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Note

L’accertamento delle liberalità informali in cassazione

20 Gennaio 2021

Daniele Muritano

Di cosa si parla in questo articolo

1. Liberalità indirette e imposta sulle donazioni

Due ordinanze della Corte di cassazione (n. 27665 del 3/12/2020 e n. 28047 del 9/12/2020) intervengono sull’interpretazione dell’art. 56-bis del d. lgs. 31/10/1990, n. 346 in materia di imposta sulle successioni e donazioni (di seguito il “testo unico”), rubricato «Accertamento delle liberalità indirette», il quale prevede che:

«1. Ferma l’esclusione delle donazioni o liberalità di cui agli articoli 742 e 783 del codice civile, l’accertamento delle liberalità diverse dalle donazioni e da quelle risultanti da atti di donazione effettuati all’estero a favore di residenti può essere effettuato esclusivamente in presenza di entrambe le seguenti condizioni:

a) quando l’esistenza delle stesse risulti da dichiarazioni rese dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi;

b) quando le liberalità abbiano determinato, da sole o unitamente a quelle già effettuate nei confronti del medesimo beneficiario, un incremento patrimoniale superiore all’importo di 350 milioni di lire.

2. Alle liberalità di cui al comma 1 si applica l’aliquota del sette per cento, da calcolare sulla parte dell’incremento patrimoniale che supera l’importo di 350 milioni di lire.»

Sono due, pertanto, i presupposti, che devono sussistere, affinché la disposizione possa essere applicata: a) che la liberalità risulti da una “dichiarazione” resa dall’interessato; b) che tale dichiarazione sia resa nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi (diversi dall’imposta di donazione)[1].

La disposizione fu introdotta[2] con l’intento di attrarre a tassazione le liberalità non risultanti da atti formali. Per capirci, le liberalità fatte – ad esempio – tramite un bonifico bancario o la consegna di un assegno circolare poi versato sul proprio conto corrente da parte del beneficiario.

Il fine fu spostare la tutela dell’interesse erariale “a valle”, individuando quale sede di riemersione delle liberalità un’indagine in senso lato patrimoniale a carico del beneficiario compiuta nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di (altri) tributi[3].

Se questa è la finalità della disposizione, ne risulta che al fine di evitare l’accertamento sintetico del reddito il destinatario dell’indagine svolta dall’amministrazione finanziaria potrà, alternativamente:

a) dichiarare che si tratta di una liberalità, oppure

b) dimostrare in maniera convincente l’origine degli incrementi patrimoniali, ad esempio che si tratta di redditi esenti o già tassati alla fonte, che gli incrementi patrimoniali hanno natura non reddituale, etc.

Come noto, l’imposta sulle successioni e donazioni fu abolita dalla legge 18/10/2001 n. 383 con decorrenza dal 24/10/2001 e reintrodotta con l’art. 2, commi da 47 a 53, del d.l. 3/10/2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24/11/2006, n. 286.

Il comma 47 dell’art. 2 del d.l. 262/2006 prevede che «È istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54», mentre il successivo comma 50 recita che «Per quanto non disposto dai commi da 47 a 49 e da 51 a 54 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dal citato testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001».

La Corte di cassazione è chiamata a verificare la compatibilità della disposizione con il nuovo sistema di tassazione introdotto dal d.l. 262/06 e conclude nel senso che essa è da ritenersi tuttora vigente pur dovendo essere “armonizzata” con le nuove disposizioni.

In definitiva, anche dopo la reintroduzione dell’imposta sulle successioni e donazioni le liberalità risultanti da atti non formali[4] continuerebbero a essere tassate solo in presenza dei presupposti previsti dall’art. 56-bis.

Si può essere d’accordo o meno con la ricostruzione della Corte quanto alla perdurante vigenza della disposizione e alla necessità di una sua “armonizzazione” (questioni su cui ci soffermeremo nel par. 4), tuttavia un primo punto di interesse delle ordinanze riguarda proprio i fatti e la loro qualificazione giuridica.

Vediamoli in dettaglio.

2. Il caso deciso dall’ordinanza 27665/2020: era vera liberalità?

Il caso riguarda una coppia di coniugi. L’Agenzia delle Entrate, in sede di controllo sui redditi dichiarati, aveva chiesto alla moglie chiarimenti in ordine a scostamenti rilevanti riscontrati nei periodi d’imposta dal 2009 al 2013 tra reddito dichiarato e spese sostenute e con l’avviso di liquidazione impugnato aveva accertato, in particolare, l’omessa registrazione di una liberalità indiretta di € 12 milioni fattale dal marito, nonché liquidato l’imposta sulle donazioni applicando l’aliquota dell’8%, oltre interessi, sull’intero importo.

La Commissione tributaria regionale aveva riformato la decisione di primo grado riliquidando l’imposta dovuta dalla contribuente con applicazione dell’aliquota del 7% e della franchigia di € 1 milione.

Il giudice di appello aveva ritenuto «accertata, per mancanza di prova contraria legale, l’esistenza di una liberalità attuata dal marito senza che apparisse una controprestazione da parte della moglie» e che l’accredito in conto corrente della somma costituiva presupposto per l’applicazione dell’art. 56-bis.

Una prima osservazione riguarda il passaggio motivazionale del giudice d’appello. Esso è frutto di una lettura distorta della disposizione, la quale non prevede alcuna presunzione legale, tantomeno una presunzione di liberalità.

Al contrario, la disposizione prevede – in sostanza – un divieto di autonomo accertamento di tali liberalità occorrendo invece che esse siano dichiarate dall’interessato. Tra l’altro, come osservato in dottrina, l’ammissione dell’interessato non è neppure decisiva, perché resta fermo il potere dell’amministrazione finanziaria di accertare la veridicità della dichiarazione stessa, ben potendo essere la somma esistente sul conto reddito non dichiarato[5].

Com’era stata impostata la difesa? Proprio negando l’esistenza dei due presupposti applicativi della disposizione: a) non era una liberalità, aveva affermato la moglie, così “non dichiarandola”, come invece richiesto dalla disposizione[6]; b) non era reddito, ma un trasferimento “ponte” della somma sul conto corrente, finalizzato a farla pervenire (come in effetti è avvenuto il giorno dopo), con causa di finanziamento, sul conto corrente di una società di cui il marito era unico socio[7].

La somma versata, infatti, proveniva da un conto corrente intestato non al marito bensì a una società fiduciaria il cui fiduciante era il marito stesso ed era stata trasferita sul conto corrente di un’altra società fiduciaria il cui fiduciario era la moglie[8]. Da quest’ultimo conto la somma era stata versata (il giorno successivo) sul conto corrente della società, la quale aveva contabilizzato il debito da finanziamento verso il marito/socio, da cui provenivano le somme, e non verso la moglie.

La questione, quindi, riguarda la qualificazione giuridica del bonifico bancario avvenuto tra le due fiduciarie, dovendosi considerare che il bonifico bancario è di regola “silente”, non menzionando il rapporto sottostante.

Un bonifico bancario che non menziona la causale, è … causalmente “neutro”, potendo il rapporto sottostante avere le più varie giustificazioni: mutuo, adempimento di un’obbligazione, intestazione fiduciaria, liberalità, fornitura dei mezzi per adempimento di un mandato etc.

Insomma, da qui a qualificare quel trasferimento di denaro come liberalità, accertarla e tassarla ai sensi dell’art. 56-bis ce ne corre.

A fronte del diniego della moglie il fisco si sarebbe dovuto fermare e – se del caso – ritenendo non convincente la spiegazione fornitagli, accertare sinteticamente il reddito, non certo la liberalità.

Il fisco italiano, però, è notoriamente “leonino”. E non potendo sostenere, per evidenti ragioni, che la somma esistente sul conto corrente della (fiduciaria della) moglie costituisse reddito non dichiarato, ha accertato la liberalità, così trascurando la realtà dei fatti e la loro qualificazione giuridica e ignorando – è utile ribadirlo nuovamente – che l’art. 56-bis non consente di accertare autonomamente le liberalità non formali.

Si giunge in Cassazione e il ricorso riguarda in primo luogo la qualificazione giuridica del rapporto sottostante; in subordine è posto il problema della compatibilità dell’art. 56-bis con la reintrodotta imposta sulle successioni e donazioni.

Sul primo punto la Corte adotta una motivazione palesemente contraddittoria, che smentisce tutta la sua giurisprudenza in tema di trasferimenti di beni dal disponente di un trust al trustee del medesimo.

In un primo passaggio la Corte riporta l’affermazione del giudice di merito, secondo cui «Non appare dubitabile la sussistenza, nel caso in esame, tanto del dato soggettivo, rappresentato dall’intenzione del donante … , condivisa dal donatario …, di provocare un incremento del patrimonio del soggetto beneficiario, con depauperamento del patrimonio del soggetto disponente, attuato mediante ordini bancari, quanto del dato oggettivo, rappresentato dall’effettività del trasferimento di ricchezza (12 milioni di euro) sul conto riferibile alla contribuente.»

Ulteriore elemento, sempre secondo il giudice di merito, era il «riconoscimento della ricezione di beni mobili (denaro)» da parte della moglie[9].

Questi, dice la Corte di cassazione, sono elementi sintomatici dell’esistenza di una liberalità indiretta[10] fiscalmente imponibile, accertati dal giudice di merito, la cui pronuncia sul punto è congruamente motivata.

La ricostruzione non convince.

I dati da cui si trae l’esistenza della liberalità sono invero alquanto sfuggenti nonché indiziari, visto che si fa riferimento: a) alla “intenzione” di donare, che è lo “spirito” di liberalità e b) all’effettività del trasferimento di ricchezza sul conto della moglie.

Sul primo punto è inutile scomodare e citare l’alluvionale letteratura che si è sforzata di individuare in che cosa davvero consista lo “spirito di liberalità”, tanto è vero che da taluno si sostiene che la donazione sia un atto privo di causa, essendo questa surrogata dalla forma[11], come dimostrato dal fatto che per la stipula di una valida donazione la legge richiede un atto solenne.

Ma anche volendosi allineare al preferibile orientamento secondo cui alla base di un atto di donazione (diretta o indiretta che sia) vi è un interesse non patrimoniale del donante[12], l’esistenza di un tale interesse nel caso di specie è smentita dai fatti, essendo il trasferimento di denaro da parte del marito funzionale non certo ad arricchire la moglie ma a realizzare (successivamente) un’operazione di finanziamento della società da egli partecipata.

Quanto al secondo punto è sufficiente ribadire quanto già scritto sopra: un trasferimento di denaro su un conto corrente è a causa neutra. Esso va qualificato giuridicamente a posteriori. Nulla dice (perché non può giuridicamente dirlo) sulla sua causa.

Colpo di scena.

Dice la Corte che «La M., seppure per un tempo limitato, ha acquistato la piena disponibilità giuridica della “provvista”, ancorché da gestire per finalità particolari e per soddisfare le esigenze del fiduciante, né gli eventuali patti fiduciari tra i coniugi escludono la effettività del trasferimento di ricchezza, rendendolo per questo non tassabile (v. da ultimo Cass. S.U. n. 6549/2020)».

In disparte il richiamo (a sostegno) della sentenza delle sezioni unite n. 6549/2020, che è del tutto inconferente rispetto al caso di specie, trattandosi di sentenza che riguarda un tema completamente diverso (la forma del patto fiduciario avente oggetto beni immobili), la contraddizione emerge dall’affermazione secondo cui la posizione della moglie ricevente la somma dal marito era quella di fiduciaria del medesimo[13].

Vi sarebbe stata una donazione di denaro fatta da un donante a un donatario che però, nelle parole della Corte, non sono qualificabili come tali ma come fiduciante e fiduciario!

Cosa dice infatti la Corte? Afferma che il marito aveva trasferito la somma – ecco! – «da gestire per finalità particolari e per soddisfare le esigenze del fiduciante»:ma aggiunge «né gli eventuali patti fiduciari tra i coniugi escludono la effettività del trasferimento di ricchezza, rendendolo per questo non tassabile».

Sennonché un trasferimento di ricchezza con causa fiduciaria non può mai essere una donazione. Inoltre, se la somma è stata trasferita per realizzare le esigenze del fiduciante ciò significa che in capo a quest’ultimo era rinvenibile un interesse patrimoniale, esattamente opposto all’interesse (non patrimoniale) che sta alla base dell’atto liberale.

E ancora, come affermato proprio dalla stessa sentenza delle sezioni unite citata nell’ordinanza in commento, alla base della fiducia c’è un mandato senza rappresentanza. E la stessa Corte di cassazione, in due occasioni, ha affermato che il mandatario senza rappresentanza non si arricchisce di ciò che ha ricevuto dal mandante e non esprime alcuna capacità contributiva, ragion per cui non sono applicabili nei suoi confronti né l’imposta di donazione né, quando si tratta di beni immobili, le imposte ipotecaria e catastale[14].

A ciò si aggiungano le 93 pronunce in materia di tassazione degli atti dispositivi di beni in favore del trustee di un trust, fattispecie fiscalmente assimilabile a quella del trasferimento avente causa fiduciaria, che fissano il seguente principio: il trasferimento del bene dal disponente al trustee avviene a titolo gratuito e non determina effetti traslativi definitivi e stabili in suo favore; il trasferimento è solo temporaneo e il trustee è tenuto solo ad amministrare e custodire il bene, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del suo trasferimento ai beneficiari del trust, sicché l’atto è soggetto a tassazione in misura fissa, sia per quanto attiene all’imposta di registro che alle imposte ipotecaria e catastale[15].

Se, come afferma la Corte, nel caso in oggetto il trasferimento aveva causa fiduciaria, non si vede come possa conseguirne la tassabilità come liberalità.

Affermare che si tratti di trasferimento a causa fiduciaria ma tassabile come liberalità è pertanto in conflitto con i principi fissati dalla Corte nelle sue stesse pronunce.

Né è rilevante argomentare dalla mancanza di documentazione inerente il finanziamento fatto alla società partecipata dal marito.

In disparte la considerazione per cui il fatto (eventualmente) imponibile è il trasferimento delle somme dal marito alla moglie, è decisivo che la società destinataria del finanziamento era amministrata dal marito, il quale ne era anche unico socio, che un finanziamento può essere stipulato anche in forma orale e che la contabilità sociale da cui risulti il finanziamento è elemento tutt’affatto trascurabile.

In definitiva, il trasferimento della somma di denaro non era tassabile con l’imposta di donazione ai sensi dell’art. 56-bis sia per carenza di uno dei presupposti (la “confessione” della contribuente) sia perché – in ogni caso – non costituiva una liberalità (né diretta né indiretta), bensì un trasferimento strumentale all’esecuzione di un mandato fiduciario conferito verbalmente dal marito alla moglie, al fine di finanziare la società amministrata e partecipata dal marito/mandante. Nessun arricchimento patrimoniale definitivo e stabile si era verificato in capo alla moglie e, conseguentemente, nessuna manifestazione di capacità contributiva, presupposto indispensabile, di rilevanza costituzionale (art. 53 Cost.) per la tassazione con l’imposta proporzionale di donazione.

3. Il caso deciso dall’ordinanza 28047/2020: liberalità diretta o indiretta?

Un genitore aveva stipulato due polizze assicurative sulla vita.

Nella prima polizza sostituisce a se stesso, originario contraente, una figlia, cui la compagnia assicurativa liquida € 2.155.560,49.

Liquidata in suo favore la seconda polizza, il genitore trasferisce la somma mediante bonifico bancario (senza stipulare alcun atto pubblico), per metà a una figlia e per metà a un’altra figlia. In concreto una figlia riceve € 3.165.224,49, l’altra figlia € 1.009.664.

L’operazione avviene nel 2009. L’Agenzia delle Entrate, dopo avere richiesto chiarimenti alla figlia che aveva ricevuto la somma maggiore, qualifica le disposizioni come liberalità indirette e (riferisce la Commissione tributaria regionale) «stante la chiara intenzione di una parte, (il) genitore …, di beneficiare la figlia …», applica l’art. 56-bis liquidando l’imposta di donazione con l’aliquota del 7% per la parte eccedente la franchigia di € 180.759,91.

La Commissione tributaria regionale qualifica invece le operazioni come donazioni dirette. Non applica l’art. 56-bis, bensì le disposizioni dell’art. 2, commi 47, 49 e 50 del d.l. 262/06. Ritiene la Commissione che il difetto di forma non sia di ostacolo alla tassazione delle donazioni fatte tramite bonifico bancario e che l’art. 56-bis non sia applicabile per effetto dell’innovativa disciplina introdotta dal d.l. 262/06.

In questo caso, a differenza di quello descritto nel precedente paragrafo, parrebbe che la contribuente avesse dichiarato che si trattava di donazioni fattele dal padre. Ciò sembra ricavarsi dal passo dell’ordinanza in cui si fa riferimento a «liberalità dichiaratamente (grassetto nostro) effettuate in suo favore dal padre». Era quindi presente uno dei presupposti richiesti dall’art. 56-bis.

Non pare invece corretta l’affermazione dell’ufficio, secondo cui le liberalità erano tassabili stante la «chiara intenzione di una parte … di beneficiare la figlia». L’art. 56-bis – l’abbiamo scritto più volte – consente la tassazione di tali liberalità solo in presenza di un’esplicita ammissione del contribuente. In mancanza, esse non sono accertabili, né tassabili, fermo restando, quindi, il potere dell’ufficio di accertare, eventualmente, un reddito in capo al contribuente.

I dati di fatto che emergono dall’ordinanza raccontano inoltre– riguardo alla prima polizza – una storia un po’ diversa.

La polizza sottoscritta dal genitore era della durata di 20 anni e prevedeva l’ottenimento di una prestazione sia in caso di vita sia in caso di morte. Era possibile il riscatto, sia totale sia parziale, a fronte del pagamento di penali. La restituzione del capitale era garantita[16]. Non si trattava quindi una polizza a contenuto finanziario e di investimento.

La polizza era stata liquidata dalla banca alla figlia a fronte del “cambio di contraenza” e certamente non era scaduta, perché il movimento dei capitali era avvenuto nel 2009 e la polizza in oggetto iniziò a essere collocata nel mercato nel 2006.

Divenuta la figlia contraente della polizza al posto del padre ha provveduto a riscattare la polizza: altra spiegazione – almeno a leggere l’ordinanza – non c’è.

Se questi sono i fatti, l’operazione compiuta dal padre è qualificabile come liberalità indiretta, perché attraverso il “cambio di contraenza” egli ha donato alla figlia la somma da egli versata alla banca al momento della stipula della polizza e non la somma liquidata dalla banca alla figlia[17]. Ha quindi errato il fisco nell’assumere quale base imponibile dell’imposta il capitale liquidato alla figlia e non – per l’appunto – il solo premio pagato[18] (il cui ammontare è ignoto).

Quanto alla seconda polizza il padre, ricevuta la somma liquidatagli dalla compagnia assicuratrice, ne aveva trasferito metà alla figlia con bonifico bancario.

Tale operazione bancaria è una liberalità diretta, come ben chiarito da Cass., S.U., 27/7/2017, n. 18725, la quale ha fissato il seguente principio di diritto: «Il trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l’esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta; ne deriva che la stabilità dell’attribuzione patrimoniale presuppone la stipulazione dell’atto pubblico di donazione tra beneficiante e beneficiario, salvo che ricorra l’ipotesi della donazione di modico valore»[19].

L’Agenzia impugna la sentenza di appello eccependo (primo motivo) che la Commissione tributaria regionale ha errato nel qualificare quelle liberalità come dirette e (secondo motivo) che ha errato nel ritenere inapplicabile l’art. 56-bis.

Il primo motivo è rigettato dalla Corte di cassazione, la quale osserva che la Commissione tributaria regionale aveva – con ratio decidendi non censurabile – correttamente qualificato quelle operazioni bancarie come donazioni dirette, ma egualmente tassabili nonostante la loro nullità formale.

Il secondo motivo è invece accolto. La Corte sulla base dei medesimi argomenti utilizzati dall’ordinanza 27665/20, che saranno oggetto di analisi nel prossimo paragrafo, ritiene che l’art. 56-bis sia tuttora vigente. Cassa con rinvio a una diversa sezione della Commissione tributaria regionale, che dovrà riesaminare il caso applicando l’art. 56-bis.

4. L’interpretazione dell’art. 56-bis.

Nel caso deciso dall’ordinanza 27665/20[20] ilprimo motivo di ricorso non è accolto. La Corte, ritenendo corretto l’operato del giudice di merito, qualifica come liberalità il trasferimento della somma dal marito alla moglie.

Il punto, però, è che il testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni prevede la tassabilità delle sole donazioni formali (risultanti da atto pubblico) e delle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione[21].

Le donazioni non formali, sono tassabili solo se ammesse[22] dal contribuente ex art. 56-bis, come afferma espressamente, allineandosi alla dottrina[23], l’ordinanza 28047/20: «senza la dichiarazione della contribuente ex art. 56-bis, le liberalità poste in essere dal disponente … non sarebbero state accertabili dall’Ufficio, e neppure tassabili, e che le nuove aliquote e franchigie previste dall’art. 2, commi 49 e 49 bis, d.l. n. 262 del 2006, nell’ambito della fattispecie disciplinata dall’art. 56-bis, si applicano in caso di registrazione volontaria delle liberalità, ipotesi che qui pacificamente non ricorre».

Nel caso di specie saremmo in presenza di una “donazione” realizzata attraverso un bonifico bancario.

Ora, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui sono tassabili anche le donazioni nulle[24] è superfluo stabilire se una donazione così congegnata sia diretta o indiretta[25], perché il problema è, invece, stabilire se queste donazioni sono tassabili solo se ammesse dal contribuente, cioè all’interno normativo disegnato dall’art. 56-bis, ovvero sono sempre accertabili e tassabili – se del caso – con le aliquote ordinarie.

La questione non è di poco conto, perché se si ritiene che tali donazioni, pur nulle, sono accertabili autonomamente dal fisco, si applicheranno le aliquote ordinarie, previste dall’art. 2, comma 49, del d.l. 262/06, altrimenti delle due l’una: (a) o non saranno tassabili o (b) saranno tassabili con l’aliquota prevista dall’art. 56-bis solo in presenza dai presupposti da esso previsti.

Nel caso concreto, trattandosi di liberalità compiuta dal marito a favore della moglie l’aliquota applicabile potrebbe oscillare dal 4% al 7%.

Non solo. L’art. 56-bis prevede una franchigia di € 180.759,91 mentre il comma 49 prevede una franchigia di € 1 milione.

In concreto la differenza è notevole, oscillando la tassazione da € 440.000 (4% su € 11 milioni, ovvero € 12 milioni meno la franchigia di € 1 milione), a € 827.346,80 (7% su € 11.819.240,10, cioè € 12 milioni meno la franchigia di € 180.759,91).

La Corte ritiene, in primo luogo, che si tratti di liberalità indiretta e che essa sia tassabile con l’imposta di donazione in quanto rientrante nell’ambito del più ampio genus dei “trasferimenti gratuiti”. Così però trascura che l’art. 1 del testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni contempla anche tali liberalità, stabilendo che l’imposta di donazione si applica ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o «altre liberalità tra vivi».

E l’art. 1 si applica anche dopo il 2006 per effetto dell’espresso richiamo all’intero testo unico fatto dall’art. 2, comma 47, del d.l. 262/2006.

La Corte, in secondo luogo, respinge la tesi dei ricorrenti secondo cui l’art. 56-bis sarebbe inapplicabile per incompatibilità con le nuove disposizioni, affermando non solo che è tuttora vigente ma che va armonizzato con le nuove disposizioni.

L’adeguamento/armonizzazione della disposizione con il nuovo sistema riguarderebbe l’aliquota e la franchigia.

Quanto all’aliquota applicabile, la Corte la ridetermina utilizzando un’argomentazione fondata sulla natura (in senso lato, dice la Corte) sanzionatoria della disposizione[26].

La disposizione è letta come se prevedesse una sanzione pari all’aliquota massima applicabile. E poiché la nuova aliquota massima applicabile è quella dell’8%, tale aliquota va sostituita all’aliquota massima applicabile fino al 24/10/2001, che era del 7%[27]. L’indicazione espressa dell’aliquota sarebbe – se abbiamo inteso in modo corretto il ragionamento della Corte – irrilevante.

La conclusione suscita perplessità, perché adottare un’interpretazione adeguatrice che determini l’applicazione di una maggiore imposta è in conflitto con la disposizione dell’art. 23 Cost., secondo cui «Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge».

La rilettura della disposizione in termini di previsione di “massimi applicabili” è fatta anche riguardo alla franchigia. Anche questa parte della disposizione viene reinterpretata dalla Corte come se il riferimento fosse alla franchigia massima, che all’epoca era 350 milioni di lire.

Il ragionamento della Corte è affatto originale, perché riproduce quasi letteralmente il contenuto della Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 30 dell’11/8/2015, in cui – per l’appunto – si afferma che l’art. 56-bis deve essere interpretato “come se” si riferisse alle attuali franchigie e aliquote[28].

Ora, se la disposizione ha funzione “sanzionatoria” o è dotata, come afferma l’ordinanza 28047/20, di “autonomia funzionale”, dovrebbe essere “sganciata” dalle aliquote e franchigie previste per le donazioni “dichiarate” cioè quelle formali e quelle informali registrate volontariamente[29]: il contribuente che ha “nascosto” la donazione, non registrandola e evadendo l’imposta, è sanzionato attraverso l’applicazione di tale più alta aliquota.

Ci pare insomma che, adottando la prospettiva sanzionatoria/autonomistica fatta propria dalla Corte, si debba affermare che l’art. 56-bis continui a essere applicabile, che non vi sia alcuna incompatibilità con le nuove aliquote e franchigie e che non vi sia necessità di alcuna interpretazione adeguatrice del medesimo.

Inoltre, come si è già osservato, l’interpretazione adeguatrice dell’art. 56-bis, conduce alla reformatio in peius della disposizione, che non è certo consentita al giudice (né, ovviamente, al fisco).

Interpretando la disposizione così come ha ritenuto la Corte, infatti, nel caso dell’ordinanza 27665/20 si colpirebbe più duramente la liberalità[30].

L’aritmetica non è suscettibile di interpretazione.

Applicando l’art. 56-bis così com’è, l’imposta è di € 827.346,80 (7% su € 11.819.240, cioè € 12 milioni meno la franchigia di € 180.759,91).

Applicando l’art. 56-bis nel testo risultante dall’interpretazione adeguatrice della Corte (cioè come si vorrebbe che fosse…) l’imposta è di € 880.000 (8% su € 11 milioni, cioè € 12 milioni meno la franchigia di € 1 milione).

Un’interpretazione in peius a danno del contribuente, che – come già sopra osservato – pare essere in conflitto con il principio di legalità formale fissato nell’art. 23 Cost.

Inoltre, nel caso oggetto dell’ordinanza 27665/20 l’art. 56-bis era inapplicabile per mancanza di uno dei suoi presupposti.

Afferma la Corte che l’art. 56-bis è stato introdotto per «incentivare l’autodichiarazione del contribuente, anche per evitare ulteriori e più onerose pretese fiscali (si pensi alle indagini relative alle imposte dirette dalle quali possono emergere elementi patrimoniali incompatibili con i redditi dichiarati)».

La contribuente, tuttavia, aveva efficacemente dimostrato che le somme esistenti sul proprio conto corrente non costituivano reddito (tanto che l’Agenzia non aveva accertato un maggior reddito) e contestato l’applicabilità dell’imposta di donazione a fronte di un trasferimento di denaro strumentale all’esecuzione di un mandato fiduciario.

Si è in presenza, in altri termini, di un conflitto interpretativo tra il contribuente, che nega l’esistenza di una liberalità e il fisco che invece la reputa tale.

Tutto ciò, naturalmente, purché si condivida la tesi secondo cui il fisco può “autonomamente” accertare e tassare una liberalità indiretta ovvero accertare e tassare una donazione diretta nulla perché priva di forma solenne, tesi che però non è condivisa né in dottrina[31] né in giurisprudenza[32].

Risolvere tale conflitto a favore del fisco e ritenere tassabile tali liberalità a prescindere dalla dichiarazione del contribuente non può che condurre alla tassazione “ordinaria” ex artt. 1 del testo unico e 2, comma 49 del d.l. 262/06, cioè all’applicazione dell’aliquota prevista per le donazioni tra coniugi e in favore dei figli, pari al 4% sul valore eccedente la franchigia di € 1 milione, come aveva ritenuto la Commissione tributaria regionale nel caso dell’ordinanza 28047/20.

 

 


[1] In verità la disposizione prevede un terzo presupposto, previsto nel comma 2: l’incremento patrimoniale deve essere superiore a € 180.759,91.

[2] Dall’art. 69, comma 1, lett. p), della legge 21/11/2000, n. 342.

[3] In questi termini Stevanato, Le liberalità tra vivi nel tributo successorio, in AA. VV., L’imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Giuffrè, 2001, p. 261.

[4] Deve inoltre trattarsi di liberalità risultanti da atti non soggetti a registrazione, perché, oltre alle donazioni formali (registrate), le liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione sono tassabili ai sensi dell’art. 1, comma 4-bis, del testo unico, salve le eccezioni previste dalla disposizione stessa.

[5] Stevanato [nt. 2], p. 263, il quale aggiunge (a p. 264) che la tassabilità della liberalità indiretta presuppone che al momento dell’accertamento la somma sia ancora esistente nel conto corrente del beneficiario, perché l’incremento patrimoniale deve essere “stabile”. Se la somma è stata spesa o consumata, secondo il chiaro Autore, non è possibile applicare alcuna imposta. Nel caso di specie, come risulta dall’ordinanza, la somma non era più esistente sul conto, perché il giorno dopo l’accredito era stata versata sul conto corrente della società della quale il marito era unico socio. A seguire questa tesi, pertanto, era presente un ulteriore profilo di illegittimità dell’accertamento, che però non è stato contestato dal contribuente. Nei medesimi termini Lupi, I trasferimenti non formali: dalle scelte rinunciatarie del legislatore del 1973 all’imbarazzo di quello del 2000, in AA. VV., L’imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Giuffrè, 2001, pp. 297-298.

[6] Parla bene di “donazione confessata” Busani, Imposta di successione e donazione, Ipsoa, 2020, p. 1305.

[7] Nel caso concreto che non si trattasse di reddito è stato agevolmente documentato dalla moglie, trattandosi di versamento sul conto corrente avvenuto dal conto corrente del marito tramite bonifico bancario, tant’è vero che il fisco non ha sollevato obiezioni.

[8] Il trasferimento, quindi, non era avvenuto tra i coniugi ma tra le due società, fiduciarie dei coniugi.

[9] In cosa consistesse tale “riconoscimento” non è però chiaro, visto che – ovviamente – non risultano atti formali. Potrebbe forse trattarsi del “mancato rifiuto” da parte della moglie, che ha – per così dire – accettato il bonifico? Non sembra proprio e, in ogni caso, non è rilevante per le ragioni indicate nel testo.

[10] Che si tratti di liberalità indiretta è per altro discutibile (v. nt. 24).

[11] Cfr. Gorla, I problemi fondamentali del contratto, Edizioni Scientifiche Italiane, 2017, p. 140.

[12] Checchini, L’interesse a donare, in Riv. dir. civ., 1976, p. 262; Id., Regolamento contrattuale e interessi delle parti (intorno alla nozione di causa), in Riv. dir. civ., 1991, p. 229; Gianola, Atto gratuito, atto liberale – ai limiti della donazione, Giuffré, 2002, p. 149.

[13] Va ricordato che il trasferimento del denaro era avvenuto tra conti correnti intestati a società fiduciarie per cui la moglie rivestiva una posizione di fiduciaria a sua volta schermata dall’esistenza di un rapporto fiduciario in essere con la società fiduciaria di cui ella era fiduciante.

[14] Cass., 30/4/2019, nn. 11401 e 11402: «L’atto di trasferimento a titolo gratuito della proprietà di un immobile dal mandante al mandatario senza rappresentanza, strumentale alla esecuzione del mandato medesimo e quindi al successivo trasferimento a terzi, non comporta alcun arricchimento, reale ed effettivo, in capo al mandatario. A tale atto di trasferimento si rende applicabile l’imposta fissa di registro, e non l’imposta proporzionale sulle donazioni e sugli altri atti a titolo gratuito, mentre l’imposizione indiretta proporzionale colpirà il solo successivo trasferimento del bene dal mandatario senza rappresentanza a terzi».

[15] Cfr. la recentissima Cass. 24/12/2020, n. 29507.

[16] Ricaviamo questi dati da una verifica del contenuto del contratto, denominato “Bussola Speciale”, fatta nel sito web della Banca Monte dei Paschi di Siena, visitato il 26/12/2020.

[17] Cfr. Cass. 19/2/2016, n. 3263, la quale, dopo avere affermato che «nell’assicurazione sulla vita la designazione quale terzo beneficiario di persona non legata al designante da alcun vincolo di mantenimento o dipendenza economica deve presumersi, fino a prova contraria, compiuta a spirito di liberalità, e costituisce una donazione indiretta» ha altresì precisalo che «il donatum originario era costituito dai premi versati all’assicuratore (cfr. Cass. n. 6528/2006), giacché- come rilevato dalla cit. Cass. n. 7683/2015 – il pagamento del premio ha integrato “il c.d. negozio-mezzo (l’assicurazione) utilizzato per conseguire il negozio-fine (la donazione)”, mentre il pagamento dell’indennizzo da parte dell’assicuratore ha costituito il risultato finale utile dell’operazione per il beneficiario».

[18] È la somma costituente il premio, infatti, che era uscita dal patrimonio del padre. Ed è rispetto a tale somma che l’art. 1923 c.c. fa salva l’azione di riduzione delle donazioni.

[19] L’individuazione della categoria delle “liberalità dirette ad attuazione indiretta”, accolta dalle Sezioni Unite, si deve a Gatt, Le liberalità indirette, II, Giappichelli, 2005, p. 105 segg.

[20] Le riflessioni che seguono sono estensibili all’ordinanza 28047/20, che in sostanza segue la stessa linea di ragionamento.

[21] Salva l’eccezione di cui all’art. 1, comma 4-bis.

[22] La questione interseca rilevanti profili civilistici, perché ammettere che si tratta di donazione … nulla fa sorgere, per chi ha ricevuto la somma, un obbligo di restituzione dell’indebito. Il fisco, pertanto, finisce per tassare con l’imposta di donazione ciò che – civilisticamente – appare essere un riconoscimento di debito da … indebito (devo questa acuta osservazione al fraterno amico Angelo Di Sapio). Potrebbe inoltre trattarsi di una tassazione “temporanea”. Il contribuente, infatti, avrebbe titolo a richiedere il rimborso dell’imposta pagata se la nullità venisse dichiarata con sentenza passata in giudicato, ai sensi dell’art. 38, comma 2, del d.P.R. 26/4/1986, n. 131, applicabile anche alle donazioni in virtù del richiamo fatto dall’art. 60 del testo unico.

[23] Cfr. Stevanato (nt. 2), p. 249; Busani (nt. 5), p. 1304-1305; Monteleone, Il nodo delle liberalità indirette, in AA. VV., L’imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Giuffrè, 2001, p. 336. In senso contrario Fedele, Commento all’art. 1. d. lgs. 346/1990, in Fedele-Mariconda-Mastroiacovo (a cura di), Codice delle leggi tributarie, Utet, 2014, p. 611, il quale ritiene che esigenze di coerenza intrinseca e razionalità complessiva militerebbero a favore di un’interpretazione che dia maggior spazio possibile a eventuali accertamenti d’ufficio, quindi oltre gli stretti limiti previsti dall’art. 56-bis.

[24] Cass. 29/10/2010, n. 22118, Cass., 18/1/2012, n. 634, Cass., 19/6/2017, n. 15144. Quest’ultima afferma che «Il presupposto per l’applicabilità dell’imposta sulle donazioni va individuato, giusto quanto previsto dall’art. 1 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel trasferimento per scopo di liberalità di un diritto o della titolarità di un bene, senza che abbia rilevanza alcuna l’inosservanza della forma dell’atto pubblico, richiesta a pena di nullità dell’art. 782 cod. civ., per l’atto di donazione e la sua accettazione» e aggiunge che «un diverso criterio di applicazione dell’imposta, infatti, si presterebbe a prassi elusive, contrarie al principio di effettività dell’imposizione in ragione della capacità contributiva, ai sensi dell’art. 53 Cost.». In dottrina si ritiene, al contrario, che le donazioni “informali” non sarebbero tassabili, perché si tratterebbe di donazioni non stipulate per iscritto né enunciate in un atto scritto, come richiesto dal testo unico: Stevanato-Lupi, Trasferimenti informali di ricchezza e imposta di donazione, in Dial. Trib., 2012, 5, p. 542.

[25] Il caso al vaglio pone il delicato problema della forma della donazione di denaro (o strumenti finanziari) intestati a una società fiduciaria in nome proprio ma per conto del donante, tanto più che nel caso specifico la somma (asseritamente) donata era stata versata su un conto corrente anch’esso intestato a una società fiduciaria. La prassi è nel senso della stipula per atto pubblico. Non è questa la sede per approfondire la questione, ma se si ritenesse necessario l’atto pubblico la donazione in oggetto sarebbe nulla.

[26] L’ordinanza 28047/2020 afferma invece che l’art. 56-bis ha “autonomia funzionale” all’interno dell’impianto normativo generale e che per tale ragione può coesistere con il nuovo sistema. Nonostante tale affermazione entrambe le ordinanze ritengono che la disposizione debba essere “armonizzata” con il nuovo sistema.

[27] Le aliquote applicabili alle donazioni erano previste nell’art. 56, comma 1-bis, il quale prevedeva quelle del 3, 5 e 7 per cento a seconda del rapporto di parentela, con una franchigia di 350 milioni di lire (queste aliquote furono introdotte dall’art. 69, comma 1, lett. o), della legge 21/11/2000, n. 342)

[28] La Circolare citata testualmente afferma che l’art. 56-bis «deve logicamente riferirsi alle aliquote e franchigie attuali e non più a quelle previste nel precedente regime». Quale sia questa “logica”, però ci sfugge (una lettura fondata sull’argomento “come se” è inaccettabile, occorrerebbero argomenti aventi ben altro peso, anche alla luce dei principi costituzionali), senza contare che nel caso dell’ordinanza 27665/20 il fisco, ignorando la sua stessa Circolare, aveva applicato l’aliquota del 7%.

[29] La registrazione volontaria è consentita dall’articolo 56-bis, comma 3.

[30] Si badi: nel caso dell’ordinanza 27665/20 l’Agenzia delle Entrate aveva applicato l’aliquota del 7%, quindi l’interpretazione adeguatrice della Corte è ininfluente sul caso concreto. Questa conseguenza non è assoluta, dipendendo dall’ammontare della donazione (il calcolo riguarda la sola donazione tra coniugi o in favore di parenti in linea retta). Nel caso dell’ordinanza 28047/20, infatti, applicando l’aliquota del 7% alla donazione di € 3.165.224,49, detratta la franchigia di € 180.759,91, consegue un’imposta di € 208.912; applicando l’aliquota dell’8% e detratta la franchigia di € 1 milione, consegue un’imposta di € 173.218. L’art. 56-bis reinterpretato determina quindi un’imposta minore. Da € 6.780.759,91 in su (se non abbiamo fatto male i calcoli), l’imposta ex art. 56-bis reinterpretato è sempre più elevata rispetto a quella applicabile ex art. 56-bis letteralmente inteso. Ciò potrebbe sembrare coerente con il principio di progressività dell’imposta di cui all’art. 53 Cost., salvo osservare che in materia di imposte di successione e donazione la progressività è stata sostituita dalla proporzionalità.

[31] Cfr. gli autori citati alla nt. 22.

[32] Lo nega la stessa ordinanza 28047/20.

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