Con la pronuncia in esame la Corte di Cassazione, allineandosi a un orientamento di legittimità ormai consolidato, ribadisce come la carica di amministratore di società abbia natura presuntivamente onerosa, con la conseguenza che, con l’accettazione della carica, l’amministratore acquista il diritto ad essere remunerato per l’attività svolta in esecuzione dell’incarico affidatogli. Tale diritto, in ogni caso, ha natura disponibile, di modo che la pretesa dell’amministratore al compenso viene meno in caso di rinuncia da parte dell’interessato, ovvero di deroga attuata con apposita previsione statutaria, che condizioni il compenso dell’amministratore al conseguimento di utili, oppure sancisca espressamente la gratuità dell’incarico gestorio (in senso conforme, Cass. n. 285/2019 e Cass. n. 15382/2017).
In mancanza di allegazione di un’espressa rinuncia o di deroga statutaria, pertanto, la domanda giudiziale dell’amministratore, volta al riconoscimento di un compenso per attività prestata a favore della società, deve ritenersi fondata in ragione del generale principio di onerosità della carica amministrativa, con conseguente obbligo del giudice di accertare il credito dell’amministratore nei confronti della società e determinare la remunerazione al medesimo spettante.
Il credito dell’amministratore nei confronti della società amministrata per la corresponsione del compenso, in ogni caso, deve ritenersi avere natura chirografaria. L’attività che l’amministratore, con l’accettazione della carica, si impegna a fornire a favore dell’ente societario s’identifica infatti con la stessa attività d’impresa, e come tale, non è oggetto di determinazione o determinabilità preventiva (Cass. n. 15409/2018; Cass. n. 4769/2014). Pertanto, l’opus dell’amministratore non è qualificabile come prestazione d’opera intellettuale, né è suscettibile di integrare un contratto d’opera ex art. 2222 ss. c.c., con conseguente inapplicabilità del privilegio generale previsto dall’art. 2751-bis, n. 2 c.c.