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Giurisprudenza

IVA per servizi infragruppo indetraibile se non è provata l’inerenza dei costi

17 Marzo 2020

Alessandro Nota

Cassazione Civile, Sez. V, 13 febbraio 2020, n. 3599 ― Pres. Sorrentino, Rel. Giudicepietro

Di cosa si parla in questo articolo

La sentenza in esame verte sull’annosa questione relativa alle spese sostenute per servizi scambiati tra consociate residenti in diversi stati che, nel caso di specie, erano state ritenute dall’Amministrazione Finanziaria indeducibili ai fini IRES ed IRAP, nonché indetraibili ai fini IVA, in quanto il contribuente non sarebbe stato in grado di provare l’effettività e l’inerenza delle stesse. Per quanto qui di interesse, Il contribuente, relativamente alle contestazioni riguardanti l’IVA, risultava soccombente in entrambi i gradi di giudizio di merito.

In particolare, il giudice di seconde cure rilevava che il contribuente non avrebbe provato che i costi, asseritamente da questo sostenuti, avessero influito direttamente e positivamente sull’andamento societario. Il contribuente adiva quindi la Corte di Legittimità lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 13 e 19 del D.P.R. n. 633/1972, rilevando come la CTR avesse ancorato il concetto di inerenza di un costo a criteri di congruità, disattendendo il principio del corrispettivo effettivamente pattuito, cardine del meccanismo di applicazione dell’IVA.

A tal riguardo, secondo gli Ermellini, i riferimenti alla congruità del costo, operati, a dire del ricorrente, dal giudice di seconde cure nelle proprie motivazioni, mediante il richiamo alla disciplina del transfer pricing, non costituirebbero il presupposto della sentenza impugnata.

La decisione del giudice di merito — nonostante il riferimento alla prova del vantaggio economico, definito “improprio in materia di IVA” dalla stessa Cassazione ― si baserebbe, invece, sulla considerazione che il contribuente abbia omesso di provare l’effettività dei costi contestati ed il loro collegamento diretto con l’attività imprenditoriale svolta in concreto. Con specifico riferimento all’onere della prova dell’inerenza di un costo, la Suprema Corte evoca, quale ius receptum, il principio in base al quale tale onere incomberebbe sul soggetto che affermi di aver ricevuto il servizio.

Spetterebbe al contribuente, più precisamente, provare che, affinché un costo infragruppo sia deducibile (e l’afferente IVA detraibile), lo stesso abbia tratto “dal servizio remunerato un’effettiva utilità e che quest’ultima sia obiettivamente determinabile e adeguatamente documentata”.

Nell’aderire a tale orientamento, la Suprema Corte non ritiene di porsi in contrasto con il principio (cfr. Cass. n. 18904/2018, Cass. n. 33574/2018) in base al quale il concetto di inerenza esprima una correlazione tra i costi e le attività in concreto esercitate da chi li sostiene, traducendosi “in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sé, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo”.

La Suprema Corte si è espressa in merito alla detraibilità dell’IVA sui servizi infragruppo anche con riferimento alle specifiche modalità di assolvimento del tributo che, nel caso di specie, trattandosi di operazioni intra-unionali, consistono nel cd. reverse charge. Il contribuente, avendo correttamente effettuato l’inversione contabile, invocava il principio di neutralità a sostegno del proprio diritto alla detrazione dell’IVA.

A tal riguardo la Corte, pur riconoscendo la centralità del principio di neutralità, afferma che il diritto alla detrazione è condizionato al verificarsi dei presupposti sostanziali dell’operazione, ivi comprese l’effettività e l’inerenza del costo. L’omessa prova dell’inerenza di un costo, pertanto, determinerebbe l’indetraibilità dell’IVA, anche in caso di assolvimento in regime di inversione contabile. Sulla base di tali argomentazioni, la Suprema Corte respinge le doglianze del contribuente, dichiarando indetraibile l’IVA afferente le spese sostenute per servizi infragruppo, per aver il contribuente omesso di provarne l’effettività e l’inerenza.

 

 

 

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