parti non ne hanno determinato la misura” lascia ragionevolmente intendere che la norma sia applicabile solo nei casi in cui vi è una specifica convenzione tra le parti in punto interessi, ma non ne è stato indicato il relativo tasso.

In tal senso, si ricorda ad esempio Corte Appello di Venezia, 1° febbraio 2023, n. 232, secondo la quale la norma “trova applicazione per i soli crediti di natura contrattuale, e non anche per quelli sorti ex lege, quale il credito per la ripetizione di un indebito oggettivo. Ciò si desume dall’espresso richiamo alla disciplina delle transazioni commerciali, che per l’appunto concerne i crediti che hanno fonte nel contratto. Solo con riferimento ai crediti contrattuali può infatti estendersi la ratio della disciplina speciale, volta a contrastare, con la mora automatica e l’elevato saggio d’interesse, i ritardi nei pagamenti, in considerazione del pregiudizio arrecato al sistema economico dalla prassi, invalsa tra le imprese, di ritardare l’adempimento per trattenere e beneficiare della liquidità”.

Nel 2023, tuttavia, la Corte di Cassazione, con ordinanza 3 gennaio 2023, n. 61, ha ritenuto di modificare l’orientamento della Sezione III, giungendo ad affermare che anche la mera azione di ripetizione di indebito esperita dal correntista, per ottenere la restituzione di importi illegittimamente trattenuti dalla propria banca sulla base di clausole contrattuali nulle, costituisce un’azione restitutoria che trova la sua base nel rapporto contrattuale tra istituto di credito e cliente. Infatti, si tratterebbe di un’azione restitutoria relativa all’inadempimento di un accordo contrattuale e, di conseguenza, il relativo credito resterebbe assoggettato alla disposizione di cui all’art. 1284, IV comma c.c.

La Cassazione ha posto alla base del suo orientamento il convincimento che la norma individui il tasso degli interessi per tutte le obbligazioni pecuniarie, dall’inizio del processo e sino al momento del pagamento, salvo diverso accordo tra le parti. Questo si ricaverebbe sia dalla ratio della disposizione (introdotta per scoraggiare l’inadempimento, come sopra detto), sia dal fatto che l’art. 1284 disciplina in generale il “saggio degli interessi” e non contiene alcuna espressa limitazione di applicabilità.

Inoltre, la Suprema Corte ha cassato il precedente orientamento anche nella parte in cui il medesimo escludeva l’applicabilità della norma alle obbligazioni restitutorie e risarcitorie per evitare un’inutile duplicazione dell’art. 1124 c.c., che regola le conseguenze dell’inadempimento da obbligazioni pecuniarie. Ebbene, secondo i giudici di legittimità, si tratta invero di norme con campi di applicazione diversi, in quanto l’art. 1224 c.c. disciplina il diverso tasso degli interessi dovuto dal giorno della mora (che può essere anche anteriore all’inizio del processo), escludendo così il rischio di sovrapposizioni.

All’indomani dell’ordinanza n. 61/2023, pertanto, parte della giurisprudenza di merito si è allineata alla decisione della Cassazione.

Tra le altre, si segnala la Corte d’Appello di Milano, secondo la quale : “La disposizione di cui all’art. 1284, comma 4, c.c., individua un tasso legale degli interessi applicabile, in linea generale, a tutte le obbligazioni pecuniarie (salvo diverso accordo delle parti e salva diversa espressa previsione di legge), per il periodo successivo all’inizio del processo avente ad oggetto il relativo credito, fino al momento del pagamento” (Corte Appello Milano, 19 aprile 2023, n. 1283).

Come si può, dunque, evincere dall’attuale quadro giurisprudenziale, la questione dei limiti di applicabilità del IV comma dell’art. 1284 c.c. è tuttora dibattuta. In particolare, la decisione n. 61/2023 della Cassazione solleva delle perplessità.

Infatti, se è vero che la norma disciplina il tasso legale degli interessi senza alcuna espressa limitazione, è anche vero che la stessa è stata modificata per disincentivare il ritardo nei pagamenti relativi ad un’obbligazione pecuniaria, tant’è che nella relazione illustrativa al decreto legge n. 132/2014 si legge chiaramente che la novella era destinata a “evitare che i tempi del processo civile diventino una forma di finanziamento al ribasso e dunque che il processo stesso venga a tal fine strumentalizzato”. In altre parole, si è voluto sanzionare chi adempie in ritardo un’obbligazione disciplinata da contratto che ne prevede le tempistiche di adempimento.

Nel caso di ripetizione dell’indebito bancario, però, non esiste un “ritardo”, perché l’obbligazione restitutoria, pur derivando da un contratto, sorge soltanto nel corso del processo, allorché viene accertata l’invalidità di una clausola contrattuale. Pertanto, non pare corretto parlare di “inadempimento”, al quale poter correlare la sanzione dell’applicazione degli interessi di cui alle transazioni commerciali. Infatti, la parti, in sede di stipula del contratto, non avrebbero nemmeno potuto stabilire la misura degli interessi dovuti in relazione ad un’obbligazione che in quel momento non esisteva.

Infine, non è trascurabile la circostanza per cui l’art. 2033 c.c., in caso di buona fede di chi ha ricevuto il pagamento indebito, prevede il riconoscimento di interessi, dal giorno della domanda, da intendersi quali interessi compensativi, ossia volti a remunerare chi agisce in ripetizione per non aver potuto disporre della somma indebitamente ricevuta. Gli interessi commerciali, invece, hanno chiaramente natura corrispettiva, ossia sono la necessaria conseguenza della natura fruttifera del denaro.

Da ultimo, occorre considerare che la Suprema Corte ha, comunque, precisato che il IV comma trova applicazione solo nel processo di cognizione e non nell’ambito del procedimento esecutivo. In particolare, con sentenza 23 aprile 2020, n. 8128, i giudici di legittimità hanno affermato che, in tema di esecuzione forzata fondata su titolo esecutivo giudiziale, “ove il giudice della cognizione abbia omesso di indicare la specie degli interessi che ha comminato, limitandosi alla generica qualificazione degli stessi in termini di “interessi legali” o “di legge”, si devono ritenere liquidati soltanto gli interessi di cui all’art. 1284 c. c., in ragione della portata generale di questa disposizione, rispetto alla quale le altre ipotesi di interessi previste dalla legge hanno natura speciale; né può ritenersi consentito al giudice dell’opposizione all’esecuzione di procedere ad integrazione o correzione del titolo esecutivo, atteso che riapplicazione di una qualsiasi delle varie ipotesi di interessi legali, diversi da quelli previsti dal citato art. 1284 c.c., presuppone l’avvenuto accertamento degli elementi costitutivi della relativa fattispecie speciale, che può essere contestato solo attraverso l’impugnazione della decisione di merito, non essendo questa suscettibile di integrazione o correzione in sede esecutiva”.

Infatti, nel processo di esecuzione il giudice non ha poteri di cognizione e di accertamento dei fatti, ma deve limitarsi ad attuare il comando contenuto nel titolo esecutivo.

La Suprema Corte ha recentemente confermato tali principi con la decisione del 4.08.2023, n. 23846, ribadendo che, se il titolo esecutivo giudiziale non specifica la natura degli interessi liquidati, occorre necessariamente far riferimento al tasso legale ex art. 1284 c.c., comma I.

In conclusione, quindi, la questione dell’applicazione generalizzata dell’art. 1284, IV comma non ha ancora trovato soluzione e si confida che la Cassazione porti chiarezza al più presto, evitando così ripetute decisioni giurisprudenziali contrastanti.

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