Con la sentenza in commento la Suprema Corte stabilisce l’importante principio per cui l’intermediario non può essere chiamato a rispondere per i danni derivanti dalle operazioni poste in essere dal proprio dipendente ove le stesse siano il risultato di un accordo autonomo tra quest’ultimo e l’investitore che riconosce all’intermediario una larga autonomia operativa, comportando l’estraneità della banca al fatto del dipendente.
Nel caso sottoposto al giudizio della Corte i clienti avevano convenuto in giudizio l’istituto bancario al fine di ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla violazione degli obblighi informativi in tema di intermediazione finanziaria da parte del promotore finanziario, dipendente dell’istituto, con il quale i medesimi avevano, tuttavia, concluso separato e personale contratto di mandato senza obbligo per il promotore di informare i clienti dei movimenti compiuti per loro conto.
Riconosciuto in via preliminare valore confessorio all’atto di transazione intervenuto tra gli investitori ed il dipendente dell’istituto, la Suprema Corte, confermando la sentenza impugnata, esclude che il fatto illecito del promotore sia legato da un nesso di occasionalità necessaria con l’esercizio delle mansioni a cui lo stesso è adibito, così come richiesto dall’art. 31, co. 3 del TUF, determinando l’assoluta estraneità dell’intermediario alla condotta del dipendente.
In definitiva, la presenza dell’accordo tra l’investitore ed il dipendente bancario è stato ritenuto atto idoneo ad interrompere il nesso di causalità necessaria, facendo venir meno la responsabilità indiretta della banca per le conseguenze dannose subite dai clienti, per cui le perdite risultanti dalle numerose operazioni finanziarie poste in essere dal promotore derivano proprio dalla condotta degli stessi investitori.