Il trattamento fiscale dei capitali percepiti dai beneficiari di polizze assicurative sulla vita in caso di decesso dell’assicurato è stato oggetto di importanti modifiche con la Legge di Stabilità 2015 (art. 1, commi 658 e 659). A seguito di tali modifiche, l’esenzione in precedenza prevista per l’intero capitale corrisposto in caso di decesso dell’assicurato, è stata ora limitata alla sola quota dei capitali erogati a copertura del rischio demografico.
Mentre per le polizze “puro rischio” (come quelle “temporanee caso morte”) l’intero capitale erogato in caso di decesso sarà in ogni caso esente da tassazione, alcuni dubbi sorti circa la modalità di individuazione della porzione esente e della porzione che a seguito delle modifiche diviene soggetta a IRPEF nelle polizze c.d. miste, e cioè quelle polizze i cui premi sono in parte finalizzati alla copertura del rischio demografico, ed in parte destinati ad investimento finanziario.
Per tali polizze sarà infatti necessario distinguere il capitale erogato a copertura del rischio demografico (che continua a rimanere esente), dalla componente di rendimento finanziario dell’investimento sottostante alla polizza (che a seguito della modifica normativa diventa soggetta ad IRPEF).
Sul punto era inizialmente intervenuta la Circolare 8/E del 2016 dell’Agenzia delle Entrate (cfr. contenuti correlati) che definiva le modalità di calcolo da seguire per individuare la componente del capitale erogato relativo al rischio demografico rispetto a quella relativa al contenuto finanziario. La Circolare in parola distingue tra le polizze a prestazione unica da quelle a prestazioni ricorrenti ritenendo che, per le prime, la quota di capitale erogato da assoggettare a tassazione corrisponda alla differenza tra il valore di riscatto e la somma dei premi corrisposti con finalità di investimento, senza considerare invece i premi corrisposti con riferimento alla componente demografica. Invece, per le polizze a prestazioni ricorrenti, per le quali la tassazione continua a essere sospesa fino all’erogazione del capitale assicurato, l’Agenzia suggerisce un metodo “proporzionale” che prevede preliminarmente di calcolare la proporzione tra il reddito complessivo (valore complessivo delle prestazioni periodiche erogate e valore di riscatto) e l’ammontare delle prestazioni erogate, e successivamente di applicare tale proporzione alla prestazione complessiva, in modo da individuare la quota di prestazione da attribuire al rendimento finanziario (da tassare) e la quota da attribuire al puro rischio demografico (da esentare).
La distinzione operata dall’Agenzia tra polizze a prestazione unica e polizze a prestazioni ricorrenti si basa sull’assunzione che, nel primo caso, il premio pagato dall’assicurato chiaramente identifichi la componente a copertura del rischio demografico rispetto alla componente finanziaria, al contrario di quanto accadrebbe nelle polizze a prestazioni ricorrenti.
In base agli esempi forniti nel documento di prassi quindi, le modalità di calcolo della componente tassabile delle prestazioni percepite in dipendenza di polizze miste sembrerebbero dipendere dalla frequenza di erogazione delle stesse.
Su questo aspetto è tornata ad esprimersi l’Agenzia delle Entrate che, con la Risoluzione n. 76/E del 2016 ha risposto ad un quesito relativo alla metodologia di calcolo da utilizzare in caso di contratto assicurativo a prestazioni periodiche, quando anche in tale polizza sia determinabile la componente di premio relativa al rischio demografico dalla componente finanziaria (cfr. contenuti correlati).
L’Ufficio chiarisce la posizione espressa con la Circolare 8/E, stabilendo che il metodo “proporzionale” non sia applicabile solo alle polizze “miste” con prestazioni periodiche, ma in tutti i casi in cui l’impresa di assicurazione non distingua con chiarezza quale parte di premio sia a copertura del rischio demografico e quale sia relativo alla componente finanziaria, anche se si tratti di polizze a prestazione unica. Viceversa, quando sia disponibile la scomposizione del premio tra componente finanziaria e componente “rischio morte”, tale suddivisione deve essere sempre utilizzata per calcolare la parte imponibile del capitale corrisposto in caso di decesso dell’assicurato, indipendentemente dalla modalità di erogazione delle prestazioni.
L’Agenzia, insomma, chiarisce che la discriminante tra l’applicazione dei due metodi di calcolo non sia da attribuirsi alla periodicità delle prestazioni in caso di morte dell’assicurato, bensì alla disponibilità dei dati che consentano di scomporre il premio pagato nelle due componenti relative al rischio morte e al carattere finanziario dell’assicurazione.
La modifica normativa diminuisce l’appeal delle polizze vita come strumento di passaggio generazionale in esenzione da imposta, se non per la (spesso minima) componente del capitale erogato corrispondente al premio a copertura del rischio demografico. Nulla cambia invece per i capitali erogati per riscatto della polizza o per liquidazione della stessa per eventi diversi dal caso morte. A seguito delle nuove modalità di calcolo della componente imponibile di capitale corrisposto in caso morte in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita, diventa invece di fondamentale importanza identificare la componente di premio pagato (e di capitale corrisposto) relativa alla componente finanziaria rispetto alla componente di rischio demografico. Di qui la grande attenzione degli operatori e dell’Agenzia delle Entrate sul tema.