Il contributo è svolto a titolo personale e non impegna l’Istituto di appartenenza.
Con la “Risposta” n. 376 del 10 settembre 2019, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti sull’assoggettabilità ad imposta di bollo delle comunicazioni relative ai prodotti finanziari da inviare alla clientela con riguardo ai conti deposito per non residenti in Italia.
Nel dettaglio, la fattispecie oggetto del quesito prevede la presenza di una banca italiana che esercita attività bancaria anche all’estero[1] effettuando raccolta diretta. La banca in questione, in partnership con altri soggetti, ha iniziato a collocare on line un conto deposito[2] dedicato esclusivamente a soggetti non residenti in Italia. Sotto il profilo operativo, l’attività viene svolta mediante la messa a disposizione, da parte di terze parti, di una piattaforma on line mediante la quale i non residenti possono provvedere all’apertura di diversi conti di deposito offerti sulla piattaforma da parte delle diverse banche aderenti, tra le quali anche la banca interpellante. In particolare, il cliente interessato al prodotto apre un conto di appoggio presso una banca terza tramite la quale verranno movimentate le somme a credito e a debito presso la banca italiana. Il processo viene regolamentato da un contratto trilaterale che disciplina i rapporti tra i vari operatori (la banca italiana, la banca estera e il soggetto che mette a disposizione la piattaforma on line per l’apertura dei conti di deposito). La banca italiana fornirà, attraverso gli altri partner dell’accordo, al cliente estero l’estratto conto del deposito all’apertura del conto, alla chiusura e al roll-over del conto, e, in ogni caso, almeno una volta all’anno. Con riferimento alle comunicazioni relative ai prodotti finanziari, si ricorda che il comma 2-ter dell’articolo 13 della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, prevede che l’imposta di bollo si applica nella misura proporzionale del 2 per mille per le “Comunicazioni periodiche alla clientela relative a prodotti finanziari, anche non soggetti ad obbligo di deposito, ivi compresi i depositi bancari e postali, anche se rappresentati da certificati…”. Inoltre, la nota 3-ter al citato articolo 13 stabilisce, tra l’altro, che “La comunicazione relativa ai prodotti finanziari (…) si considera in ogni caso inviata almeno una volta nel corso dell’anno anche quando non sussiste un obbligo di invio o di redazione. L’imposta è comunque dovuta una volta all’anno o alla chiusura del rapporto….”.
La banca istante, in sede di interpello ha sostenuto che le comunicazioni inviate alla clientela relativamente ai conti di deposito non sono soggette all’imposta di bollo di cui all’articolo 13, comma 2-ter, della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 642 del 1972, per difetto del presupposto della territorialità, posto che le comunicazioni in argomento non debbono “presuntivamente” ritenersi inviate dalla banca italiana, in quanto le stesse sarebbero effettivamente emesse dagli altri soggetti coinvolti nel contratto trilaterale ed aventi sede all’estero. L’Agenzia delle Entrate, nella risposta al quesito, ha preliminarmente richiamato la definizione di “cliente”[3] e di “ente gestore”[4] riprendendo quanto già descritto nelle circolari n. 48 del 21 dicembre 2012 e n. 15 del 10 maggio 2013, ricordando poi come l’imposta sia dovuta in relazione alle comunicazioni periodiche inviate alla clientela. Tali comunicazioni si presumono inviate in ogni caso anche quando l’ente gestore non sia tenuto, in relazione ai prodotti finanziari detenuti dalla clientela, alla redazione e all’invio di comunicazioni. In tale ipotesi, infatti, l’imposta va applicata al 31 dicembre di ciascun anno e, comunque, al termine del rapporto intrattenuto con il cliente. Con riferimento all’individuazione del presupposto territoriale, l’Agenzia conclude che l’imposta di bollo sulle comunicazioni relative ai prodotti finanziari trova applicazione, in linea generale, per i prodotti finanziari detenuti per il tramite di un ente gestore che esercita a qualsiasi titolo sul territorio della Repubblica l’attività bancaria, finanziaria o assicurativa (cfr. articolo 1 del D.M. 24 maggio 2012). Nella situazione oggetto del quesito, si evince, dalle disposizioni contrattuali, che il soggetto gestore del rapporto di conto deposito è la banca italiana, la quale è tenuta, tra l’altro, a predisporre ed inviare le comunicazioni al cliente al fine di riepilogare – con cadenza periodica o almeno una volta l’anno – la posizione ed il valore del medesimo prodotto finanziario.Tali comunicazioni, conclude l’Agenzia, rientrano nel campo di applicazione dell’articolo 13, comma 2-ter della tariffa, parte primaallegata al D.P.R. n. 642 del 1972, e, pertanto, sono soggette all’imposta di bollo.
[1] La banca istante si è avvalsa della facoltà di esercitare l’attività bancaria all’estero, in regime di libera prestazione di servizi (e senza stabilimento di succursali all’estero), fornendo servizi transfrontalieri.
[2] Con riferimento alla nozione di deposito, la Banca d’Italia, con nota prot. n. 0215567/13 del 1° marzo 2013, ha precisato che nella “prassi bancaria” la nozione di deposito comprende: 1. i depositi che costituiscono la provvista di un conto corrente; 2. i depositi con funzione diversa da quella del punto 1. Nella circolare n. 15/E del 10 maggio 2013 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che “potrebbero ricadere in questa fattispecie non solo i contratti giuridicamente distinti dal conto corrente (certificati di deposito, depositi alimentati attraverso un conto corrente “di appoggio”, ecc.), ma anche i depositi in conto corrente la cui funzione principale non sia quella di fornire una provvista al conto”. L’Agenzia, nel medesimo documento di prassi, prosegue precisando che, “sulla base dei principi dettati dal codice civile e dei chiarimenti forniti dalla Banca d’Italia, […] l’imposta di bollo deve essere applicata nella misura fissa prevista dall’articolo 13, comma 2-bis, per i depositi che costituiscono la provvista di un rapporto di conto corrente. Nel diverso caso di contratti giuridicamente distinti dal conto corrente ovvero di depositi in conto corrente la cui funzione principale non sia quella di fornire una provvista al conto, l’imposta deve essere applicata nella misura proporzionale prevista dall’articolo 13, comma 2-ter”. Pertanto, l’Agenzia ha stabilito che “con riferimento ai depositi in conto corrente, […] l’imposta deve essere applicata, in via autonoma rispetto a quella applicata in relazione al rapporto di conto corrente, nella misura proporzionale dell’1,5 per mille [ora 2 per mille, n.d.r], per le giacenze che risultano ‘vincolate’, ovvero per le quali il cliente perde la libera disponibilità, fintanto che permane il vincolo. Appare evidente, infatti, prosegue l’Agenzia, che “per effetto dell’accordo con il quale si dispone la segregazione, le somme vincolate perdono la funzione principale di fornire una provvista al rapporto di conto corrente”. Inoltre, “ai fini della corretta individuazione della tassazione applicabile al rapporto di conto corrente e a quello di deposito, non assume rilievo la circostanza che le giacenze del deposito in conto corrente libere da vincoli di indisponibilità, siano remunerate”.
[3] Per la nozione di cliente, si veda la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 48 del 2012 dove viene richiamata la definizione contenuta nel Provvedimento del Governatore della Banca d’Italia del 9 febbraio 2011, pubblicato sulla G.U. n. 38 del 16 febbraio 2011. Successivamente all’emanazione del DM 24 maggio 2012, è stato pubblicato, in data 20 giugno 2012, un nuovo provvedimento del Governatore della Banca d’Italia che sostituisce il precedente del 9 febbraio 2011. Sulla base di tali disposizioni, non rientrano nella definizione di cliente seguenti soggetti: “banche, società finanziarie, gli istituti di moneta elettronica (IMEL), imprese di assicurazioni, imprese di investimento, organismi di investimento collettivo del risparmio (fondi comuni di investimento e Sicav ); società di gestione del risparmio (SGR); società di gestione accentrata di strumenti finanziari; fondi pensione; Poste Italiane spa; Cassa depositi e prestiti e ogni altro soggetto che svolge attività di intermediazione finanziaria; società appartenenti al medesimo gruppo bancario dell’intermediario; società che controllano l’intermediario, che sono da questo controllate ovvero che sono sottoposte a comune controllo”. Sempre riguardo alla definizione di “cliente”, si faccia riferimento anche al contributo fornito da Assogestioni nella circolare n. 139 del 23 dicembre 2014, par. 1.2.
[4] L’articolo 1, lettera a), del DM 24 maggio 2012 chiarisce che per ente gestore si intende “il soggetto che a qualsiasi titolo esercita sul territorio della Repubblica l’attività bancaria, finanziaria o assicurativa rispettivamente secondo le disposizioni del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il Testo unico delle leggi in materia bancaria, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.58, recante il Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, degli articoli 8 e 21della legge 6 febbraio 1996, n. 52, ovvero del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, recante il Codice delle assicurazioni private, ivi comprese le Poste italiane S.p.A., che si relazioni direttamente od indirettamente con il cliente anche ai fini delle comunicazioni 42 periodiche relative al rapporto intrattenuto e del rendiconto effettuato sotto qualsiasi forma”. Al fine di evitare duplicazioni di imposta, l’articolo 3, comma 6, del DM 24 maggio 2012 chiarisce, inoltre, che “In presenza di più enti gestori, le comunicazioni relative a prodotti finanziari rilevanti, ai fini dell’applicazione dell’imposta, sono quelle inviate, anche ai sensi della nota 3-ter, secondo periodo, all’art. 13 della Tariffa, Allegato A, Parte Prima, allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, dall’ente gestore che intrattiene direttamente con il cliente un rapporto di custodia, amministrazione, deposito, gestione o altro stabile rapporto.”. Cfr. anche Assogestioni, par. 1.4 della circ. citata.