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Dossier

Interessi moratori e usura

A proposito di Abf Napoli, n. 125/2014

4 Febbraio 2014

Maddalena Semeraro

Non si può porre in relazione la misura degli interessi moratori con il c.d. tasso soglia. Ciò per due ordini di ragioni. La funzione risarcitoria cui sono deputati esclude che a essi si possa riconoscere alcun ruolo nella concessione del credito e, quindi, nella valutazione di usurarietà del prestito. I medesimi interessi, inoltre, non concorrono in alcun modo nelle rilevazioni periodiche che costituiscono la base di calcolo del tasso soglia. Con la conseguenza che, per chi ritiene che tali interessi debbano essere pur sempre valutati ai fini dell’usura, potrà applicarsi in ogni caso la previsione contenuta nella seconda parte del comma 3 dell’art. 644 c.p. (c.d. usura residuale)

1. L’Arbitro Bancario e Finanziario si pronuncia, poco dopo la Cassazione, sul rapporto tra usura e interessi moratori. E lo fa affermando l’opinione e adottando la soluzione opposte a quelle fatte proprie dai giudici di legittimità.

Segnatamente, problema è quello ben noto della rilevanza degli interessi moratori ai fini della valutazione di usurarietà del prestito. La Cassazione risolve nel senso della loro rilevanza,[1] riconoscendo l’idoneità anche di questo interesse a venire calcolato per la valutazione dello sforamento del c.d. tasso soglia. L’ABF, senza mezzi termini, scioglie il medesimo nodo in senso contrario, escludendo sì fatta idoneità.

I percorsi argomentativi sono entrambi ben ancorati al dato positivo.

Da un lato, il rilievo conferito all’interesse moratorio viene giustificato sulla base del disposto dell’art. 1 del d.l. 29 dicembre 200, n. 394 di interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, convertito con l. 28 febbraio 2001, n. 24: «ai fini dell’applicazione dell’art. 644 del codice penale e dell’art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento». Se a qualunque titolo – osserva la Cassazione – allora anche a titolo di mora.

Dall’altro lato, la negazione di tale rilievo è ricavata dalla previsione oggetto della evocata interpretazione autentica: l’art. 644, comma 1, c.p. «si riferisce a colui che “si fa dare o promettere … in corrispettivo di una prestazione in danaro … interessi”». Dunque: nessun ruolo potrebbe svolgere l’interesse moratorio attesa «la necessaria e logica interdipendenza che esiste tra l’erogazione del credito e l’usura».

2. L’apparato argomentativo della decisione dell’Arbitro bancario è decisamente più articolato di quello esibito dalla pronuncia della Cassazione. Accanto al menzionato riferimento al dato normativo, c’è spazio per altre considerazioni: in ordine alla funzione degli interessi moratori, che è funzione risarcitoria e che, in ipotesi di sproporzione, dovrebbe indurre a orientarsi verso altre tecniche rimediali (in primis l’art. 1384 c.c.); in ordine al carattere, definito (peraltro, piuttosto frettolosamente) dall’Arbitro «non cogente», dei medesimi interessi in quanto dovuti esclusivamente in caso di inadempimento, carattere che – è detto – ne conferma l’estraneità al fenomeno dell’usura.

Non ultima per importanza, è l’ulteriore considerazione del complesso procedimento mediante il quale viene individuato il tasso soglia. Infatti, nelle istruzioni della Banca d’Italia non è previsto che dell’interesse moratorio si tenga conto nel calcolo del Tasso effettivo globale medio, il quale, a sua volta, costituisce la base di calcolo del tasso soglia. Rovesciando i termini della questione, alla domanda in ordine alla idoneità del menzionato tasso a costituire un limite per l’interesse moratorio, l’ABF dà perciò risposta negativa.

Infine, per quel che qui interessa, appare significativo un ulteriore passaggio della decisione dell’Arbitro bancario. Messo da parte il tasso soglia, messe da parte anche le rilevazione del tasso di mora effettuate dalla stessa Banca d’Italia nel lontano 2002 –  e che evidenziano una maggiorazione media del 2% del tasso corrispettivo – perché, appunto, risalenti nel tempo, l’ABF conclude osservando che «è chiaro […] che, per chi ritiene che gli interessi moratori debbano essere pur sempre valutati ai fini dell’usura, potrà applicarsi in ogni caso la previsione contenuta nella seconda parte del comma 3 dell’art. 644 c.p. (c.d. usura residuale)».

Ma come, verrebbe da chiedersi, non erano gli interessi moratori assolutamente estranei al fenomeno dell’usura?

3. In via preliminare è opportuno sgombrare il campo da un equivoco: il fatto che l’interesse moratorio non venga preso in considerazione nelle rilevazioni trimestrali che effettua la Banca d’Italia nulla dice sulla sua inerenza alla pratica della usura, con la conseguenza che chi dovesse reputare tale inerenza esistente non dovrebbe di certo individuare quale unico rimedio esperibile quello offerto dall’ultima parte del comma 3 dell’art. 644 (c.d. usura residuale). È chiaro infatti che i dati che concorrono al calcolo del tasso soglia non vengono stabiliti in autonomia dalla Banca d’Italia. La menzione fatta delle commissioni, delle remunerazioni a qualunque titolo e delle spese contenuto nell’art. 644 c.p. come modificato dalla l. 7 marzo 1996, n. 108 va con evidenza ulteriormente specificato alla luce della ratio sottesa alla medesima disciplina antiusura. Basti a tale proposito ricordare la vicenda della commissione di massimo scoperto, di fatto non presa in considerazione ai fini della determinazione del TEGM, ma che invece avrebbe dovuto a tal fine rilevare stante la sua somiglianza, pur se soltanto strutturale (l’una è dovuta in ragione del tempo della messa a disposizione della somma di danaro, gli altri in ragione del tempo di utilizzo della medesima somma), agli interessi corrispettivi.

Ciò posto, resta da valutare la bontà della soluzione abbracciata dall’Arbitro bancario e finanziario in ordine al rapporto corrente tra interessi moratori e usura.

Anzitutto si mostrano condivisibili l’esclusione dell’inerenza dell’interesse moratorio al fenomeno dell’usura con la sottolineatura della relativa funzione risarcitoria. Senza ombra di dubbio, ove il tasso sia convenzionalmente pattuito dalle parti, tale interesse assolve una funzione equiparabile a quella propria della clausola penale rispetto alla quale il rimedio in caso di eccessiva onerosità è la riduzione a equità da parte del giudice e non già la nullità. Altrettanto giustamente l’Arbitro bancario argomenta mettendo in evidenza lo stretto collegamento esistente tra erogazione del credito e usura, vieppiù evidente ove si volga lo sguardo alle diverse forme assunte dall’usura nel corso dei secoli. Quando con tale termine si indicava la stessa pratica del prestito a interessi, di per sé vietata dalle leggi sia civili sia religiose, nessun dubbio esisteva in ordine alla liceità dell’interesse moratorio quale strumento di risarcimento del danno. Quando, poi, il prestito a interessi fu ammesso e si iniziò a discutere sulla opportunità di stabilire un limite all’interesse, superato il quale soltanto ci sarebbe stata usura, a essere sdoganato fu esattamente l’interesse corrispettivo.

È anche vero, tuttavia, che l’interesse moratorio potrebbe in concreto costituire uno strumento mediante il quale perpetrare il reato di usura. Se la ratio della disciplina è di evitare che chi presta danaro ottenga un profitto ingiustificato, allora anche tale interesse diventerebbe su tale piano rilevante ove fosse a ciò indirizzato. È il caso, ad esempio, di chi concede un finanziamento sapendo delle difficoltà economiche del debitore e mira sull’interesse moratorio per ottenere un profitto ingiustificato. Ancora, l’interesse moratorio non è in senso stretto collegato alla erogazione del credito, attesa la sua funzione risarcitoria, quando è in concreto predisposto a realizzare quest’ultima. Così non è qualora venga utilizzato per altre finalità, con il solo scopo di ottenere un profitto ingiustificato, nuovamente sfruttando le difficoltà economiche del debitore[2].

Quale dunque il rapporto tra usura e interessi moratori? A prevalere nella scelta in un senso o nell’altro deve essere la funzione in astratto riconducibile alla clausola pattizia oppure quella in concreto da essa realizzata?

4. La decisione dell’ABF mette in luce sicuramente un dato: la necessità di distinguere con riferimento alla portata della disciplina antiusura secondo che parte del rapporto di finanziamento sia o no un istituto di credito[3].

Ricominciamo dal quesito innanzi posto: a prevalere nella scelta in ordine alla individuazione del rapporto tra usura e interessi moratori è la funzione in astratto riconducibile alla clausola pattizia oppure quella in concreto da essa realizzata? Pur volendo accogliere la soluzione dell’Arbitro bancario e finanziario, sembra di potere affermare che a condurre alla esclusione dell’interesse moratorio dalla valutazione dell’usurarietà del prestito può soltanto essere la funzione in concreto assolta dalla clausola pattizia.

Dunque, in particolare nei rapporti di finanziamento tra banca e cliente è assai improbabile che l’interesse moratorio, per quanto eccessivo, diventi strumento mediante il quale perpetrare il reato di usura. La sua previsione, perciò, resta equiparabile sotto il profilo funzionale alla clausola penale, con la conseguenza che in caso di eccessiva onerosità della prestazione pecuniaria il rimedio applicabile, e anche il più equo vista l’estraneità della fattispecie all’usura, è quello sancito dall’art. 1384 c.c. Ciò, laddove la considerazione del rapporto tra istituto di credito e cliente quale esclusivo banco di prova del ruolo svolto dall’interesse moratorio trova riscontro nel fatto che soltanto a tali rapporti la disciplina antiusura ha riguardo nello stabilire le modalità di determinazione del tasso soglia.

Depongono infine per l’esclusione anche le conseguenze che discenderebbero, in caso contrario, dalla applicazione della menzionata disciplina. Atteso che la base di calcolo del tasso soglia è il TEGM, composto – come è noto – dal tasso nominale e dagli oneri connessi alla concessione del credito[4],  il riconoscimento della rilevanza dell’interesse moratorio nella valutazione della usurarietà comporterebbe inevitabilmente l’aggiunta di una voce di costo, con il conseguente innalzamento, quantomeno iniziale, del tasso soglia. Insomma, innalzamento del tasso soglia e minor tutela del debitore soprattutto nei rapporti di finanziamento che non vedono quali controparti istituti di credito: queste le conseguenze presumibili nel lungo periodo qualora l’orientamento giurisprudenziale che dà rilievo anche all’interesse moratorio ai fini della applicazione della disciplina antiusura venga seguito in punto di rilevazioni trimestrali del costo del credito.

In definitiva, la materia degli interessi non agevola soluzioni univoche e richiede invece sempre l’uso del rasoio.

La distinzione, nella disciplina antiusura, secondo che parte sia o no un istituto di credito costituisce un’importante chiave di lettura. Una cosa è l’usura riferita alle banche; altra cosa è il reato di usura. Esattamente questa distinzione, tuttavia, viene assai spesso trascurata dalla giurisprudenza. Neppure l’Arbitro bancario e finanziario sembra tenerla nel giusto conto. Sebbene opposte sul piano delle soluzioni accolte, le decisioni della Cassazione e dell’ABF sono sotto tale profilo accomunabili e perciò parimenti criticabili: l’una, attribuendo sempre rilevanza all’interesse moratorio; l’altro, negandola in linea di principio.

 


[1] Ultima in ordine temporale è Cass., 9 gennaio 2013, in Banca borsa tit. cred., 2013, p. 498 ss., con nota di A.A. Dolmetta, Su usura e interessi moratori: questioni attuali, ivi, p. 501 ss.

[2] L’osservazione che l’interesse moratorio, seppure per sua natura destinato a risarcire il danno da inadempimento, possa costituire in concreto strumento di usura può implicare l’emersione della distinzione tra usura del negozio e usura del singolo patto; distinzione parimenti basata sulla variabilità della funzione delle singole voci rispetto al complessivo interesse delle parti contraenti. Si tratta di una prospettiva, che per ragioni di spazio non può essere qui approfondita e che resta perciò in attesa di essere affrontata con adeguato respiro, le cui ricadute applicative sono potenzialmente rilevanti sul piano rimediale (A.A. Dolmetta, Su usura e interessi moratori: questioni attuali, cit., p. 504 ss.).

[3] La necessità è stata posta in evidenza già tempo addietro da P. Ferro-Luzzi, Ci risiamo. (A proposito dell’usura e delle commissioni di massimo scoperto), in Giur. comm., 2006, p. 271 ss.

[4] V. le istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge antiusura in www.bancaditalia.it.

 

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