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Giurisprudenza

Investimenti in derivati: obblighi informativi ed onere della prova

26 Gennaio 2022

Paola Dassisti

Cassazione Civile, Sez. I, 11 novembre 2021, n. 33595 – Pres. De Chiara, Rel. Di Marzio

Di cosa si parla in questo articolo

La Suprema Corte nella sentenza in esame, in materia di risarcimento del danno cagionato dalla violazione di obblighi di comportamento gravanti sull’intermediario finanziario, in relazione ad un’operazione in strumenti finanziari derivati, puntualizza alcuni aspetti di carattere processuale.

In particolare, relativamente all’onere probatorio, il Supremo Collegio precisa che la violazione del precetto di cui all’articolo 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’articolo 360 n. 5 c.p.c. (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107).

Inoltre, proprio con riferimento alla denuncia di omessa considerazione di un fatto decisivo e controverso, la Corte osserva che il vigente numero 5 dell’articolo 360 c.p.c. fa riferimento ad un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Nel caso di specie, viceversa, non v’è traccia, nel ricorso, di uno o più specifici fatti storici che il giudice di merito avrebbe omesso di considerare e che, se considerati, avrebbero condotto ad una decisione più favorevole alla banca, la quale, invece, sollecita una riconsiderazione delle valutazioni compiute in sede di merito, che hanno indotto a reputare, in breve, che l’operazione fosse inadeguata e che l’intermediario non avesse ottemperato ai propri obblighi informativi, nulla infine rilevando la circostanza che la cliente non avesse sopportato l’esborso della somma portata dalla sentenza di primo grado, trattandosi «di questione che riguarda l’esecuzione della decisione e non al suo merito».

Inoltre la Corte puntualizza che – nell’interpretazione che le Sezioni Unite hanno dato nella sentenza poc’anzi richiamata – non è più ammesso nel regime di sindacato minimale previsto dalla norma, che il ricorrente possa limitarsi a contestare la persuasività del convincimento del giudice di merito fondato sull’esame delle risultanze probatorie, contrapponendovi la propria tesi difensiva, così da attingere il piano della sufficienza motivazionale. Infatti un sindacato sulla sufficienza motivazionale risulta oggi inibito dal novellato art. 360, n. 5, cod. proc. civ.

In definitiva, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, nei limiti in cui detto sindacato è tuttora consentito dal vigente numero 5 dell’articolo 360 c.p.c., delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi (così già Cass. 4 agosto 2017, n. 19547; Cass. 4 novembre 2013 n. 24679).

Alla luce di ciò, la Suprema Corte ritiene che è eccentrico rispetto al dato normativo un motivo di ricorso che, lungi dal manifestare astratta attitudine a scardinare la motivazione addotta dal giudice di merito, contrapponendo agli argomenti impiegati nella sentenza impugnata altri argomenti tali da smentire quelli ivi svolti, si limiti a prospettare, in violazione del principio di necessaria specificità dei motivi di ricorso per cassazione, una propria soggettiva rilettura della vicenda, che non intacca la giustificazione della decisione impugnata.

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