Sommario: 1. Introduzione – 2. La Circolare del Ministero dello Sviluppo Economico n. 5574/2007: chiarimenti in merito all’applicazione della L. 4 agosto 2006 n. 248 – 3. Il Tribunale di Rimini: Ius variandi e non Ius poenitendi – 4. Gli interventi dell’Arbitro Bancario Finanziario – 4.1. ABF di Rimini 4.2. ABF di Roma; 4.3. ABF di Milano – 5. La Nota del 28 marzo 2017 della Banca d’Italia.
1. Introduzione
Le modifiche contrattuali unilaterali, come noto, non possono essere introdotte all’interno di un contratto dalla banca ad nutum, in quanto la legge richiede espressamente che debba sussistere un giustificato motivo che legittimi la variazione.
Quello del giustificato motivo è l’aspetto più importante ed incerto relativo all’art. 118, comma 1, TUB[1], diffusamente indagato dalla dottrina nel tentativo di fornirne una qualificazione. Il problema interpretativo principale deriva del fatto che il legislatore non stabilisce espressamente cosa si debba intendere per “giustificato motivo”.[2]
Tale nozione è stata introdotta con l’art. 10, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, contenente <<disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale>>.
Anche a seguito della modifica dell’art.118 TUB, in forza e per effetto dell’art. 4, D.Lgs. n. 141/2010, che ha introdotto la distinzione fra contratti a tempo indeterminato ed altri contratti di durata, la banca che intende esercitare lo ius variandi deve indicare, quale requisito imprescindibile, un motivo giustificativo.
Tale premessa permette di affermare che la diversificazione fra contratti a tempo indeterminato ed altri contratti di durata è irrilevante tanto quanto quella relativa al cliente consumatore e non consumatore, dovendo il giustificato motivo sussistere necessariamente se la banca intende esercitare il potere di modifica unilaterale.
2. La Circolare del Ministero dello Sviluppo Economico n. 5574/2007: chiarimenti in merito all’applicazione della L. 4 agosto 2006 n. 248
Il Ministero dello Sviluppo Economico si è espresso con Circolare n. 5574, del 21 febbraio 2007, relativa a <<chiarimenti in merito all’applicazione dell’art. 10 della L. 4 agosto 2006, n. 248>>, stabilendo che in relazione al contenuto minimo della nozione di giustificato motivo, questa debba intendersi nel senso di ricomprendere gli eventi di comprovabile effetto sul rapporto bancario.
Tra le circostanze contemplate rientrano sia quelle che afferiscono alla sfera del cliente (ad esempio, il mutamento del grado di affidabilità dello stesso in termini di rischio di credito) sia quelle consistenti in variazioni di condizioni economiche generali che possono riflettersi in un aumento dei costi operativi degli intermediari (quali tassi d’interesse, inflazione etc.).
Tuttavia, la locuzione “giustificato motivo” rimane talmente elastica da rischiare di apparire troppo vaga e generica.
La dottrina ha tentato di concretizzarne il contenuto affinché fosse agevole, nell’ambito delle operazioni bancarie, individuare le ragioni giustificatrici di una variazione del rapporto contrattuale.
Parte degli autori[3] ha quindi ricostruito figure sintomatiche di giustificato motivo; altra parte, più genericamente, lo riconduce a qualsiasi <<circostanza sopravvenuta alla stipula del contratto … non imputabile alla banca ed in grado di alterare l’equilibrio contrattuale, nelle proporzioni risultanti al momento iniziale della prestazione del consenso>> [4].
Nel tentativo di formulare una definizione di giustificato motivo, occorre dunque concentrarsi sul concetto di sopravvenienza, con la conseguenza che la costruzione del giustificato motivo debba essere identificata con un accadimento futuro rispetto al tempo della conclusione del contratto.
In tale ottica, il giustificato motivo consisterebbe in un fatto successivo alla conclusione del contratto che, nella sostanza, alteri, principalmente nel suo aspetto economico, l’assetto degli interessi dei contraenti così come programmato dal contratto stesso, senza che l’alterazione fosse prevedibile al tempo dell’atto, né il fatto imputabile al contraente a favore del quale sia previsto lo ius variandi. [5]
3. Il Tribunale di Rimini: Ius variandi e non Ius poenitendi
A supporto di una definizione di giustificato motivo quale “mutamento delle condizioni esistenti al momento della stipulazione della clausola oggetto di modifica, tale da incidere sulle condizioni presenti in tale momento, che può riguardare sia il cliente sia i fattori generali” è intervenuto il Tribunale di Rimini con l’Ordinanza del 22 agosto 2011.
Nel caso di specie, il Tribunale ha inibito alla banca, con provvedimento d’urgenza, l’applicazione del tasso d’interesse su linea di credito modificato unilateralmente ai sensi dell’art. 118 TUB e ha stabilito, in applicazione dell’art. 614bis [6] cod. proc. civ., che per ogni violazione fosse dovuta al cliente la somma pari alla differenza tra gli interessi calcolati con il tasso nuovo e quelli calcolati con il tasso precedente.
Tale provvedimento è di rilievo, in via principale, sul piano del diritto sostanziale, quanto all’interpretazione del requisito costituito dal giustificato motivo della modifica contrattuale.
Entrando più nello specifico, la banca aveva comunicato al cliente la modifica del tasso incrementato di tre punti percentuali, adducendo come motivazione “l’andamento del rapporto creditizio”, poi di seguito meglio così motivando: “la mancanza di movimentazione del conto a fronte di un fido concesso per elasticità di cassa e lo squilibrio, a favore del cliente, delle condizioni originarie”.
Ciò che qui rileva è il tentativo di definizione del concetto di giustificato motivo introdotta dal Tribunale di Rimini a detta del quale “il giustificato motivo deve consistere in un mutamento delle condizioni esistenti al momento della stipulazione della clausola oggetto di modifica, tale da incidere sulle condizioni presenti in tale momento, che può riguardare sia il cliente sia i fattori generali” [7].
L’istruttoria aveva, infatti, accertato che, nel momento in cui erano stati concessi il limite di fido ed il tasso vigenti, il conto aveva già manifestato una scarsa movimentazione ed era nota alla banca la situazione negativa del cliente.
Di assoluto rilievo, quindi, il concetto in virtù del quale la modifica unilaterale nel caso di specie risulta sostanzialmente determinata da un ripensamento che non può integrare un giustificato motivo di variazione delle condizioni del rapporto. Il Tribunale romagnolo, in estrema sintesi, ha affermato in modo incisivo che la norma prevede uno ius variandi e non uno ius poenitendi.
Altro aspetto saliente, trattato nel provvedimento in questione, riguarda il tema se il contratto possa non contenere l’indicazione dei giustificati motivi, seppur in via esemplificativa, limitandosi a contemplare il diritto di modifica unilaterale in loro presenza.
Il Tribunale di Rimini ha evidenziato che la clausola contrattuale che prevede solo il diritto di modifica unilaterale, in presenza di non meglio specificati “giustificati motivi” e senza ulteriori specificazioni ed esemplificazioni, è comunque valida e non colpita da nullità. Si tratta di clausola generale che legittima successivamente la banca – in presenza dei motivi più diversi (purché “giustificati”)– ad esercitare lo ius variandi.
4. Gli interventi dell’Arbitro Bancario Finanziario
4.1. ABF di Rimini
Nel tentativo di fornire una definizione di giustificato motivoè più volte intervenuto anche l’Arbitro Bancario Finanziario.
La Decisione n. 249 del 2010 del Collegio di Milano, ha affrontato il caso di una società, titolare da più di 20 anni di un rapporto di conto corrente presso l’intermediario con il quale aveva in atto, ai tempi della vicenda oggetto del ricorso, 28 contratti aventi ad oggetto la costituzione di fideiussione e segnatamente di performance bond in favore delle controparti contrattuali della società, intese a garantire l’esatta esecuzione delle obbligazioni dedotte nel contratto principale. Ebbene, la società ricorrente aveva ricevuto 28 comunicazioni da parte dell’intermediario aventi ad oggetto la proposta di modifica unilaterale, ex art. 118 T.U.B, delle condizioni economiche praticate, con un aumento delle commissioni sulle garanzie rilasciate, dall’allora vigente tasso annuo dello 0,7 % al tasso annuo del 4,00 %. L’intermediario aveva giustificato le suddette modifiche unilaterali sulla base “dell’incremento del rischio creditizio correlato al deteriorarsi dello scenario macroeconomico [8]“.
La richiesta formulata dalla società ricorrente all’Arbitro Bancario Finanziario era diretta principalmente all’accertamento della presunta illegittimità dell’esercizio, da parte dell’intermediario, dello ius variandi, anche alla luce del canone della buona fede.
Il Collegio ha rilevato che le ragioni poste a giustificazione, pur afferendo in linea di principio alla sfera del cliente (incremento del rischio di credito), risultavano in realtà indipendenti da una riconsiderazione dello specifico grado di affidabilità del medesimo e connesse, piuttosto, a variazioni di carattere congiunturale.
Ciò chiarito, si può, peraltro, dubitare della congruità fra la forte variazione commissionale proposta (dallo 0,7% al 4%) e la motivazione che ne è alla base (la mutata situazione del mercato finanziario), specie in considerazione del fatto che, nel corso di un tentativo di composizione bonaria della vicenda, l’intermediario ha proposto una variazione della nuova commissione dal 4% al 1,3%. [9]
4.2. ABF di Roma
Nel 2012 l’Arbitro Bancario Finanziarioè nuovamente intervenuto in tema di giustificato motivo nello ius variandi in relazione al reclamo con il quale si lamentava la sussistenza di alcune anomalie dell’estratto conto, quali l’addebito di commissioni e spese ingiustificate.
Mediante la pronuncia de qua[10], il Collegio di Roma ha preso atto dell’eccezione opposta dalla banca alle contestazioni circa le condizioni economiche applicate al rapporto di conto corrente di corrispondenza, ritenendo l’istituto di credito che dette condizioni fossero coerenti con le condizioni originariamente concordate e poi – tempo per tempo – modificate in ragione dell’esercizio dello ius variandi.
La modifica apportata dalla banca ai sensi dell’art. 118 TUB esprimeva quale giustificato motivo un “aumento dell’inflazione, rilevato dall’Istat a dicembre 2010 rispetto a marzo 2009, determinante un incremento dei costi operativi della Banca con effetto sul rapporto contrattuale”. [11]
L’Arbitro Bancario Finanziario di Roma ha ritenuto che la ragione addotta dalla banca non configurasse giustificato motivo, ai sensi dell’art. 118 TUB, e che dunque la relativa modifica fosse inefficace e non opponibile a parte ricorrente.
La disciplina dello ius variandi trova, infatti, secondo l’Organismo evocato, la sua giustificazione nella circostanza che la variazione – in negativo – degli indici economici, che potrebbe risultare del tutto irrilevante per il singolo rapporto contrattuale, spesso assume effetti economicamente insopportabili per l’intermediario, che si vede moltiplicare per “n” volte il “micro” squilibrio di segno, ad esso, negativo. Si desume quindi che lo ius variandi debba perseguire l’obiettivo di conservare l’equilibrio (sinallagmatico) tra le singole prestazioni contrattuali, passando attraverso il mantenimento dell’equilibrio dell’intero complesso delle prestazioni contrattuali, tipologicamente simili, poste in essere dall’imprenditore nei confronti di un numero indefinito di controparti.
Determinante, a tal proposito, diviene l’esatta identificazione del giustificato motivo, ai fini della verifica della sussistenza della (unica) condizione indicata dal legislatore affinché possa essere modificato unilateralmente un negozio giuridico in corso di regolare svolgimento.
Il giustificato motivo non può, dunque, essere generico, ma deve riguardare eventi di comprovabile effetto sul rapporto bancario poi riferibili alla categoria di contratti oggetto delle modifiche e la comunicazione della modifica unilaterale deve avere contenuto tale da consentire al cliente di poter valutare la congruità della modifica rispetto alla ragione posta a giustificazione della stessa.
Tornando alla disamina della fattispecie in esame, il Collegio ha ritenuto che l’”aumento dell’inflazione, rilevato dall’Istat a dicembre 2010 rispetto a marzo 2009, determinante un incremento dei costi operativi della Banca con effetto sul rapporto contrattuale”, non fossegiustificato motivo, ai sensi dell’art. 118 TUB, sotto tre, distinti, profili.
Gli è infatti che tale giustificazione:
- non evidenzia il collegamento tra inflazione e incremento dei costi operativi della banca (poi, quali?);
- non evidenzia il collegamento tra aumento dei costi operativi e gli effetti sul rapporto contrattuale;
- non evidenzia il rapporto sussistente tra l’inflazione e le specifiche modifiche quantitative applicate al contratto. [12]
Soccorre allora la lettura del contenuto della Circolare Ministeriale del 21 febbraio 2007 n. 5574sopra menzionata, a tenore della quale <<in relazione al contenuto minimo della nozione di giustificato motivo, questa deve intendersi nel senso di ricomprendere gli eventi di comprovabile effetto sul rapporto bancario. Tali eventi possono essere sia quelli che afferiscono alla sfera del cliente, quali il mutamento del grado di affidabilità dello stesso in termini di rischio di credito, sia quelli che consistono in variazioni di condizioni economiche generali che possono riflettersi in un aumento dei costi operativi degli intermediari come tassi d’interesse, inflazione etc.>>, con l’ulteriore precisazione che <<il cliente deve essere informato circa il giustificato motivo alla base della modifica unilaterale, in maniera sufficientemente precisa e tale da consentire una valutazione circa la congruità della variazione rispetto alla motivazione che ne è alla base>>[13] .
Ed è proprio su quest’ultimo aspetto che pare utile improntare la disamina in casi quale quello trattato dall’ABF di Roma: l’attenzione riservata al soggetto più debole del rapporto bancario.
4.3. ABF di Milano
Il suesposto orientamento è stato confermato, ex multis, dalla pronuncia dell’Arbitro Bancario Finanziario – Collegio di Milano n. 5972 del 15 settembre 2014.
Nella fattispecie, la banca resistente aveva comunicato una proposta di modifica unilaterale del contratto, giustificata dal “progressivo peggioramento negli ultimi mesi del contesto economico e finanziario che [aveva] modificato le condizioni per la gestione del funding e del rischio di liquidità del sistema finanziario nel suo complesso”.
In via preliminare, occorre evidenziare che sulla stessa materia i Collegi ABF [14] hanno chiarito che il richiamo agli effetti prodotti dall’attuale crisi economica e finanziaria come giustificato motivo dell’esercizio dello ius variandi da parte dell’intermediario è indicazione estremamente sintetica e generica e, dunque, tale da non consentire al cliente, neppure con un certo sforzo di approfondimento, di valutare la congruità della variazione rispetto alla motivazione che ne è alla base. La ratio della normativa vigente deve infatti rintracciarsi nella esigenza che il cliente sia posto in grado di valutare se la proposta peggiorativa avanzata dalla sua banca sia effettivamente evitabile, oppure se sia ipotizzabile che sul mercato altri intermediari offrano condizioni diverse e migliori, il che rende conveniente l’esercizio del diritto di recesso che gli viene garantito.
La circostanza legittimante lo ius variandi, oltre che coerente e pertinente, deve essere specifica e circostanziata rispetto alle modalità e alle condizioni di svolgimento del servizio prestato dalla banca.
Si distingue allora, in ordine al giustificato motivo soggettivo, l’ipotesi in cui attenga alla sfera del cliente da quella in cui riguardi, viceversa, la sfera della banca.
In merito all’istituto di credito si discute se le scelte gestionali della banca possano assurgere a giustificato motivo per l’esercizio dello ius variandi.
Parte della dottrina si è espressa favorevolmente, prendendo spunto da altre ipotesi legislative, ove si ricorre ai concetti di giustificato motivo o di grave motivo, quali quelle relative al potere di recesso del datore di lavoro e quelle riguardanti il diritto di esecuzione del contratto del locatore di immobile ad uso diverso da abitazione.[15]
Dall’altro lato si collocano coloro i quali escludono la ricorrenza del giustificato motivo, qualora si tratti di variazioni generalizzate implicanti un mutamento di politica aziendale [16].
Allo stesso modo devono considerarsi gli adattamenti della politica di bilancio, poiché è “incompatibile con la disciplina generale del contratto che si facciano ricadere sul cliente le scelte di politica industriale della banca” ovvero “aggiustare i contratti in corso per far quadrare i conti” [17].
Quanto al cliente, la citata circolare del 21 febbraio 2007 del Ministero dello Sviluppo Economico, indica fra gli “eventi di comprovabile effetto sul rapporto bancario … quelli che afferiscono alla sfera del cliente (ad esempio, il mutamento del grado di affidabilità dello stesso in termini di rischio di credito)”. [18]
Chi individua la ragione sostanziale dello ius variandi nell’esigenza di “conservare nel corso del tempo l’equilibrio tra le prestazioni contrattuali” sostiene che il giustificato motivo ricorre quando si verificano “circostanze oggettive non controllabili dalla banca”,come – a mero titolo esemplificativo – un aumento del costo del denaro o dei costi industriali relativi ai servizi offerti dall’istituto di credito.[19]
Con la Circolare n. 5574/2007, il Ministero dello Sviluppo Economico ha indicato come eventi quelli <<che consistono in variazioni di condizioni economiche generali che possono riflettersi in un aumento dei costi operativi degli intermediari quali i tassi d’interesse, l’inflazione etc.>>.
5. La Nota del 28 marzo 2017 della Banca d’Italia
Tra i tentativi di fornire una definizione al vago concetto di giustificato motivo, vi è quello contenuto nella nota del 28 marzo 2017 della Banca d’Italia[20], attraverso la quale sono state fornite nuove indicazioni in merito all’esercizio dello ius variandi da parte delle banche e degli intermediari.
L’intervento si ricollega ad una precedente nota del 2014 [21] con la quale l’Authority aveva illustrato, in chiave applicativa, gli obblighi cui sono soggetti intermediari e banche, allorché intendano esercitare lo ius variandi. La Banca d’Italia, nel richiamare il precedente del 2014, con la nota del 2017 ha ribadito l’invito agli istituti di credito a procedere con attenzione e cautela nell’esercizio dello ius variandi e ha sollecitato il mondo bancario ad attuare condotte trasparenti.
Nella nota del 2014, come di seguito rappresentato, erano state riscontrate alcune criticità nell’applicazione dell’art. 118 TUB da parte del sistema bancario. Preliminarmente, nell’ambito dei poteri di vigilanza attribuiti alla Banca d’Italia in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali e correttezza dei comportamenti nei confronti della clientela, sono stati condotti approfondimenti e verifiche in merito all’esercizio da parte degli intermediari del potere di modifica unilaterale delle condizioni dei contratti di durata in essere.
All’esito di tale attività, sono emerse numerose criticità che, in alcuni casi, hanno dato luogo all’adozione di specifiche misure – anche sanzionatorie – nei confronti dei singoli operatori.Le carenze riscontrate sono state imputate al non puntuale rispetto degli obblighi di comunicazione previsti dalla normativa ed, in particolare, sono emersi casi in cui le modifiche unilaterali sono state adottate in mancanza di un congruo preavviso alla clientela interessata.
Sono, altresì, emerse ulteriori criticità inerenti le motivazioni delle variazioni proposte,esposte alla clientela in termini generici e scarsamente intellegibili e rilevati profili di incoerenza fra le modifiche contrattuali proposte alla clientela e le relative motivazioni.
Da ultimo, si è evidenziato come agli intermediari fosse richiesto di esercitare le proprie prerogative in materia di modifica unilaterale dei rapporti in essere, adottando tutte le cautele necessarie e di predisporre, a tal fine, adeguati presidi di natura organizzativa e procedurale, idonei a contenere i rischi legali e di reputazione connessi con l’esercizio dello ius variandi.
Ora, nella più recente Circolare del 2017,l’Autorità ha raccomandato l’adozione di condotte trasparenti e corrette che consentano al cliente di conoscere i presupposti della variazione e di assumere scelte consapevoli, in modo da poter valutare, alternativamente, se proseguire il rapporto sulla base delle nuove condizioni o recedere dal contratto con applicazione delle precedenti condizioni.
In generale, l’Autorità di Vigilanza ha evidenziato le principali condizioni di esercizio del diritto di modifica unilaterale, facendo riferimento espresso all’art. 118 TUB.
L’Autorità ha precisato che, nel rispetto di quanto stabilito dalle norme sulla trasparenza e dall’art. 118 TUB, gli intermediari possono modificare le condizioni contrattuali con la clientela, solo se questa facoltà è stata prevista nel contratto e sempre che esista un giustificato motivo che deve essere espressamente comunicato al cliente e la cui verifica, precisa la Banca d’Italia, è di competenza dell’Autorità Giudiziaria; mentre il compito della Banca d’Italia è quello di indicare i principi e i criteri a cui gli intermediari devono attenersi in materia di jus variandi e di verificare che vengano rispettati.
La novità della nota pubblicata nel 2017 risiede nella scelta della Banca d’Italia di non limitarsi ad indicare principi generali, andando più in dettaglio ed elencando una casistica di modifiche unilaterali non conformi ai principi generali.
Alla dichiarazione di principio e al richiamo dei noti requisiti di forma (previsione di apposita clausola contrattuale nel contratto e relativa specifica approvazione, preavviso di legge, avvertenza sull’entrata in vigore in caso di mancato recesso, etc.) segue un elenco, esemplificativo e non esaustivo, di interventi modificativi che risultano incoerenti con i principi e le finalità alla base della disciplina.
Sintetizzando, la Banca d’Italia esclude che ricorra il giustificato motivo ex art. 118 TUB nei seguenti casi:
- Assenza di correlazione: nel caso di modifiche prive di specifica correlazione tra le tipologie di contratti e le tariffe interessate dalle variazioni – da un lato – e l’incremento dei costi posto a base della modifica, dall’altro lato;
- Costi già sostenuti e con effetti esauriti: interventi sulle tariffe, anche una tantum, a fronte di costi allo stesso tempo già sostenuti, non ricorrenti e che hanno già esaurito i loro effetti. In questo caso si precisa che “non si pone un problema di riequilibrio pro futuro e in via continuativa dei reciproci impegni delle parti rispetto a quanto originariamente convenuto. Inoltre, interventi una tantum si traducono di fatto in prelievi occasionali che, dal punto di vista del cliente, riducono l’incentivo a valutare l’opportunità del recesso, anche nei casi in cui sarebbe conveniente. Inoltre ripetute manovre una tantum possono dare luogo ad un effetto di lock in della clientela che contrasta con le finalità della disciplina in tema di ius variandi”;
- Assenza di giustificazione di costo e sovradimensionamento: modifiche non giustificate da costi sopravvenuti alla stipula dei contratti interessati e non riguardanti la sola parte incrementale;
- Motivazioni plurime e scollegate: modifiche che fanno riferimento a una pluralità di motivazioni senza illustrare il legame fra i singoli presupposti delle modifiche e gli interventi su prezzi e condizioni;
- Discriminazioni: modifiche che esentano alcune tipologie di clienti facendo aumentare l’impatto della manovra sui clienti restanti, attraverso il recupero su di essi di una quota di costo supplementare.
La nota della Vigilanza ha impartito, inoltre, un preciso segnale operativo riguardante le situazioni pregresse, stabilendo che gli intermediari debbano disporre un riesame (che coinvolga gestione, controllo e compliance) delle modifiche proposte a decorrere dal 31 gennaio 2016. Nel caso di modifiche non coerenti, gli intermediari sono tenuti a porre in essere le necessarie azioni di correzione e a disporre, tra tali azioni rimediali, anche la restituzione di somme già riscosse.
Implicitamente, fra le azioni rimediali, è da considerarsi anche la rimozione della modifica incoerente attraverso una modifica eguale e contraria, la quale, essendo una variazione migliorativa, ha effetto immediato.
Quanto alle conseguenze pratiche della nota in commento, non è da escludere che, dalla mancata osservanza di tali prescrizioni, si generi microcontenzioso seriale tra banche, intermediari finanziari e consumatori (o associazioni di consumatori).
Dalla lettura della casistica indicata dalla Banca d’Italia, è percepibile una certa inevitabile esigenza di un’ulteriore interpretazione in sede applicativa.
Secondo alcuni autori, la scelta di politica legislativa di non stabilire espressamente cosa si debba intendere per “giustificato motivo” è correlata alla finalità di garantire una certa flessibilità di reattività delle banche.[22]
Bisognerebbe, pertanto, considerare la vastità degli eventi che possano influire sul rapporto a tempo indeterminato e l’impossibilità di riassumerli in un’unica elencazione.
Al contempo, tuttavia, non si può non considerare come l’assenza di una definizione crei incertezza del diritto. Il tentativo di definizione di “giustificato motivo”, infatti, non costituisce un mero esercizio ermeneutico, quanto uno strumento sostanziale, dal quale derivano conseguenze concrete in tema di contenzioso tra istituti di credito e correntisti.
[1] Art. 118, comma 1, TUB:“Nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo. Negli altri contratti di durata la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse, sempre che sussista un giustificato motivo”.
[2] Sul punto si veda F. Aratari, L.Iannaccone, Il contenzioso tra le banche e i clienti. L’anatocismo, le commissioni, l’usura, la forma, la prova, Wolters Kluwer – manuali per la professione, Milano, 2018, 318 – 323.
[3] A.A. Dolmetta, Linee evolutive di un ius variandi, in Ius variandi bancario. Sviluppi normativi e di diritto applicato,Giuffrè Editore, 2012, 20 ss., nonché 39 ss.
[4] G.Iorio, Le clausole attributive dello ius variandi, Milano, Vol. 38, Giuffrè Editorie, 2008, 86. Critici verso questa impostazione, Sciarrone Alibrandi – Mucciarone, La pluralità di serie normative di ius variandi nel T.U.B.: sistema e fratture, in Ius variandi bancario. Sviluppi normativi e diritto applicato,Giuffrè Editore, Milano 2012, 80, poiché <<le ombre della nozione del giustificato motivo del ius variandi bancario … non si annidano solo sui particolari caratteri appena indicati: esse, prim’ancora, si pongono sui tipi di sopravvenienze che possono costituire giustificato motivo>>.
[5] Secondo F. Sartori, Sul potere unilaterale di modificazione del rapporto contrattuale: riflessioni in margine all’art. 118 T.U.B., in Ius variandi bancario. Sviluppi normativi e diritto applicato, Giuffrè Editore, 2012 <<il ius variandi costituisce uno strumento di controllo del rischio grazie al quale è possibile adeguare il rapporto ai cambiamenti non prevedibili ex ante; e ciò senza costringere le parti a sciogliere il vincolo ovvero ad affrontare un processo di rinegoziazione del contenuto del rapporto. Uno strumento, insomma, di conservazione del contratto funzionale a logiche di efficienza economica>>.
[6] Art. 614 bis c.p.c.: “Con il provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 409. Il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile”.
[7] Tribunale di Rimini Ordinanza del 22 agosto 2011 rinvenibile sul sito: http://mobile.ilcaso.it/sentenze/bancario/6557/bancariononché su http://www.dirittobancario.it/giurisprudenza/ius-variandi/modifica-unilaterale-del-tasso-il-tribunale-blocca-la-banca.
[8] Decisione n. 249 del 2010 dell’Arbitro Bancario Finanziario Collegio di Milano rinvenibile sul sito: https://www.arbitrobancariofinanziario.it/decisioni/2010/04/Dec-20100420-249.pdf.
[9] Ibidem.
[10] Cfr. Decisione ABF di Roma n. 3981 del 23 novembre 2012 rinvenibile sul sito: https://www.arbitrobancariofinanziario.it/decisioni/2012/11/Dec-20121123-3981.pdf.
[11] Ibidem.
[12] Ibidem.
[13] Cit., supra, 2 e ss.
[14] Ex multis, Cfr. ABF Milano, n. 2419/2011; cfr. anche ABF Milano, n. 1298/2010.
[15] V. Tavormina, Ius variandi e contratti bancari.Giurisprudenza commerciale, 2013, 319.
[16] A.A. Dolmetta e A.S. AlibrandiA.S. ALIBRANDI,Linee evolutive di un ius variandi, in Ius variandi bancario. Sviluppi normativi e di diritto applicato, Op. cit, 3.
[17] P. Sirena, Il ius variandi della banca dopo il c.d. decreto-legge sulla competitività (n. 223 del 2006), 277; De Poli, Sub art. 118, in Commentario breve al diritto dei consumatori, codice del consumo e legislazione complementare, Cedam, 2010; U. Morera, Sub art. 118, in Testo Unico bancario. Commentario, Giuffrè Editore, 2010; Pagliantini, La nuova disciplina del c.d. ius variandi nei contratti bancari: prime note critiche, in Contr., 2011; secondo Bussoletti, La disciplina del jus variandi nei contratti finanziari secondo la novella codicistica sulle clausole vessatorie, in Dir. Banca e Mercato, 2005, nella nozione di <<giustificato motivo>> possono ricomprendersi anche <<vicende personali del fornitore di prodotti finanziari>>. Egli però richiama l’eventuale mutamento di strategia imprenditoriale solo con riguardo al giustificato motivo nell’esercizio del recesso, mentre per quanto concerne il suo funzionamento nell’esercizio del ius variandi fa riferimento (soltanto) a <<fattori legilsativi che mutano, quali tariffe fiscali o postali il cui costo era addebitato al cliente inglobato nel prezzo del servizio reso; a modificazione del costo del denaro; a modificazioni del merito di fido della clientela>>.
[18] Su cui amplius F. Sartori, Sul potere unilaterale di modificazione del rapporto contrattuale: riflessioni in margine all’art. 118 T.U.B., in Ius variandi bancario. Sviluppi normativi e diritto applicato, Op. cit. 3, il quale conclude che <<una perdita del valore della posizione creditoria del soggetto finanziato “giustifichi” una modificazione unilaterale delle condizioni del rapporto, coerentemente ai risultati forniti dai modelli per la misurazione del rischio di credito>>.
[19] Cfr. Sirena, Il ius variandi della banca dopo il c.d. decreto – legge sulla competitività (n. 223 del 2006), Op. cit. 10; De Poli, Sub art. 118, in Commentario breve al diritto dei consumatori, codice del consumo e legislazione complementare, Op. cit., 10; U. Morera, Sub art. 118, in Testo Unico bancario. Commentario, Op. cit., 10; G.Iorio, Le clausole attributive dello ius variandi, Op. cit., 3; Pagliantini, La nuova disciplina del c.d. ius variandi nei contratti bancari: prime note critiche, Op. cit. 10; A. Scarpello, La modifica unilaterale del contratto, Vol. 128, Wolters Kluwer Italia, Milano, 2010.
[20] Nota della Banca d’Italia del 28 marzo 2017, rinvenibile sul sito: https://www.bancaditalia.it/media/approfondimenti/2017/modifiche-unilaterali contratti/index.html.
[21] Nota avente prot. 05/09/2014 n. 864529.
[22] Cfr. V. Sangiovanni, Le modifiche unilaterali dei contratti bancari fra recenti riforme e decisioni dell’arbitro bancario finanziario, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, n.8/2012.