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Giurisprudenza

Iva, regime del reverse charge per le cessioni di oro usato destinato alla lavorazione industriale

31 Marzo 2016

Stefano Loconte, Professore a contratto di Diritto Tributario e Diritto dei Trust, Università degli Studi LUM “Jean Monnet” di Casamassima, Marco Zambrini, Praticante Avvocato, Loconte & Partners

CTR di Bari, 2 ottobre 2015, n. 2058

Di cosa si parla in questo articolo

Ai fini dell’applicazione del c.d. regime del “reverse charge” di cui all’art. 17 del D.P.R. n. 633 del 1972, occorre valorizzare non già il momento dell’acquisto, bensì quello di cessione di materiale d’oro, in quanto a questo fa riferimento l’art. 17 del D.P.R. n. 633 del 1972. Occorre, cioè aver riguardo alla destinazione finale dell’oggetto venduto, indipendentemente dalla sua natura di oro usato, semilavorato o dalla sua esatta qualificazione merceologica, nonché all’attività del soggetto cessionario, che deve essere esclusivamente finalizzata al processo di fusione e affinazione chimica del materiale prezioso e non anche alla commercializzazione dell’usato. Laddove è dimostrato che l’attività consiste nell’acquisto di oggetti preziosi usati da privati cittadini e nella successiva rivendita direttamente alle fonderie specializzate nel recupero di metalli preziosi, il cedente diviene soggetto obbligato ad emettere la relativa fattura di cessione ai sensi e per gli effetti del citato art. 17”.

Così la C.T.R. di Bari che, con la sentenza n. 2058 del 2 ottobre 2015, ha ribadito la necessità di avere riguardo alla destinazione finale dell’oggetto venduto e all’attività concretamente svolta dal cessionario, al fine di individuare i presupposti per l’applicabilità del regime di reverse charge alle cessioni di oro usato.

Nel caso di specie l’Amministrazione finanziaria, sulla base delle risultanze contenute nel p.v.c. redatto dagli uomini della Guardia di Finanza a seguito di verifica fiscale, aveva emesso a carico della società contribuente due avvisi di accertamento notificati, rispettivamente, in data 12 luglio 2011 e 23 settembre 2011, con i quali veniva contestata l’illegittima applicazione del regime speciale IVA (c.d. reverse charge). La società aveva effettuato cessioni di beni emettendo per tutti fattura, senza l’applicazione dell’IVA in virtù dell’applicazione del regime di reverse charge, con l’indicazione di cessione di “rottami auriferi”, mentre secondo l’Amministrazione finanziaria si sarebbe trattato di cessioni di beni acquistati come “oggetti preziosi di oro usati”, e solo in minima parte di “rottami auriferi”.

La società impugnava dinanzi alla C.T.P. di Brindisi, con distinti ricorsi, i due avvisi di accertamento eccependo plurimi vizi, e più specificamente la sussistenza dei requisiti e delle condizioni richiesti dall’art. 17, comma 5[1] del D.P.R. n. 633/1972 per l’applicazione del regime di reverse charge, chiedendone, pertanto, l’annullamento.

L’adita Commissione, con distinte sentenze, rigettava i ricorsi e compensava le spese.

La società contribuente impugnava tali decisioni con distinti appelli, eccependo, su tutti, la manifesta illegittimità delle sentenze per difetto di prova e per violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 5 del D.P.R. n. 633/1972, laddove non avevano dichiarato l’infondatezza nel merito degli avvisi di accertamento.

L’Agenzia delle Entrate si costituiva nei giudizi con distinte controdeduzioni, rigettando le eccezioni del contribuente.

La C.T.R. di Bari, riuniti gli appelli per connessione oggettiva e soggettiva, li dichiarava fondati e meritevoli di accoglimento.

Nella motivazione, la C.T.R. considera l’inversione contabile, o reverse charge, uno strumento anti-frode “finalizzato a contrastare il fenomeno della frode fiscale in particolari settori ritenuti ad alto rischio di evasione”, per effetto del quale “la fattura è emessa dal cedente, ma senza addebito d’imposta, che deve essere applicata dall’acquirente; in tal modo, il debitore d’imposta è soltanto il cessionario/committente, anziché il prestatore/cedente”.
Lo scopo del reverse charge è infatti impedire la detrazione dell’IVA sugli acquisti e combattere le frodi “carosello”, evitando che l’acquirente detragga l’imposta anche in mancanza di versamento da parte del fornitore.

È proprio sulla base delle fatture emesse dalla società contribuente che la C.T.R. ha fondato il proprio giudizio di accoglimento relativo al difetto di prova eccepito dalla società contribuente.
La contestazione dell’Amministrazione finanziaria si reggeva unicamente sull’isolata presunzione che gli oggetti d’oro usato acquistati da privati cittadini fossero stati, poi, ceduti ad alcune società esercenti l’attività di fusione, trasformazione e affinazione chimica come “oro usato”, e non quali “rottamiauriferi” come indicato nelle fatture. Presunzione basata esclusivamente su un mero riscontro cartolare, mentre sarebbe stato necessario accertare, tramite verifica fiscale presso le fonderie cessionarie, il concreto utilizzo e destinazione dei beni, al di là della qualificazione merceologica indicata nelle fatture dalla società cedente.

È bene ricordare che in riferimento all’onere dellaprova valgono e vengono applicate, anche in ambito tributario, le norme del codice civile che, come regola generale di fondo, subiscono delle eccezioni di fronte a presunzioni legali, ex art. 2728 c.c., o presunzioni semplici assistite da requisiti di precisione, gravità e concordanza, ex art. 2729 c.c.

In mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 2729 c.c. e alla luce dei princìpi enunciati dalla Direzione Centrale Normativa dell’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 92/E del 12 dicembre 2013, il Collegio ha ritenuto sufficienti per il superamento della presunzione le fatture emesse dalla società cedente regolarmente contabilizzate e le dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà delle società cessionarie.

Nel succitato documento di prassi l’Agenzia delle Entrate ha individuato, ribadendo quanto già sostenuto nella risoluzione n. 375/E[2] del 12 novembre 2002, le caratteristiche che permettono di qualificare i preziosi come oro “industriale” e i presupposti che consentono di applicare il regime di reverse charge alle cessioni di tali beni.

Con la risoluzione n. 92/E del 12 dicembre 2013, l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che “i prodotti finiti d’oro usati, ceduti a soggetti passivi che effettuano lavorazione di oro industriale, anche se non qualificabili sotto il profilo merceologico come “oro industriale”, possono essere assimilati, ai fini IVA, a quest’ultimo prodotto, in considerazione dell’univoca destinazione del metallo prezioso alla lavorazione da parte del cessionario”.

La destinazione del prezioso al processo di lavorazione da parte del cessionario è dunque condizione essenziale, nonché unica circostanza che consente di assimilare l’acquisto di oro “usato” a quello di oro “industriale”, soggetto, ex art. 17, comma 5 del D.P.R. n. 633/1972, al meccanismo del reverse charge, non rilevando a tal fine la natura dei beni sottoposti a lavorazione trasformazione, potendo riguardare non solo rottami in senso stretto, ma qualsiasi bene di “oro usato”, a prescindere dalle condizioni in cui si trova.

La sentenza in esame si inserisce nel solco già tracciato da altre pronunce di merito[3] che, in materia di applicabilità del regime di reverse charge alle cessioni di oro usato,hanno correttamente valorizzato l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria: la C.T.R. di Bari, nell’individuare gli elementi rilevanti ai fini dell’applicazione del regime dell’inversione contabile, ha infatti affermato che si deve “aver riguardo alla destinazione finale dell’oggetto venduto…nonché all’attività del soggetto cessionario, che deve essere esclusivamente finalizzata al processo di fusione e affinazione chimica del materiale preziosoe non anche alla commercializzazione dell’usato. Laddove è dimostrato che l’attività consiste nell’acquisto di oggetti preziosi usati da privati cittadini e nella successiva rivendita direttamente alle fonderie specializzate nel recupero di metalli preziosi, il cedente diviene soggetto obbligato ad emettere la relativa fattura di cessione ai sensi e per gli effetti del citato art. 17”.



[1] Tale previsione normativa prevede che “in deroga al primo comma, per le cessioni imponibili di oro da investimento di cui all'articolo 10, numero 11), nonché per le cessioni di materiale d'oro e per quelle di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, al pagamento dell'imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d'imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente senza addebito d'imposta, con l'osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti e con l'annotazione "inversione contabile" e l'eventuale indicazione della norma di cui al presente comma, deve essere integrata dal cessionario con l'indicazione dell'aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro di cui agli articoli 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese; lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro di cui all'articolo 25”.

[2] In tale risoluzione l’Agenzia delle Entrate ha affermato che la vendita di rottami di gioielli d’oro, in sé non suscettibili di utilizzazione da parte del consumatore finale, ad un soggetto che non li destina (né può destinarli) al consumo finale, ma li impiega in un processo intermedio di lavorazione e trasformazione, possa essere assimilata a cessione di materiale d’oro o semilavorato.

[3] Vedi, in senso conforme, C.T.R. Firenze n. 857/30/14 secondo cui “il meccanismo dell'inversione contabile di cui all'art. 17, comma 5, D.P.R. n. 633 del 1973 trova applicazione se il cessionario, cui la merce viene consegnata dal negozio compro oro, svolge attività di fusione del metallo, assumendo all'uopo rilevanza la destinazione del materiale acquistato e non anche se esso sia da considerare usato o rottame. Ne consegue la legittimità del ricorso al meccanismo predetto da parte del negozio "compro oro" che acquisti da privati oggetti d'oro usati e li rivenda ad operatori professionisti del settore dell'oro”; C.T.P. Ascoli Piceno n. 250/1/2015 secondo cui “in relazione all'applicazione delreversechargeai fini dell'Iva in luogo del corretto regime del margine, relativamente all'emissione di alcune fatture per la cessione dell'oroacquistato da privati, si rileva che, ai fini dell'applicabilità del regime delreversechargeoccorre che vi sia la prova della destinazione dei beni diorousatoal processo di trasformazione e lavorazione, non essendo sufficiente a precludere tale beneficio un diverso codice "statistico" utilizzato dall'azienda acquirente”; C.T.P. Cagliari n. 216/5/2013 secondo cui “èlegittima da parte dei "Comprooro" l'applicazione ai fini IVA delreverse charge per la cessione a favore delle fonderie dell'orousatoacquistato presso la clientela in quanto rileva il processo di lavorazione intermedio avviato, nel quale l'oro usatoè assimilabile all’oroindustriale e di conseguenza non può essere sanzionata l'omessa applicazione del metodo del margine”;C.T.P. Bari n. 2489/6/14.

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