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Attualità

Invenzioni universitarie: le novità del Codice della proprietà industriale

15 Dicembre 2023

Giovanni Trabucco, Associate, Hogan Lovells

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza le importanti novità in materia di invenzioni universitarie adottate con le modifiche al Codice della proprietà industriale.


Negli ultimi mesi sono entrate in vigore alcune importanti modifiche al codice della proprietà industriale (c.p.i.) (d. lgs. 10 febbraio 2005, n. 30). Tra le novità di maggior rilievo introdotte dalla riforma (l. 24 luglio 2023, n. 102), spiccano le modifiche apportate in materia di invenzioni universitarie.

Innanzitutto, va segnalata l’abolizione del cosiddetto “professor privilege“. Fino a pochi mesi fa, infatti, l’articolo 65 c.p.i. prevedeva che i ricercatori universitari godessero, in via esclusiva, dei diritti derivanti dalle invenzioni brevettabili di cui erano autori, nonostante il loro rapporto di lavoro con l’università. Regole analoghe si applicavano anche ai ricercatori degli enti pubblici di ricerca. All’università – o all’ente pubblico di ricerca – spettava invece una parte dei canoni nel caso in cui l’invenzione fosse stata concessa in licenza a terzi. Ma, in ogni caso, il ricercatore-inventore aveva diritto a non meno del 50% degli eventuali proventi o canoni di licenza. L’articolo 65 c.p.i. si poneva così in netto contrasto con la disciplina generale sulle invenzioni dei dipendenti che, salvo casi eccezionali, appartengono al datore di lavoro.

La nuova formulazione dell’articolo 65 c.p.i., prevede invece che, quando un’invenzione è realizzata nel corso di un rapporto di lavoro con un’università o un ente pubblico di ricerca, i rispettivi diritti appartengono, in prima battuta, all’ente. È fatto salvo solo il diritto dell’inventore ad essere riconosciuto come tale: un diritto c.d. “morale”. Il regime previgente delle invenzioni universitarie è stato così ribaltato in favore di un accentramento dei diritti in capo alle università, piuttosto che ai singoli ricercatori. E ciò anche in linea con il principio generale secondo cui i diritti di sfruttamento economico di un’invenzione spettano, di regola, a chi ha investito le risorse finanziarie e organizzative che hanno reso possibile tale invenzione.

In questo senso, la modifica dell’articolo 65 c.p.i. si inserisce in un più ampio quadro di riforme strategiche del settore e, soprattutto, rientra tra le misure previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Grazie alla nuova formulazione dell’articolo 65 c.p.i., l’Italia ha poi finalmente allineato la propria legislazione in materia di invenzioni a quella della maggior parte dei paesi europei, dove il “professor privilege” è stato abbandonato ormai da tempo.

Per sostenere ulteriormente le università e gli enti di ricerca, la riforma ha poi dato la possibilità ai medesimi di dotarsi – nell’ambito delle risorse disponibili – di un ufficio di trasferimento tecnologico con il compito di “promuovere la valorizzazione dei titoli di proprietà industriale, anche attraverso la promozione di collaborazioni con le imprese” (articolo 65-bis c.p.i.).

A sua volta, la collaborazione con le imprese rappresenta il secondo cardine della riforma in materia di invenzioni universitarie. Accanto all’abolizione del “professor privilege”, infatti, la riforma ha novellato l’articolo 65 c.p.i. anche per quanto concerne i risultati della ricerca finanziata da soggetti terzi. La norma prevede ora che i diritti derivanti dalle invenzioni realizzate nell’esecuzione di attività di ricerca svolta dai ricercatori universitari, ma finanziata da soggetti terzi, debbano essere disciplinati da accordi contrattuali tra le parti redatti secondo linee guida ministeriali adottate dal Ministro delle imprese e del made in Italy, di concerto con il Ministro dell’università e della ricerca.

Le linee guida in materia sono state puntualmente adottate con decreto ministeriale del 28 settembre 2023 e offrono numerosi spunti che gli enti di ricerca e i soggetti finanziatori potranno tenere in considerazione, ferma restando la piena libertà contrattuale delle parti. Infatti, nonostante i principi in materia siano ben noti agli operatori del settore, l’organizzazione ed esposizione sistematica degli stessi rappresenta sicuramente un valido supporto nelle attività negoziali.

Nel merito, le linee guida identificano innanzitutto tre principali fattispecie contrattuali cui possono essere ricondotti i rapporti di ricerca “commissionata”. Innanzitutto, le linee guida menzionano le attività di “servizio”, vale a dire i casi in cui l’ente di ricerca svolga, in favore del soggetto finanziatore, attività standard, con impiego di competenze consolidate (test, analisi, misurazioni e così via). In questi casi, l’ottenimento di risultati che posseggano i requisiti di protezione brevettuale è inusuale. Vi sono poi le attività di “sviluppo”, nelle quali tipicamente il soggetto finanziatore ha concepito un’idea progettuale, che sarà poi sviluppata nell’ambito della collaborazione (ricerca applicata, ottimizzazione, selezione di prodotti e processi già in fase di sviluppo, e così via). In questi casi, la generazione di invenzioni brevettabili rappresenta un esito possibile, ed è generalmente correlata all’innovazione preesistente del soggetto finanziatore. Infine, vi sono le attività di “ricerca innovativa”, in cui il soggetto finanziatore richiede all’ente di ricerca di svolgere attività “con una marcata propensione all’innovazione”, rispetto alle quali viene tipicamente fornito solo uno specifico obiettivo, ma la cui soluzione dovrà essere frutto della capacità inventiva dei ricercatori.

Muovendosi tra queste tre categorie – che ovviamente hanno uno scopo puramente illustrativo – le linee guida elencano gli aspetti del contratto che sarebbe bene disciplinare. Tra questi, rivestono particolare interesse i regimi suggeriti relativi alle conoscenze pregresse delle parti (c.d. background) e quelle attese dalla ricerca commissionata (c.d. foreground), vale a dire i possibili risultati della ricerca.

Quanto al background, le linee guida suggeriscono di specificare che in nessun caso la collaborazione darà luogo all’instaurazione di rapporti di titolarità o contitolarità diversi da quelli preesistenti. Ove però le conoscenze attese dipendano tecnicamente da un background dell’ente, il soggetto finanziatore potrebbe avere necessità di ottenere una licenza da parte dello stesso ente al fine di consentire il pieno sfruttamento commerciale del foreground.

Quanto al foreground – che costituisce l’aspetto più rilevante del contratto di ricerca – le linee guida illustrano tre scenari. In primo luogo, si prevede un regime di contitolarità dei risultati della ricerca. Tuttavia, è noto che la contitolarità dei diritti di proprietà industriale, quali i brevetti, dà luogo a regimi di comunione che possono essere forieri di contenzioso. Le linee guida sembrano dunque prediligere scenari alternativi, in cui la titolarità dei risultati della ricerca spetterà all’ente di ricerca (soprattutto nei casi di “ricerca innovativa”) o direttamente al soggetto finanziatore (come sarà tipicamente il caso nelle attività di “servizio”).

Vengono poi fornite ulteriori indicazioni sulla necessità di contrattualizzare i regimi di sfruttamento della proprietà industriale. A questo proposito, le linee guida sembrano dare per scontato che, in relazione alle attività di “sviluppo” e di “ricerca innovativa”, la titolarità dei diritti spetti (in tutto o in parte) all’ente di ricerca, e che dunque sia necessario prevedere nel contratto “le modalità di trasferimento a favore del soggetto finanziatore dei risultati”. Sotto quest’ultimo profilo, stupisce che le linee guida non tengano in considerazione il caso, che si ritiene tipico, in cui il soggetto finanziatore intenda ottenere la titolarità esclusiva dei risultati della ricerca sin da subito; e ciò specialmente ove si tratti di un’attività di ricerca “innovativa” che, verosimilmente, comporta gli oneri maggiori per i soggetti finanziatori.

Le linee guida ministeriali si connotano per aver rappresentato un quadro piuttosto equilibrato dei rapporti tra enti di ricerca e soggetti finanziatori e, congiuntamente alle riforme codicistiche, costituiscono senz’altro un passo in avanti nella disciplina legislativa delle attività di ricerca nel nostro Paese.

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