L’Organismo degli agenti e dei mediatori (OAM) ha pubblicato un’indagine in merito agli investimenti in criptovalute degli italiani.
L’indagine condotta dall’OAM su un campione rappresentativo della popolazione italiana ha rivelato che il 42% degli italiani conosce le valute virtuali, con un aumento del 3% rispetto alle precedenti rilevazioni.
Tra il 91% dei soggetti che ne hanno comunque sentito parlare, il 30% ha già investito nel settore e poco più di un quarto ritiene che l’utilizzo delle criptovalute supererà quello della moneta legale data la maggiore velocità nei pagamenti.
I soggetti con il livello di conoscenza più elevato sulle criptovalute sono principalmente uomini (+5% rispetto alle donne) e risiedono nel Centro e Nord Italia.
La preparazione sulle criptovalute tende a decrescere al diminuire del reddito percepito.
L’analisi delle risposte ha anche permesso di misurare il livello di consapevolezza degli italiani sui propri investimenti in criptovalute, la fiducia che ripongono su questo mercato e il livello di rischio percepito.
L’identikit dell’investitore in criptovalute
L’indagine ha rivelato che quasi il 30% dei soggetti del campione ha acquistato criptovalute in passato, e l’81% di questi ha espresso l’intenzione di continuare a investire nel 2023, spinti dalla volontà di diversificare il proprio portafoglio e ottenere alti rendimenti. In particolare, il 55% di coloro che hanno investito in criptovalute punta a un portafoglio più diversificato, mentre il 40% è alla ricerca di alti rendimenti.
L’investimento medio si attesta a 10mila euro per il 59% del campione, mentre il 16% ha investito tra i 10mila e i 25mila euro. Una percentuale del 9% ha investito tra i 25mila e i 40mila euro, mentre il 6% ha acquistato criptovalute per oltre 70mila euro. Inoltre, il 42% degli investitori ha optato per l’acquisto “fai da te”, mentre il 58% si è affidato a un broker o a un exchange.
L’investitore in valute virtuali tipico è descritto come maschio, residente nel Nord o nel Sud Italia, con un reddito compreso tra i 10.000 e i 39.999 euro (54% del campione), un livello di istruzione medio-alto e un analogo grado di alfabetizzazione finanziaria.
In termini di criptovalute acquistate, il Bitcoin è la moneta virtuale più popolare (acquistata dal 59% dei soggetti), seguito a distanza da Ethereum (23%), mentre Ripple e Cardano risultano meno diffuse.
Tuttavia, il 70% del campione non ha ancora investito in criptovalute, principalmente a causa della mancanza di conoscenze necessarie e della percezione di un alto rischio d’investimento.
Nonostante ciò, il 35% di coloro che non hanno ancora investito ha comunque intenzione di farlo in futuro.
Il futuro degli investimenti in criptovalute
Sul futuro delle criptovalute, il campione risulta diviso in due parti uguali: il 47% crede che l’utilizzo delle criptovalute supererà quello delle monete a corso legale, mentre il 53% resta ancorato alle valute tradizionali, considerando le criptovalute come un asset altamente volatile.
Gli entusiasti vedono invece il sorpasso come imminente, grazie alla velocità e alla sicurezza dei pagamenti in criptovaluta, che sono considerati anche più economici rispetto alle tradizionali monete. Tuttavia, questi dati sono stati rilevati prima del crollo di FTX e delle conseguenze che ne sono derivate, quindi potrebbero non essere più attuali.
La percezione del rischio
L’indagine ha rivelato che nonostante il 62% del campione ritenga che i mercati azionari siano più rischiosi delle criptovalute, il 61% degli intervistati è consapevole che il valore delle criptovalute può subire forti fluttuazioni anche nell’ordine dell’80% in pochi giorni. Tuttavia, il 31% degli investitori non ha idea del grado di volatilità del valore delle criptovalute.
La maggioranza degli investitori (58%) considera il livello di rischio delle criptovalute come basso o medio, indipendentemente dal livello di rendimento, mentre il 42% lo percepisce come un investimento ad alto rischio, indipendentemente dal rendimento atteso e/o ottenuto dall’asset digitale.
Sembra che gli attacchi hacker non rappresentino una preoccupazione rilevante per la maggior parte del campione: solo il 15% degli intervistati è molto preoccupato, mentre il 10% non si preoccupa affatto.