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Approfondimenti

L’ipotesi di sospensione della riforma delle Bcc proposta in Parlamento

11 Giugno 2018

Marco Bindelli, Vice presidente e AD ai rapporti con il credito cooperativo della Bcc di Civitanova Marche e Montecosaro

Di cosa si parla in questo articolo
BCC

SOMMARIO:  1. Premessa – 2. I rischi di una dilatazione dei tempi di attuazione della riforma delle Banche di credito cooperativo (Bcc) – 3. Alcuni equivoci contenuti nella Mozione con particolare enfasi alla asserita incapacità della riforma di mantenere inalterata la qualità di cooperative a mutualità prevalente delle Bcc – 4. Le debolezze strutturali/organizzative ed il rischio di credito delle Bcc – 5. La soluzione degli Istitutional protection schemes (Ips) quale alternativa ai gruppi bancari cooperativi – 6. La presunta minore autonomia delle Bcc aderenti al Gruppo bancario cooperativo (Gbc) rispetto agli Ips – 7. Proposte di miglioramento della riforma

 

1. Premessa

Le presenti note rappresentano una sintesi parziale del documento, approvato dall’organo amministrativo della Banca di credito cooperativo di Civitanova Marche e Montecosaro, contenente osservazioni e suggerimenti alla Mozione presentata in Camera e Senato il 2 maggio scorso dalla Lega con la quale ha chiesto al Governo di sospendere i termini per la costituzione dei Gruppi bancari cooperativi (Gbc) disciplinati dalla Legge di riforma delle Banche di credito cooperativo (Bcc)[1].

In un contesto divenuto di grande attualità, anche a seguito dell’intervento del neo Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, in occasione del voto di fiducia alla Camera dei deputati in cui ha parlato di “revisione” della riforma delle Bcc, l’obiettivo proposto è tentare di contribuire a fare chiarezza e di migliorare una riforma complessa ed innovativa, che ha già “bloccato” il credito cooperativo e generato diverse lacerazioni interne, evidenziando, nel contempo, gli aspetti della Mozione che rischiano di aggravare alcuni problemi endogeni che caratterizzano il sistema delle Bcc.

2. I rischi di una dilatazione dei tempi di attuazione della riforma delle Bcc

Sin dall’entrata in vigore della legge di riforma, seppur nella consapevolezza della sua complessità ed originalità, da più parti vennero criticati i tempi lunghi di attuazione della stessa per le seguenti ragioni:

a) il credito cooperativo è praticamente in stand-by da prima del 2015, ossia da quando si è iniziato a discutere della necessità di riformare il sistema delle Bcc;

b) le criticità tecniche e strutturali del Movimento cooperativo sono note da parecchi anni e

c) la necessità di rinnovamento del sistema bancario cooperativo è imposta anche dall’evoluzione normativa e tecnologica del settore.

Di conseguenza, una moratoria o l’eventuale sospensione dei termini entro i quali dovranno essere costituiti i Gbc, non solo non risolve i possibili elementi di debolezza evidenziati nella Mozione ma rischia di produrne talmente tanti da mettere in crisi l’intero sistema delle Bcc, tanto più, se fossero corretti i dati evidenziati nella stessa Mozione (circa un terzo delle banche di credito cooperativo italiane sarebbe considerato ad alto rischio e un altro quarto mediamente a rischio), nel qual caso sarebbe, per contro, auspicabile un provvedimento governativo d’urgenza per accelerare la costituzione dei Gbc.

La tempestiva attuazione della riforma consente, cioè, di mettere in sicurezza l’intero sistema delle Bcc, mentre una sua sospensione rischia di produrre ulteriori effetti negativi.

Innanzitutto, proprio in conseguenza della riforma, le Bcc, ad eccezione degli adeguamenti normativi crescenti, sono “ferme” da oltre due anni, specie dal punto di vista tecnologico.

In un contesto globalizzato in cui la velocità e la capacità di adattamento diventano elementi competitivi e in un settore bancario in cui si parla sempre più di fintech, digitalizzazione, bitcoin, ecc., immobilizzare le Bcc per ulteriori 18 mesi (come previsto nella Mozione) equivarrebbe a dire relegarle al paleolitico del sistema bancario e, conseguentemente, ad avvantaggiare ulteriormente le banche appartenenti al resto del sistema, che raramente presentano il radicamento territoriale tipico delle cooperative di credito. I danni per territori, imprese e famiglie sarebbero davvero ingenti.

E’ evidente che la necessità di investire nell’innovazione, i cambiamenti di abitudine dei clienti e il quadro regolamentare europeo richiedono sforzi (non solo economici) che le singole Bcc non sono in grado di affrontare da sole (vale anche per le piccole banche popolari e per le piccole banche che adottano la forma della società per azioni).

In secondo luogo, una sospensione provocherebbe un enorme spreco di risorse dal momento che, da circa due anni, sia le candidate capogruppo che le singole Bcc, stanno investendo in risorse umane e sostenendo costi per decine di milioni di euro per l’attuazione di una riforma complessa, originale ed unica nel suo genere, che, come si dimostrerà nel prosieguo, mira a salvaguardare la mutualità prevalente delle Bcc e per la quale l’Organo di vigilanza non perde occasione di ricordare che occorre, invece, fare presto (anche per mettere in sicurezza l’intero sistema).

Infine, una moratoria rischierebbe di far riemergere il deleterio tentativo di favorire la costituzione di un gruppo unico, dopo gli innumerevoli sforzi sostenuti per favorire la partenza di due gruppi nazionali, anche a costo di laceranti scontri interni.

3. Alcuni equivoci contenuti nella Mozione con particolare enfasi alla asserita incapacità della riforma di mantenere inalterata la qualità di cooperative a mutualità prevalente delle Bcc

Nella Mozione si parla erroneamente di holding quando, invece, la riforma ha introdotto il concetto di capogruppo partecipata dalle Bcc da essa controllate. Il modello della holding prevede che la stessa detenga le partecipazioni delle banche che controlla, fattispecie (di controllo) che risulterebbe inattuabile nelle società cooperative per effetto della vigenza del voto capitario.

Nel Gbc sono, quindi, le Bcc a detenere le azioni della capogruppo che a sua volta dirige, coordina e controlla le stesse Bcc per mezzo di un contratto (definito di coesione).

Non è corretta, inoltre, l’affermazione per cui l’unica garanzia di difesa del territorio sarebbe costituita dalla possibilità di creare eventuali sottogruppi territoriali, quanto meno nella concezione emersa nella disciplina di vigilanza. In verità, i sottogruppi territoriali erano stati previsti dalla legge di riforma nell’ipotesi, fortunatamente scongiurata, di costituzione di un unico gruppo. In effetti, nelle interpretazioni iniziali, poteva essere intesa come un’agevolazione concessa a favore dei trentini per indurli ad entrare nel gruppo unico ma, con la successiva emanazione delle disposizioni attuative di Bankitalia, sono state notevolmente ridimensionate le potenzialità attuative dei sottogruppi territoriali, escludendo categoricamente per essi la possibilità di assolvere al ruolo di sub-holding[2]. Perarltro, la scelta esercitata da Cassa centrale banca (Ccb) di costituire un secondo gruppo nazionale alternativo ad Iccrea Banca, oltre a non aver arrecato danni alla zona di competenza originaria, ossia al nord-est, fornirà benefici all’intero sistema del credito cooperativo, costringendo, per effetto della concorrenza, l’intero Movimento cooperativo che fa capo a Federcasse a rinnovarsi e ad eliminare i veri nodi che lo hanno indotto all’autoriforma, vale a dire  la governance e la conseguente “autoreferenzialità” del sistema. 

Per contro, della opportunità di creare una capogruppo provinciale, riservata solo a Bolzano e Trento, hanno “approfittato” solo le Raiffeisen di Bolzano[3] (con l’eccezione della Raiffeisen di Renon e della Raiffeisen di San Martino in Passiria che hanno scelto di aderire al gruppo nazionale di Ccb), semplicemente perché Cassa centrale banca di Trento operava già da tempo anche al di fuori della propria provincia e della propria regione ed avrebbe dovuto “smantellare” gran parte delle proprie società e del proprio organico per adempiere al requisito di operare esclusivamente all’interno della propria provincia.

Infine, non è condivisibile l’affermazione per cui le Bcc perderanno il carattere della mutualità e della cooperazione.

In effetti, la legge di riforma e, in particolare, le disposizioni attuative della Banca d’Italia, oltre a non azzerare la licenza bancaria delle singole Bcc[4], che mantengono i propri consigli di amministrazione e direzioni generali, obbligano il Gbc (ossia la capogruppo e le Bcc) a mantenere inalterata la qualificazione di banche cooperative a mutualità prevalente per tutte le Bcc affiliate.

In questo senso vanno lette tutte le disposizioni emanate da Bankitalia in attuazione delle legge di riforma[5], ivi incluse le recentissime disposizioni di vigilanza delle Bcc del 22 maggio scorso[6].

E’ doveroso evidenziare, ancora, come siano stati mantenuti e rafforzati i principi cooperativi di mutualità e solidarietà e, soprattutto, sia stata offerta alle Bcc la possibilità di competere efficacemente con il resto del sistema bancario. A tal fine, si rinvia all’esame delle disposizioni attuative del Gbc poc’anzi citate in cui è fatto espresso obbligo alla capogruppo di assicurare i suddetti principi mutualistici da parte delle Bcc e, nel rispetto dei criteri di vigilanza prudenziale, di assicurare efficienza e competitività alle Bcc attraverso un’offerta di prodotti, servizi, soluzioni organizzative e tecnologiche adeguate alle esigenze del mercato[7]. Le capogruppo si assumeranno, dunque, una grande responsabilità nei confronti delle Bcc ad esse affiliate (oltre che socie) e dell’Autorità di vigilanza per il rispetto di tali fondamentali principi.

Nello stesso tempo, non può essere valutata negativamente la possibilità di aprire il capitale della capogruppo a terzi soggetti, che resteranno obbligatoriamente in minoranza, non aventi attitudini speculative, come dipendenti di Bcc, soci di Bcc, Fondazioni, enti territoriali, enti mutualistici, associazioni, ecc., ricordando, ancora una volta, che, stante la previsione di legge, il capitale medesimo resterebbe comunque detenuto in misura maggioritaria dalle Bcc appartenenti al gruppo[8].

4. Le debolezze strutturali/organizzative ed il rischio di credito delle Bcc

Nella Mozione viene richiamato quanto riportato nella relazione illustrativa di accompagnamento alla legge di conversione della riforma circa le debolezze strutturali e degli assetti organizzativi legati (anche) alla ridotta dimensione delle Bcc.

L’analisi, riconducibile all’Organo di vigilanza che ancor prima della riforma evidenziava le predette criticità[9], appare, purtroppo, corretta e non tiene conto, né di alcune situazioni strutturali che nel frattempo si sono aggravate, né tanto meno delle debolezze prospettiche del credito cooperativo.

La circostanza che nessuna Bcc abbia sortito la fine delle banche poste in liquidazione o risoluzione (citate espressamente nella Mozione) è dovuta esclusivamente al fatto che il credito cooperativo ha sempre fronteggiato al proprio interno le situazioni di difficoltà/dissesto, partecipando, per contro, al processo di risoluzione di banche esterne al Movimento, senza, cioè, richiedere soccorso alle altre banche del sistema o ai cittadini.

Con l’approvazione della legge di riforma, le Bcc in difficoltà sono state poste in stand-by proprio in attesa dell’attuazione della riforma che prevede, appunto, la “sistemazione” delle stesse nell’ambito di ciascun gruppo.

Non appare, quindi, condivisibile l’affermazione per cui il fallimento di “poche” piccole Bcc non indurrebbe problemi al sistema bancario, anche perché è certo che si avrebbero conseguenze negative ed effetti reputazionali su tutte le altre Bcc (c.d. problema sistemico), senza considerare peraltro quelli prodotti in caso di fallimento di “tante” piccole o, peggio, medio/grandi, Bcc.

E’ oramai noto che il rischio e la valutazione del credito delle Bcc (i c.d. Non performing loan, Npl) non appaiono coerenti con la normativa europea e con il resto del sistema bancario italiano che si sta adeguando alla situazione delle banche europee.

Non si conosce la fonte dei dati citati nella Mozione, ma se fosse vero che un terzo delle attuali Bcc sono “ad alto rischio” e un quarto “mediamente a rischio” (quindi il 58% del totale sarebbero a rischio), per le ragioni sopra indicate, sarebbe altamente auspicabile un provvedimento governativo d’urgenza per accelerare la costituzione dei Gbc, anche in considerazione del fatto che, in un’ottica prospettica, i problemi delle Bcc non sono riconducibili alle sole valutazioni dei crediti deteriorati, le cui esposizioni, si ribadisce ancora, hanno, in ogni caso, registrato un’incidenza più elevata ed un tasso di copertura più basso rispetto al resto del sistema bancario italiano.

Per completezza di analisi, è opportuno ricordare che nel corso del Meeting di Milano dello scorso settembre organizzato da Ccb, Banca d’Italia ha fornito dati e numeri diversi (nello specifico anche migliori) rispetto a quelli indicati nella Mozione e che, in ogni caso, per quanto riguarda il modello risk based di Ccb, sempre in occasione del Meeting, è stato evidenziato che il numero delle Bcc in crisi non supera le 10 unità e che, per tutte, è già stato avviato un percorso di risanamento condiviso tra la capogruppo e le Bcc “sane” che si sono impegnate ad aggregarle.

Il documento della Lega stima, inoltre, che, in conseguenza del Comprehensive assessment, che sarà richiesto alle Bcc dalla Banca centrale europea (Bce) per effetto della vigilanza diretta cui saranno obbligati i due Gbc nazionali, saranno necessari circa 700 milioni di euro di capitale per il gruppo di Ccb e 1,8 miliardi per quello di Iccrea Banca.

La previsione, chiaramente riconducibile allo studio dei proff. Ruozi-Sassi[10], dimostra che, se fosse corretta, Ccb, a seguito dell’aumento di capitale sociale perfezionato lo scorso dicembre, avrebbe ancora circa 100 milioni di euro disponibili (c.d. free-capital) dopo aver utilizzato i 700 richiesti, mentre Iccrea Banca, disponendo di un ammontare minore di capitale libero rispetto ad 1,8 eventualmente necessario, dovrebbe procedere ad un aumento di capitale che potrebbe far sottoscrivere alle Bcc ad essa aderenti. Peraltro, per il gruppo Ccb si determinerebbe solo una leggera riduzione del Cet 1 (di qualche punto percentuale) che resterebbe, in ogni caso, ampiamente superiore a quello medio delle altre banche italiane. Si rammenta, infine, che, in ogni caso, il patrimonio che interessa non è quello della singola capogruppo quanto quello espresso dal gruppo (capogruppo e somma delle Bcc) per mezzo del suo bilancio consolidato.

Di conseguenza, anche in caso di realizzo delle previsioni indicate, il timore paventato di una riduzione dell’offerta di credito risulterebbe infondato, mentre si confermerebbe la necessità di procedere celermente alla costituzione dei Gbc per la messa in sicurezza dell’intero sistema.

5. La soluzione degli Istitutional protection schemes (Ips) quale alternativa ai gruppi bancari cooperativi

La Mozione parte dal presupposto che le Sparkassen e le Volksbanken tedesche, non essendo assoggettate alla vigilanza diretta della Bce (bensì della Bundesbank), non abbiano, per tale ragione, criticità di valutazione e rischiosità del credito (Npl).

Si sostiene, inoltre, che la soggezione alla vigilanza domestica abbia consentito loro di far fronte ai problemi di capitale mediante il ricorso ai c.d. Istitutional protection schemes (Ips) e che questi, considerati quale miglior strumento di salvaguardia del sistema, siano stati invece preclusi alle Bcc italiane.

E’ opportuno premettere che Il Meccanismo della vigilanza unica (Mvu e in inglese Single Supervisory Mechanism) pone già tutte le banche italiane sotto la medesima Vigilanza della Bce, con la differenza che le c.d. Significant (come saranno i due Gbc nazionali) sono vigilate direttamente dalla Bce, mentre le c.d. Less Significant (come attualmente le Bcc), tramite delega attribuita alla Banca d’Italia.

Ne discende che le valutazioni dei crediti derivanti dall’applicazione del Comprehensive assessment, che comprende la verifica degli attivi e gli stress test, sarebbero, in ogni caso, prima o poi, applicate anche alle Bcc, a prescindere dall’appartenenza o meno ad un Gbc assoggettato alla vigilanza diretta di Francoforte. In altre parole, le Sparkassen e le Volksbanken tedesche, essendo allineate con le altre banche tedesche e nord europee in tema di rischiosità del credito, non hanno criticità di Npl, a prescindere dal fatto che la vigilanza diretta sia della Bundesbank o della Bce, mentre, al contrario, le Bcc (come le altre banche italiane) manifestano tale problema, che peraltro stanno affrontando, seppur con tempi diversi rispetto al resto del sistema bancario italiano, con l’aiuto delle future capogruppo.  

Ciò che effettivamente potrà differenziare le Sparkassen e le Volksbanken tedesche dalle Bcc italiane ricomprese nell’ambito dei gruppi nazionali Significant sono le regole e l’applicazione del Comprehensive assessment della Bce; regole che non possono essere applicate pedissequamente e rigidamente ai Gbc, ossia alle Bcc ad essi aderenti, essendo state pensate ed immaginate per le grandi industrie europee e mondiali. In effetti, è noto che le Bcc finanziano prevalentemente artigiani, ditte individuali e micro-imprese, che rappresentano il fulcro dell’economia italiana, e che queste, specie al sud Italia, non sono preparate ad avere bilanci strutturati e/o formalità amministrative-societarie analoghe a quelle richieste per le società per azioni.

Come si dirà meglio nel prosieguo, una “battaglia” in Europa del nuovo Governo per la rivisitazione di tali regole o, quanto meno, per rivederne i tempi di applicazione, sarebbe altamente auspicabile.

In ogni modo, a prescindere dalla costituzione dei Gbc, in futuro le Bcc, in mancanza di interventi normativi specifici, saranno costrette ad adeguarsi a tali normative europee che penalizzano l’erogazione del credito a micro imprese ed artigiani, ossia a soggetti che non sono strutturalmente e culturalmente preparati per adeguarsi a questa normativa. In tal senso, le nuove realtà dei Gbc potranno concretamente aiutare le Bcc ad adeguarsi a tali nuove e complesse normative attraverso la centralizzazione di efficaci policy attuative e di regolamentazione, vagliate anche in termini di compliance di legge.

Le citate banche tedesche aderiscono già ad un fondo di garanzia istituzionale (Ips) con diversi miliardi di euro di dotazione che consentono loro di assicurare qualsiasi ipotesi di crisi. Il loro sistema di Ips attribuisce poteri molto simili a quelli concessi alla capogruppo dei Gbc. Addirittura, nel caso della DZ Bank (la loro banca di secondo livello che partecipa al capitale di Ccb) è stato attribuito un potere commerciale che, di fatto, lo assimila ai nostri Gbc, realizzando cioè effetti e vincoli molto simili a quelli che si avranno in Italia con l’attuazione della legge di riforma.

A questo punto è necessario ricordare che in Italia si è più volte tentato, senza successo, di introdurre gli Ips.

Prima di esaminare le ragioni di tale insuccesso appare utile verificare per quali ragioni tali schemi funzionino per i cugini d’oltralpe nonostante, si ribadisce, si tratti di schemi volontari che, nel caso specifico, appaiono assimilabili all’organizzazione di un rigido Gbc.

Si ritiene che le ragioni del successo degli Ips in Germania siano attribuibili, innanzitutto, alla diversità culturale dei tedeschi, sempre precisi e rigidi nell’applicare pedissequamente le norme e le regole che si (auto)assegnano su base volontaria, oltre che nella capacità di fare sintesi nell’interesse del gruppo, piuttosto che di un’élite di banche o di singole banche.

In Italia, essendo l’Ips una forma di integrazione molto più debole rispetto al gruppo, non ha mai trovato il favore delle Bcc che, evidentemente, non hanno la stessa capacità dei tedeschi di accettare regole determinate su base volontaria.

Inoltre, come ben evidenziato il 12 febbraio 2015 dal dott. Carmelo Barbagallo, l’Ips “potrebbe rivelarsi non del tutto capace di sostenere le esigenze di ricapitalizzazione delle banche che vi partecipano, soprattutto quando interessino una parte significativa del sistema”. In quella circostanza, il dott. Barbagallo, suggerì l’integrazione in gruppi che mantenessero la forma cooperativa delle Bcc ed evidenziò (già all’epoca) la necessità di intervenire tempestivamente per mettere in sicurezza una parte importante del credito cooperativo.

Sempre per spiegare le ragioni della mancata applicazione degli Ips in Italia va rilevato che, non è casuale se, proprio ora che si è arrivati molto vicini al traguardo dell’attuazione della riforma, tra l’altro dopo un percorso particolarmente travagliato, è aumentato il numero delle Bcc che osteggiano la legge di riforma e vorrebbero bloccarne l’intero processo (a volte senza avere consapevolezza dello stato attuale e prospettico del credito cooperativo e dei danni che si produrrebbero)[11].

Da ultimo, ammesso che si riesca ad introdurre in Italia lo schema degli Ips, a dimostrazione degli effetti negativi che si potrebbero registrare in Italia con il ricorso a tali strumenti, non va dimenticato quanto accaduto con il Fondo temporaneo di cui all’art. 2-bis della legge di riforma e che ha scatenato l’ira di molte Bcc virtuose, le quali, di fatto, sono intervenute ed hanno costretto il consiglio di gestione del Fondo ad una sospensione dell’operatività dello stesso in attesa della imminente partenza dei Gbc[12]. Si intende dire che, uno dei rischi maggiori che si potrebbe correre e che rischierebbe di portare all’estinzione del credito cooperativo è la possibilità che le Bcc in difficoltà possano decidere per quelle sane, ipotesi possibile sia nel caso in cui queste vengano a trovarsi in minoranza numerica sia per effetto dell’autoreferenzialità che potrebbe caratterizzare l’Ips.

6. La presunta minore autonomia delle Bcc aderenti al Gbc rispetto agli Ips

Si è già dimostrato che lo schema tedesco degli Ips, seppur volontario, produce vincoli per le banche aderenti assimilabili a quelli derivanti dalla partecipazione ad un Gbc.

Tuttavia, prima di condurre un’analisi approfondita delle limitazioni che interesseranno le Bcc per effetto dell’aderenza ai Gbc è necessario ricordare che il modello italiano previsto dalla legge di riforma risulta particolarmente innovativo ed originale e, soprattutto, completamente diverso da quello che è stato individuato per i gruppi olandesi, francesi o tedeschi dove, in alcuni casi, sono state annullate persino le licenze bancarie delle banche cooperative[13].

Inoltre, è bene chiarire che, se la governance del gruppo[14], ossia della capogruppo e delle Bcc aderenti al gruppo, risulterà adeguata al compito richiesto dalla legge di riforma e, in particolare, dalle disposizioni di Bankitalia, le Bcc potranno continuare a servire, ancora e meglio, i propri territori e, nel contempo, competere efficacemente nel mercato creditizio europeo e mondiale, apportando enormi benefici all’intero sistema Italia. La questione della governance non è di poco conto, soprattutto se dovesse risultare che a fronte di una ridotta autonomia delle Bcc queste potranno assicurarsi, grazie alla partecipazione al Gbc, maggiore efficienza, competitività e sviluppo tecnologico, oltre che garantirsi la possibilità di sopravvivenza, più volte messa in dubbio negli ultimi anni.

A parte la definizione del piano strategico e degli obiettivi generali di gruppo che saranno necessariamente definiti dalla capogruppo nell’interesse dell’intero gruppo, esattamente come avviene in Germania con lo schema degli Ips, l’autonomia di ciascuna Bcc nei propri territori sarà proporzionale alla sua rischiosità, così come l’intensità dei controlli di vigilanza prudenziale che la capogruppo opererà nei confronti delle Bcc aderenti al gruppo. Questo principio, c.d risk-based, è posto proprio a tutela dell’intero gruppo, ossia di ciascuna Bcc che, è bene ricordare, proprio nel rispetto dei principi mutualistici di sussidiarietà e solidarietà, si impegna irrevocabilmente (almeno per 10 anni) a garantire, mediante il meccanismo delle c.d. cross-guarantee, la solvibilità di tutte le altre Bcc aderenti al gruppo.

Le Bcc con maggiore autonomia (in quanto più virtuose) dovranno, quindi, impegnarsi, con l’aiuto della capogruppo e della altre Bcc, ad espandersi nei loro territori di competenza e a divenire sempre più efficienti e competitive a vantaggio dei soci, famiglie e, in generale, degli operatori dei propri territori. E’ evidente, dunque, che nei confronti di queste i controlli di vigilanza prudenziale da parte della capogruppo saranno meno invasivi rispetto a quelle Bcc meno virtuose o comunque che presentano alcune criticità che, nell’interesse di tutti, dovranno essere monitorate con maggiore attenzione, anche a discapito di una minore autonomia nel territorio (si ribadisce, sempre a tutela del gruppo, in particolare delle altre Bcc).

Recentemente, da più parti, sta emergendo una certa preoccupazione per il fatto che la capogruppo potrà sindacare sulla nomina degli amministratori delle Bcc aderenti al gruppo.

A meno che non sia stato ben compreso il meccanismo delle garanzie incrociate e della funzionalità del gruppo ovvero si intenda mantenere/acquisire il “potere” di amministrare in modo autoreferenziale Bcc con situazioni tecniche “compromesse”, la possibilità che la capogruppo possa esprimere giudizi sulla governance delle Bcc andrebbe, non solo sostenuta, ma addirittura fortemente incentivata e rafforzata. E’ fin troppo evidente che l’ingerenza della capogruppo nella governance delle Bcc riguarderà essenzialmente quelle che denotano criticità tecniche ovvero evidenti situazioni di autoreferenzialità.

E’ facilmente intuibile cosa potrebbe accadere alle altre Bcc del gruppo qualora una Bcc entrasse in una situazione di dissesto, magari proprio a causa di mancati controlli o di mancato intervento della capogruppo nell’organo amministrativo della stessa.

Avere, quindi, una capogruppo che, per legge, oltre a garantire l’applicazione dei principi mutualistici e di efficiente e competitiva gestione delle Bcc, è obbligata a monitorare il buon andamento e la corretta governance delle Bcc affiliate è sinonimo di garanzia di sopravvivenza e sviluppo dell’intero sistema del credito cooperativo, purché, ovviamente, anche la governance della capogruppo sia adeguata allo svolgimento di tale gravoso compito.

7. Proposte di miglioramento della riforma

A conclusione di questa breve analisi che ripercorre gran parte delle critiche alla legge di riforma contenute nella Mozione della Lega e che muove dal documento approvato dalla Bcc di Civitanova Marche e Montecosaro, preme sottolineare la possibilità di apportare alcuni miglioramenti alla struttura della stessa riforma senza interrompere il processo di costituzione dei gruppi.

Innanzitutto, come è stato già anticipato, il nuovo Governo potrebbe farsi carico a Bruxelles o a Francoforte insieme all’Autorità di vigilanza italiana, nell’interesse delle future capogruppo e delle stesse Bcc, di richiedere la non applicazione o quanto meno la revisione dei tempi di attuazione delle regole del Comprehensive assessment della Bce che comporterebbero la perdita di una parte della clientela di quelle Bcc che non sarebbero più in grado di finanziare artigiani, ditte individuali e micro-imprese, le quali, si ribadisce, rappresentano il fulcro dell’economia italiana e alle quali non è possibile applicare le medesime regole pensate ed immaginate per le grandi industrie europee e mondiali. Anche la sola dilatazione dei termini di applicazione della normativa europea del Comprehensive assessment consentirebbe alle Bcc di avere quantomeno più tempo a disposizione per educare e acculturare i propri clienti.

Il successo di una tale (eventuale) iniziativa governativa tesa alla revisione delle direttive e dei regolamenti europei[15], oltre ad apportare un reale beneficio all’intero sistema del credito cooperativo, contribuirebbe certamente a creare un’Europa più forte e più equa e, soprattutto, più rispondente alle esigenze dei Paesi del sud Europa.

In secondo luogo, in considerazione dell’importanza che riveste la governance del Gbc[16] per lo sviluppo del credito cooperativo e dei territori in cui le Bcc operano, sarebbe auspicabile un intervento governativo presso la Banca d’Italia affinché questa possa farsi promotrice di interventi mirati nella Bce per far comprendere le peculiarità del Gbc italiano e prospettare, così, la migliore composizione quali-quantitativa degli organi sociali delle capogruppo.

Inoltre, attraverso l’emanazione del decreto ministeriale da parte del Ministero dell’economia e finanze (Mef) in attesa di pubblicazione da settembre dello scorso anno (ossia da quando si è conclusa la consultazione pubblica), il nuovo Governo potrebbe incidere direttamente per la configurazione della migliore governance delle singole Bcc appartenenti al Gbc.

Infine, qualora, per ragioni che al momento non si riesce a comprendere, le nuove forze politiche di maggioranza riterranno di sospendere l’attuazione della riforma in atto del credito cooperativo, risulterà quantomeno opportuna una previsione che consenta di procedere celermente alla costituzione dei Gbc su base volontaria tra le numerose Bcc convinte della impossibilità di procastinare la messa in sicurezza del sistema ed il mantenimento delle specificità mutualistiche del credito cooperativo, garantite con l’attuale legge di riforma e con i miglioramenti apportati dalle disposizioni attuative dell’Organo di vigilanza.



[1] Si tratta della legge 8 aprile 2016, n. 49, che ha convertito in legge, con sostanziali modificazioni, il decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18. Per un breve disamina della citata legge mi sia consentito di rinviare a M. Bindelli, La riforma delle BCC contenuta nella legge 8 aprile 2016 n. 49 di conversione del d.l. 14 febbraio 2016 n. 18. Il gruppo bancario cooperativo e il suo processo di costituzione, dirittobancario.it, maggio 2016, in http://www.dirittobancario.it/approfondimenti/banche-e-intermediari-finanziari/la-riforma-delle-bcc-contenuta-nella-legge-8-aprile-2016-n-49.

[2] Anche in riferimento ai sottogruppi territoriali mi sia consentito di rinviare al mio intervento di cui alla precedente nota 1.

[3] Dubbi di legittimità costituzionale potrebbero essere sollevati per aver concesso, di fatto, solo alla provincia di Bolzano, la possibilità di istituire un gruppo provinciale la cui capogruppo, peraltro, è una società cooperativa.

[4] Ipotesi paventata inizialmente dal Premier Renzi prima dell’emanazione del decreto legge in cui invocava il modello Crédit Agricole.

[5] Vds. in particolare il paragrafo 1.8 della Parte Terza, Capitolo 5, Sez. III, delle disposizioni di vigilanza del gruppo bancario cooperativo (19° aggiornamento della Circolare Banca d’Italia n. 285/2013) in: https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/archivio-norme/circolari/c285/Circ_285_19_aggto_Testo_aggiornamento.pdf.

[6] Vds., in particolare, le disposizioni da pag. 57, su http://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/archivio-norme/circolari/c285/aggiornamenti/Circ_285_21-aggiornamento.pdf.

[7] Il riferimento specifico è al paragrafo 1.8 del documento citato alla nota n. 3.

[8] Salvo il caso d’intervento del Mef nell’ipotesi che si rendesse necessario salvaguardare la stabilità del gruppo stesso.

[9] Per tutti si veda l’intervento di Carmelo Barbagallo, capo del Dipartimento di Vigilanza Bancaria e Finanziaria di Banca d’Italia, presso la Federazione delle Raiffeissen del 12 febbraio 2015 in: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-vari/int-var-2015/Barbagallo-12022015.pdf.

[10] Per l’analisi dei proff. Roberto Ruozi e Rinaldo Sassi, vds. https://bebeez.it/files/2017/12/Studio-bancheRuozi.pdf.

[11] Un’analisi seria, corretta ed obiettiva del credito cooperativo condurrebbe alla identificazione dell’autoreferenzialità quale principale elemento di criticità del sistema, con tutte le conseguenze del caso nell’ipotesi di applicazione di schemi contrattuali su base volontaria. Concetto, quello della referenzialità, che non sembra, invece, essere appannaggio delle cooperative tedesche.

[12] In particolare, si fa riferimento alle operazioni di Bcc Paceco, Banco Emiliano e Sesto San Giovanni.

[13] Il caso olandese è indubbiamente il più emblematico.

[14] Sul tema della governance dei gruppi bancari cooperativi mi sia consentito rinviare a M. Bindelli, La governance dei gruppi bancari cooperativi, dirittobancario.it, marzo 2018, in http://www.dirittobancario.it/approfondimenti/corporate-governance/la-governance-dei-gruppi-bancari-cooperativi.

[15] Il processo di revisione dovrebbe riguardare la direttiva europea del Capital Requirements Directive (Crd) ed il regolamento dei requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento (c.d. Crr sui requisiti patrimoniali).

[16] Si rinvia alla precedente nota n. 14.

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