L’Agenzia delle Entrate aveva preteso il pagamento di somme a titolo di maggiore IRES e IRAP, oltre sanzioni e interessi, rettificando alcune poste inserite nella dichiarazione dei redditi di una società.
In particolare, erano stati contabilizzati importi corrisposti, a titolo di premio, per due polizze ramo vita, poi disconosciute in quanto non deducibili, perché non inerenti all’attività di impresa.
I premi pagati corrispondevano agli accantonamenti effettuati nell’esercizio in relazione alle quote del trattamento di fine mandato maturate dall’amministratore unico e da una procuratrice delle società; queste ultime risultavano dirette beneficiare delle menzionate polizze.
La società contribuente risultava soccombente in entrambi i giudizi di merito; adiva infine la Suprema Corte di Cassazione, deducendo, per quanto di interesse, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 105, del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, avendo i giudici di merito escluso la deducibilità dei premi pagati per polizze assicurative in quanto non valutati come costi, ma come investimenti finanziari, benché, come detto, fossero confluiti in quelle polizze gli importi accantonati nell’esercizio a titolo di trattamento di fine mandato maturato dall’amministratore unico e dal procuratore della società.
Sul punto, la Suprema Corte ritiene il motivo fondato.
Anzitutto viene evidenziato come il regime di cui al comma primo dell’art. 105 del D.P.R. 917/1986, relativo agli accantonamenti di quiescenza e previdenza, secondo cui questi sono deducibili nei limiti delle quote maturate in conformità alla legge ed ai contratti di lavoro, si estenda anche ai trattamenti di fine rapporto di cui alla lettera c) dell’articolo 17, d.P.R. 917/1986, tra i quali si annovera, per quanto di interesse, il trattamento di fine mandato.
A giudizio della Corte, il richiamo alla già menzionata lettera c) deve ritenersi integrale, imponendo che, ai fini della deducibilità, ricorra un atto di data anteriore all’inizio del rapporto, da cui derivi il diritto all’indennità.
Non costituisce, invece, uno specifico requisito per la deduzione dell’onere la forma con cui il predetto accantonamento è effettuato; in altri precedenti della Corte, richiamati della pronuncia, si era in tal proposito ritenuto pienamente deducibile l’accantonamento investito in prodotti assicurativi e previdenziali da assegnare al termine del rapporto rilevante (Cfr. Cass. 7340/2008; Cass. 1304/2019).
Per la Corte il giudice di seconde cure si è, erroneamente, limitato a rilevare la natura finanziaria dell’investimento operato dalla società, non verificando, invece, i requisiti normativamente previsti per assentire la deducibilità degli accantonamenti.