Il potere-dovere di revoca dell’ammissione al concordato preventivo ex art. 173 l.f. nasce dalla scoperta degli atti in frode compiuti dal debitore, a nulla valendo il consenso espresso dai creditori, informati della natura fraudolenta della proposta del debitore.
La Corte di appello di Bari ha rigettato il reclamo della ricorrente avverso la dichiarazione di fallimento a seguito di revoca del concordato preventivo ex art. 173 l.f. ritenendo sussistenti le condizioni previste dall’art. 173 l.f. ed individuando tali atti di frode, nel caso di specie, nell’inesattezza dei dati del bilancio, nell’errata valutazione delle immobilizzazioni materiali e delle posizione di alcuni creditori.
I giudici di legittimità hanno ribadito, come rilevato nella sentenza 14552/2014, che nonostante la volontà di attribuire natura contrattuale al concordato preventivo, a seguito della riforma d.lgs. 2006, n. 5, ciò non faccia venir meno la rilevanza della verifica officiosa di eventuali atti fraudolenti, anche una volta che i creditori ne siano stati edotti.
Il concordato preventivo non consiste, infatti, in un mero atto di autonomia negoziale delle parti, ma si realizza in un contesto proceduralizzato e nell’ambito di controlli pubblici affidati al giudice, giustificati dall’esigenza di tener conto degli interessi di soggetti ipoteticamente non aderenti alla proposta ma sottoposti agli effetti di una sua non condivisa approvazione.
Quel che rileva, quindi, è il comportamento fraudolento del debitore e non la consumazione della frode stessa: il legislatore, infatti, prevede l’attivazione del potere-dovere del giudice di revocare l’ammissione al concordato immediatamente, alla scoperta degli atti in frode, volendo porre un ostacolo nella procedura ad un debitore non affidabile.