La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in analisi, interviene nell’ambito di una controversia riguardante un provvedimento impositivo con il quale erano recuperati a tassazione i costi relativi ad operazioni di compravendita di autovetture tra due società, operazioni ritenute soggettivamente inesistenti da parte dell’Amministrazione finanziaria.
I soci della società cessionaria (medio tempore cessata), dopo essere risultati soccombenti nel giudizio di primo grado, si vedevano accogliere l’appello dalla CTR competente, avendo questa ritenuto che l’Agenzia delle Entrate non avesse adeguatamente fornito la prova della consapevolezza del contribuente di partecipare ad una frode, e rimarcando come, in tal senso, risultasse insufficiente la circostanza che le autovetture fossero vendute ad un sottocosto moderato.
La Cassazione veniva investita della questione mediante il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, dove questa si doleva per violazione e falsa applicazione degli articoli 19 e 21, comma settimo del d.P.R. 633/1972 nonché degli articoli 2697, 2727 e 2729 del Codice civile, per non avere il giudice d’appello ritenuto integrati i requisiti richiesti dalla giurisprudenza quanto alla soggettiva inesistenza delle operazioni.
La Corte, nell’accogliere il ricorso formulato, ricorda come “la sussistenza di “indizi”, che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni nella sfera dell’emittente delle fatture, deve indurre l’operatore avveduto ad assumere informazioni sul soggetto dal quale intenda acquistare beni o servizi. In difetto, non potrà che essere escluso – per le ragioni suindicate – il diritto del medesimo alla detrazione di imposta (C. Giust. CE, 21.6.12, cit.) (Cass. 14 dicembre 2012 n.23078; Cass. 14 dicembre 2012 n. 23560; Cass. 24 maggio 2013 n.12963)”.
Quanto al regime probatorio in capo all’amministrazione finanziaria, secondo i principi sviluppati dalla giurisprudenza di Legittimità (Cass. 5873/2019), la prova che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, in ragione dei sopra indicati indizi, dell’esistenza di una frode, può essere fornita anche mediante elementi presuntivi od indiziari (d.P.R. 633/1972, art. 54, comma 2).
Il punto controverso, nel caso di specie, è proprio la valutazione dell’elemento indiziario, costituito dall’acquisto sottocosto delle autovetture, sminuito dalla CTR, nella pretesa che l’Amministrazione fornisse una prova certa del coinvolgimento del cessionario nella frode fiscale. Invece, la ricorrenza della vendita sottocosto, nonché la mancanza di struttura organizzativa della cedente, erano. a giudizio del Collegio. sufficienti per invertire l’onere della prova a carico del contribuente. Spetta a lui, infatti, dimostrare la sua buona fede al fine di legittimare la detrazione dell’imposta.
Ed infatti il Collegio sottolinea “che la vendita di autovetture sottocosto costituisce elemento sintomatico di una possibile frode erariale che, a prescindere dall’entità della percentuale applicata dal venditore, avrebbe dovuto comunque insospettire l’acquirente ed indurlo ad accertarsi della regolarità dell’operazione commerciale”.