La sentenza allegata verte sull’interpretazione di due scritture private – intercorse fra due soci di una s.r.l., il primo dei quali rivestiva pure la carica di presidente del C.d.A. – aventi ad oggetto la determinazione del corrispettivo dell’exit (il termine è per ora volutamente neutro) di uno dei due socio.
In particolare, sul piano della fattispecie concreta, la società versava in una condizione di dissesto finanziario. Tant’è che l’accordo precedeva di pochi giorni un’assemblea straordinaria convocata obbligatoriamente per la ricostituzione del capitale eroso da perdite rilevanti (art. 2482-ter c.c.); ed era, infatti, finalizzato a consentire l’ingresso in società di un terzo finanziatore tramite la sottoscrizione del deliberando aumento.
A questo proposito, il socio uscente sostiene che la “somma di liquidazione” convenuta nel patto riferito sia a lui dovuta a titolo di corrispettivo per la rinuncia al diritto di sottoscrizione dell’aumento di capitale, dovendosi pertanto intendere la controparte obbligata pure personalmente nella propria qualità di socio.
Di contrario avviso è il Presidente del c.d.a., il quale sostiene che l’accordo fosse diretto esclusivamente alla determinazione del corrispettivo per il recesso (art. 2473 c.c.), con la conseguenza che unica obbligata sarebbe la società: infatti il patto sarebbe stato da lui sottoscritto soltanto in qualità di rappresentante legale e non pure personalmente, con conseguente esclusione della propria legittimazione passiva.
Il Tribunale di Milano ritiene che la questione debba essere risolta sulla base delle regole di interpretazione dei contratti: tanto con riferimento alla «comune intenzione» e al «comportamento complessivo» delle parti (art. 1362 c.c.), quanto al «complesso delle clausole» (art. 1363 c.c.). In questa prospettiva, atteso che nella pattuizione parasociale emergeva l’adesione del contraente “nella sua qualità di socio e presidente del consiglio di amministrazione”; che il corrispettivo sarebbe stato versato “dal signor. …”, con una dilazione del pagamentodipendente dalla possibilità finanziarie del socio; che il corrispettivo veniva determinato “tenendo conto dei rapporti di dare e avere fra i due soci non solo nei confronti della società, ma anche dei loro rapporti personali”; appare allora «evidente – afferma il Tribunale – che il credito non sia dovuto a titolo di liquidazione delle quote per recesso del socio, ex art. 2473 c.c., bensì quale corrispettivo per la rinuncia al diritto di opzione».
L’intenzione delle parti era cioè quella di concludere un accordo a prestazioni corrispettive, ove un socio, a fronte della rinuncia da parte dell’altro al diritto di sottoscrizione – rinuncia verso cui il primo aveva uno specifico interesse, potendo in questo modo sottoscrivere l’aumento insieme ad un terzo finanziatore e proseguire solo con esso l’attività d’impresa –, si impegnava al pagamento di una somma di denaro.