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L’attività bancaria e le misure di prevenzione patrimoniali

19 Febbraio 2019

Avv. Jean-Paule Castagno, counsel, Avv. Andrea Alfonso Stigliano, associate, Clifford Chance

Di cosa si parla in questo articolo

1. Le misure di prevenzione patrimoniali nel Codice Antimafia

Negli ultimi anni si è assistito ad una crescente valorizzazione e modernizzazione dell’istituto della confisca: se il codice penale del 1930 si limitava a prevedere, all’art. 240 c.p., la confisca come misura di sicurezza patrimoniale dei beni direttamente connessi al reato perseguito, nell’attuale sistema alla stessa sono state affiancati nuovi istituti: confisca obbligatoria, confisca “allargata”, le varie forme di confisca per equivalente o di valore e la confisca di prevenzione, disciplinata oggi dal D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159[1] (“Codice Antimafia”). Una progressiva estensione evidentemente figlia della raggiunta consapevolezza che le forme classiche di sanzione penale, basate sulla individuazione e punizione delle responsabilità personali, non appaiono in grado di incidere adeguatamente sul crimine organizzato se non accompagnate da misure ablatorie capaci di sottrarre patrimoni ritenuti di provenienza illecita[2].

In tale contesto, la confisca di prevenzione – proprio in virtù della sua finalità eminentemente preventiva che, come noto, colpisce beni riconducibili a soggetti ritenuti pericolosi ed opera in assenza di un previo accertamento della commissione di un reato, tanto da parlare di confisca senza condanna[3]– pone al centro del dibattito la compatibilità della medesima con i principi costituzionali e CEDU[4] nonché gli effetti che la stessa può avere nei confronti di alcune categorie di terzi soggetti[5], diversi dal proposto/prevenuto, coinvolti a vario titolo nel sequestro e/o nella confisca del bene.

Ed è proprio in relazione a tale ultimo profilo che viene in rilievo la posizione degli istituti bancari nella loro qualità di terzi titolari di diritti di credito o di pretese di natura obbligatoria, muniti (ma non sempre) di diritti reali di garanzia sui beni: caso paradigmatico è quello dell’istituto di credito che, avendo concesso un mutuo per l’acquisto di un immobile ed avendo iscritto una garanzia ipotecaria su quest’ultimo a tutela del proprio credito, vede fortemente compromesse le proprie prospettive di recupero in ragione dell’avvio di un procedimento di prevenzione nei confronti del mutuatario.

La disciplina relativa alla tutela dei terzi, contenuta nel Titolo IV del Libro I del Codice Antimafia, è stata di recente oggetto di alcune importanti modifiche da parte della Legge 17 ottobre 2017 n. 161. In particolare, si segnalano le seguenti novità:

  • tra i presupposti per vedere riconosciuta la tutela del proprio credito, i due requisiti della buona fede del terzo e della non strumentalità del credito all’attività illecita sono oggi cumulativi e non più alternativi tra loro;
  • il decreto di rigetto della domanda basato sull’assenza di buona fede emesso nei confronti di un soggetto vigilato da Banca d’Italia è comunicato a quest’ultima affinché possa assumere le iniziative più opportune, applicando eventualmente sanzioni amministrative;
  • i terzi creditori assistiti da garanzia reale sono chiamati ad intervenire già nell’ambito del procedimento di applicazione del sequestro e non solo successivamente alla intervenuta confisca.

Tali modifiche, che appaiono ispirate ad esigenze di un più stringente ed immediato controllo sulla concessione del credito ad attività criminali, impongono delle riflessioni anche di carattere pratico che indirizzino l’istituto di credito nella valutazione sia in merito all’intervento nel procedimento di prevenzione sia nella precedente fase di concessione del credito, laddove la predisposizione di adeguate procedure di verifica appare il miglior strumento per tutelare, ex ante e minimizzando i rischi, i propri crediti.

2. I presupposti per vedere riconosciuta la tutela del proprio credito (art. 52 comma 1)

Il Codice Antimafia fornisce ai terzi titolari di diritti di credito sui beni oggetto di confisca di prevenzione specifiche modalità di intervento a tutela del proprio credito[6]. In particolare, è previsto un apposito procedimento, che si svolge innanzi al giudice delegato[7], nell’ambito del quale i terzi possono chiedere la verifica del proprio credito. In caso di esito positivo, i creditori possono essere soddisfatti nei limiti del 60% del valore dei beni sequestrati o confiscati, risultante dalla stima redatta dall’amministratore o dalla minor somma eventualmente ricavata dalla vendita degli stessi “al netto delle spese del procedimento di confisca nonché di amministrazione dei beni sequestrati e di quelle sostenute nel procedimento” (art. 53)[8].

L’art. 52 individua i requisiti necessari ai fini della tutela. Nella nuova formulazione, se, da una parte, non viene più richiesto che il creditore chirografario abbia infruttuosamente escusso il patrimonio del proposto – essendo oggi necessario e sufficiente che quest’ultimo “non disponga di altri beni sui quali esercitare la garanzia patrimoniale idonea al soddisfacimento del credito” –, dall’altra parte, è stato reso decisamente più gravoso per il creditore vedersi riconosciuta tutela: la nuova formulazione della lettera b) esclude l’incidenza della confisca a condizione che “il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, sempre che il creditore dimostri la buona fede e l’inconsapevole affidamento” laddove, nel testo previgente, buona fede e strumentalità erano requisiti alternativi tra loro.

Come rilevato dalla giurisprudenza immediatamente successiva alla riforma, la sostituzione della locuzione “a meno che” con “sempre che” comporta come “il legislatore del 2017 abbia definito in termini più restrittivi la condizione che assicura tutela al terzo creditore: la configurazione di tale condizione che poneva in termini di “alternatività” (…) la mancanza di strumentalità all’attività illecita del credito, da un lato, e, dall’altro, l’ignoranza in buona fede del nesso stesso è stata sostituita da una configurazione in termini “cumulativi” dei due presupposti”[9].

La novella rende quindi più severe le condizioni per il riconoscimento di tutela dei terzi rispetto al passato: a norma della previgente disciplina, il creditore poteva opporre il proprio credito nei confronti dello Stato dimostrando esclusivamente la propria buona fede, anche nei casi in cui il credito si fosse rivelato strumentale rispetto all’attività illecita del debitore. In forza del nuovo testo della lettera b), ai fini dell’opponibilità del credito sono necessarie sia la assenza di strumentalità dello stesso all’attività illecita (o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego) sia la sussistenza della buona fede e dell’affidamento incolpevole. Detto altrimenti, con la novella, la sussistenza del nesso di strumentalità esclude, di per sé, l’opponibilità del credito nei confronti dello Stato anche da parte del creditore in buona fede[10].

La portata di tale modifica può essere apprezzata alla luce degli approdi giurisprudenziali raggiunti negli ultimi anni con riferimento ai due presupposti, buona fede e strumentalità.

2.1 La condizione di buona fede o di affidamento incolpevole del creditore

La giurisprudenza di legittimità propone un’accezione restrittiva di buona fede e affidamento incolpevole, potendo ravvisarsi gli stessi esclusivamente laddove il fatto illecito né sia stato conosciuto né risultasse “conoscibile”[11].

Il legislatore, con il terzo comma dell’art. 52, non toccato dalla recente riforma, ha stabilito che, nella valutazione della buona fede, il Tribunale tiene conto“delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi”. Il riferimento agli enti creditizi ed ai particolari obblighi imposti, anche dalla disciplina antiriciclaggio, è evidente. Tale soluzione è confermata dalla giurisprudenza di legittimità la quale fa esplicito richiamo alle disposizioni di cui alla normativa prevista dal D. Lgs. n. 231/2007 e alle disposizioni che, su diversificati piani normativi, dettano obblighi di adeguata verifica della clientela da parte degli intermediari finanziari e degli altri soggetti esercenti attività finanziaria con finalità di prevenzione del riciclaggio e del reimpiego della illecita accumulazione di ricchezza[12].

Viene richiesto un approccio calibrato al caso concreto, non potendo l’istituto bancario limitarsi a sostenere di avere assolto l’ordinaria diligenza attraverso il rispetto di prescrizioni generali, dovendo “offrire la positiva dimostrazione dell’assenza di elementi tali da far insorgere il ragionevole convincimento relativo all’inerenza delle operazioni bancarie ad attività illecite e, in ipotesi di indici di criticità, di averli superati mediante indagini adeguate, nei limiti di un apprezzabile sacrificio e della ragionevole esigibilità, parametrata alle circostanze del concreto contesto”[13].

In ordine all’onere probatorio, si ritiene ormai pacificamente che, ai fini dell’ammissione del credito garantito da ipoteca, spetti al creditore dare prova della propria buona fede, dimostrando l’estraneità a qualsiasi collusione o compartecipazione all’attività criminosa e un errore scusabile sulla situazione apparente del debitore[14].In tal senso, si è altresì chiarito come l’onere probatorio a carico del terzo abbia ad oggetto la dimostrazione del suo affidamento incolpevole, ingenerato da una situazione di oggettiva apparenza, che rende scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza[15]e si declini in una triplice direzione, investendo la trasparenza delle operazioni, la loro rispondenza alla disciplina antiriciclaggio, l’assenza di elementi tali da far insorgere il ragionevole convincimento relativo all’inerenza delle stesse ad attività illecite[16].

La casistica giurisprudenziale è quanto mai variegata. Da una parte, la correttezza del procedimento interno di concessione del finanziamento costituisce requisito indispensabile per dimostrare la buona fede. In merito, un indice negativo è costituito dalla mancata produzione in giudizio della perizia di stima del bene sul quale è stata iscritta l’ipoteca[17]ovvero la presenza, nella documentazione relativa alla pratica di fido, di CUD e buste paga irregolari[18]. Dall’altra parte, la dimostrazione dell’avvenuto rispetto delle procedure operative interne per l’erogazione del finanziamento non è tuttavia sufficiente. A tale riguardo, si ritiene necessario che la banca dimostri di aver effettuato una approfondita ed autonoma valutazione delle caratteristiche soggettive e patrimoniali dei soggetti coinvolti (debitore e suoi familiari), con particolare riferimento alla capacità finanziaria e reddituale – e, segnatamente, alla affidabilità e solvibilità derivante dalla capacità produttiva di un reddito lecito[19]– ed alle loro condizioni patrimoniali, nonché alle finalità, alla regolarità amministrativa ed alla sostenibilità finanziaria dell’operazione negoziale sottostante[20].

Per altro verso, si è evidenziato che l’istituto di credito non sia titolare di autonome prerogative investigative, proprie degli organi inquirenti, non potendo quindi essergli richiesto di effettuare penetranti indagini quanto alle pendenze penali a carico del soggetto potenziale beneficiario del finanziamentoné potendo, peraltro, “il semplice dato di una condannapenale per un qualunque reato ovvero della assai risalente applicazione di una misura di prevenzione essere, di per se’, ostativo alla concessione del credito, venendo altrimenti minata la funzione economico-sociale delle banche di finanziare le attività che operano nei settori economici più disparati, essendo la ratio della normativa, come detto, esclusivamente quella di evitare un uso distorto del credito bancario, piegato ai fini elusivi della criminalità”[21].

Con riferimento alla cessione di crediti, ci si era interrogati se la cessione, avvenuta dopo la trascrizione del provvedimento di sequestro o di confisca di prevenzione, del credito ipotecario precedentemente insorto, determinasse o meno di per sé uno stato di mala fede in capo al nuovo titolare, come tale preclusivo dell’ammissibilità della sua ragione creditoria. Le Sezioni Unite, con un recentissimo arresto[22], hanno fornito risposta negativa a tale quesito, precisando come nel caso in cui il credito sia ceduto in epoca posteriore alla trascrizione del sequestro, il creditore cessionario possa comunque avvalersi della condizione di buona fede sussistente in capo al creditore originario al quale è subentrato nella stessa posizione. In merito, si ritiene irrilevante che il creditore cessionario sia o possa essere a conoscenza, al momento dell’acquisto del credito, del vincolo posto sul bene. Al creditore cessionario è pertanto consentito provare l’esistenza delle condizioni per l’ammissione del credito garantito anche laddove abbia acquisito lo stesso successivamente al sequestro del bene oggetto della garanzia. L’oggetto della prova sarà duplice: da una parte, l’originaria sussistenza del requisito della buona fede nei termini appena indicati e, dall’altra parte, la buona fede propria sotto il profilo della mancanza di accordi fraudolenti con il proposto.

2.2 (Non) strumentalità del credito

Ulteriore requisito, oggi divenuto assorbente al fine di una pronuncia di diniego della propria pretesa, è l’assenza di strumentalità del credito all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego.

Il concetto di strumentalità del credito è stato oggetto di diverse pronunce da parte della recente giurisprudenza di legittimità. Alcune decisioni sottolineano il “rapporto di potenziale collegamento tra le ragioni dell’applicazione della misura definitiva di prevenzione e la finalizzazione del credito”, in quanto di diretto impiego del credito nell’attività illecita o di acconsentito utilizzo di liquidità derivanti da attività illecita per far fronte al pagamento del credito stesso[23]. Per altro verso, si è posta l’attenzione sull’estraneità del terzo rispetto all’illecito, intesa nel senso che non può considerarsi estraneo al reato il soggetto che da esso abbia ricavato vantaggi e utilità, “accezione, questa che è maggiormente aderente alla precisa connotazione funzionale della confisca, non potendo privilegiarsi la tutela del diritto del terzo allorquando costui abbia tratto vantaggio dall’altrui attività criminosa e dovendo, anzi, riconoscersi la sussistenza, in una simile evenienza, di un collegamento tra la posizione del terzo e la commissione del fatto-reato”[24].

Indipendentemente dall’angolo di visuale prescelto, l’onere probatorio circa l’assenza di strumentalità non appare di facile assolvimento. Si è infatti osservato[25]come il legislatore abbia posto a carico della banca la prova circa la propria estraneità all’illecito del proposto (ovvero l’assenza di accordi che svelino la consapevolezza dell’attività illecita realizzata all’epoca dal contraente, poi proposto, e sottoposto a misura di prevenzione patrimoniale). Ne consegue che, in virtù dell’accertata pericolosità del soggetto cui è riferibile il bene confiscato (intervenuta nel procedimento che ha dato luogo alla confisca), nell’odierno sistema è presente una “presunzione relativa di strumentalità del credito ricevuto da tale soggetto, credito” che, ove abbia consentito “l’acquisto di un immobile ha reso possibile – di fatto – una operazione di tendenziale reimmissione nel circuito economico (attraverso il pagamento del mutuo) di capitali di provenienza illecita”[26].

Di notevole rilevanza pratica appare l’ormai diffusa tendenza all’applicazione delle misure di prevenzione a soggetti, estranei al circuito mafioso, rientranti nella categoria del “colletti bianchi”[27], per i quali emerga una abitualità nelle condotte delittuose. Per via giurisprudenziale si è, per esempio, introdotta la figura del contribuente “fiscalmente pericoloso”, in considerazione dell’abitualità e rilevanza dei suoi illeciti tributari[28]. Una tale estensione, che sdogana la materia della prevenzione dal circuito strettamene mafioso, non può che comportare un aumento del rischio di contatto tra istituti di credito e individui ritenuti pericolosi in quanto, almeno apparentemente, soggetti pienamente integrati nell’economia lecita.

3. Comunicazione a Banca d’Italia (art. 52 comma 3 bis)

Il comma 1 dell’art. 20 della Legge 17 ottobre 2017 n. 161 inserisce un nuovo comma 3 bis all’art. 52 del Codice Antimafia. La disposizione prevede: “Il decreto con cui sia stata rigettata definitivamente la domanda di ammissione del credito, presentata ai sensi dell’articolo 58, comma 2, in ragione del mancato riconoscimento della buona fede nella concessione del credito, proposta da soggetto sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia, è comunicato a quest’ultima ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231”.

In particolare, il richiamato comma 7 dell’art. 9 del D. Lg. 231/2007, prescrive che “l’autorità giudiziaria, quando ha fondato motivo di ritenere che il riciclaggio o l’impiego di denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita siano avvenuti attraverso operazioni effettuate presso gli intermediari sottoposti a vigilanza, ne dà comunicazione all’Autorità di vigilanza competente e alla UIF, per gli atti di loro spettanza”. Tale articolo precisa inoltre che le notizie comunicate sono coperte dal segreto d’ufficio e che la comunicazione può essere ritardata quando può derivarne pregiudizio alle indagini. Parallelamente, è previsto che L’Autorità di vigilanza e la UIF comunicano all’Autorità giudiziaria le iniziative assunte e i provvedimenti adottati.

Come sopra osservato, tra i parametri di verifica della buona fede della banca, il rispetto della normativa antiriciclaggio svolge un ruolo chiave. Pertanto, proponendo il medesimo meccanismo disciplinato dal D. Lgs. 231/2007, la modifica apportata al Codice Antimafia mira a potenziare il ruolo di Banca d’Italia quale Autorità deputata a verificare il rispetto, da parte dei soggetti da essa vigilati, degli obblighi antiriciclaggio previsti dalla normativa primaria e secondaria e l’adeguatezza dei relativi assetti organizzativi e procedurali. A tal fine, Banca d’Italia può effettuare ispezioni e richiedere l’esibizione o la trasmissione di documenti, atti nonché di ogni altra informazione utile. In base agli esiti dei controlli, Banca d’Italia assume le iniziative più opportune, applicando eventualmente sanzioni amministrative.

La differenza rispetto alla precedente formulazione appare evidente: prima della riforma, l’istituto bancario, ritenuto carente di buona fede nella concessione del credito – nella accezione “allargata” prevista in tema di misure di prevenzione –, andava unicamente incontro al rischio di rigetto della propria domanda creditoria; laddove oggi, in forza del nuovo art. 52 comma 3 bis, nella medesima situazione, l’istituto bancario potrebbe essere soggetto alle sopra evidenziate iniziative di Banca d’Italia[29].

4. Intervento dei titolari di diritti reali di garanzia nel procedimento di applicazione della misura (art. 23 comma 4)

La Legge n. 161/2017 ha incluso anche i titolari di diritti reali di garanzia sui beni in sequestro tra i soggetti chiamati ad intervenire nella fase applicativa del sequestro ai sensi dell’art. 23 comma 4.

Prima della precedente riforma, erano previsti diversi momenti di intervento a seconda del ruolo assunto dal terzo: i terzi proprietari o comproprietari dei beni sequestrati, o che vantano diritti reali o personali di godimento sui beni in sequestro, erano chiamati ad intervenire già nel procedimento di applicazione del sequestro, demandando a tale momento l’accertamento dei loro diritti e della buona fede; diversamente, per i titolari di diritti di credito (garantiti o meno da diritti reali), era previsto un accertamento esclusivamente successivo, a confisca già disposta, nell’apposito procedimento di verifica dei crediti innanzi al giudice delegato, nell’ambito del quale il terzo interveniva attraverso il deposito di una domanda di ammissione al credito (artt. 58).

Il nuovo art. 23 comma 4, nell’estendere la chiamata ad intervenire anche ai titolari di diritti reali di garanzia, precisa che, per la liquidazione dei diritti dei creditori, si applicano le disposizioni del Titolo IV.

Anche se la norma non indica espressamente il ruolo del terzo intervenuto[30], l’analisi dei lavori parlamentari suggerisce che sia proprio l’udienza di applicazione della misura il momento di valutazione dei requisiti per la tutela del credito del terzo, laddove nella scheda di lettura predisposta per l’esame del progetto di legge di modifica[31] si rappresentava come “la Commissione propone che debbano essere citati [nell’ambito dell’udienza di trattazione della proposta di sequestro] non solo i titolari di diritti reali o personali di godimento ma anche di diritti reali di garanzia [non avendo senso] citare il conduttore di un contratto di locazione e non gli istituti di credito, muniti di diritti reali di garanzia, differendo a un momento successivo l’accertamento della buona fede”. Nel medesimo documento veniva, peraltro, esplicitamente posta in correlazione la comunicazione a Banca d’Italia e l’accertamento della buona fede già svolto dal Tribunale in sede di applicazione della misura[32].

Tale lettura trova conferma nelle primissime applicazioni successive alla modifica, dove si assiste ad una anticipazione dell’accertamento della buona fede del terzo – e, dunque, della possibilità di una valutazione che, una volta definitiva, possa essere comunicata a Banca d’Italia – già nel corso dell’udienza di trattazione della proposta di sequestro innanzi al Tribunale.

Ne consegue che, nell’attuale sistema, l’intervento del terzo nella fase applicativa della misura appare quindi consistere in una proposizione anticipata della domanda di ammissione al credito: in tale ottica, l’istituto di credito che intervenga di fronte al Tribunale, nell’esposizione “dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della domanda, con i relativi documenti giustificativi” dovrà dimostrare la non strumentalità del credito e la propria buona fede nella concessione del medesimo, rimanendo esposto al rischio di una comunicazione a Banca d’Italia del provvedimento con cui venga respinta la propria domanda creditoria in ragione dell’assenza di tale ultima requisito.

5. Conclusioni

Le recenti modifiche apportate al Codice Antimafia impongono alcune considerazioni in ordine agli effetti sulla concreta attività degli operatori coinvolti nell’erogazione del credito.

La maggiore complessità nel fornire la prova dei presupposti per il riconoscimento della propria domanda ed il contemporaneo aumento dei rischi in caso di accertamento negativo della buona fede impongono una attenta e ponderata valutazione da parte della banca ai fini dell’intervento nel procedimento. Laddove, infatti, dall’analisi degli atti emergesse con chiarezza la strumentalità del credito, l’intervento dell’istituto di credito potrebbe essere inutile, se non persino nocivo: verificato il requisito della strumentalità, il giudice dovrà valutare la condotta della banca comunicando all’Autorità di vigilanza eventuali criticità emerse. Peraltro, in forza delle registrata tendenza giurisprudenziale ad anticipare, già al momento dell’udienza di applicazione del sequestro, la valutazione della buona fede, appare opportuno che tale valutazione sia svolta già precedentemente all’intervento del creditore ai sensi del novellato art. 23 comma 4.

La valutazione dovrà riguardare l’intera vicenda sottesa alla concessione del credito: la regolarità e completezza dell’istruttoria, l’esatta valutazione del merito di credito, l’applicazione della normativa antiriciclaggio. In tale contesto, anche la “storia criminale del soggetto” potrà avere un determinato peso specifico: se è vero che l’istituto di credito non è dotato dei medesimi sistemi in uso alla polizia giudiziaria, l’analisi delle notizie di stampa – anche attraverso data base di risk data intelligence presenti sul mercato – è ormai considerato un passaggio essenziale, in assenza del quale la procedura di erogazione del credito può essere giudicata incompleta.

A tale riguardo, è evidente che l’analisi richiesta ai fini della valutazione dell’intervento ricalca pedissequamente gli snodi fondamentali di una corretta concessione del credito: giocoforza, al fine di ridurre i rischi di “strumentalizzazione” dell’attività bancaria, e di un conseguente diniego della tutela risarcitoria in favore della banca, è necessario assicurare l’implementazione e la corretta applicazione di procedure di verifica della clientela al momento della acquisizione e di valutazione del merito di credito nella successiva fase della concessione del finanziamento. Passaggi, questi, non solo imprescindibili ai fini di una corretta prassi bancaria, così da selezionare a monte solo rapporti di finanziamento, ma anche in una successiva fase processuale, al fine di dimostrare la sussistenza della buona fede dell’istituto di credito.



[1] Laddove non specificato, nel presente contributo gli articoli si intendono riferiti al D. Lgs. 6 settembre 2011 n. 159.

[2] F. Fiorentin, “Misure di prevenzione personali e patrimoniali”, Giappichelli Editore, 2018, pag. 501.

[3] In merito, l’art. 20 del Codice Antimafia prevede che il sequestro di prevenzione ha ad oggetto i beni nella disponibilità diretta o indiretta del proposto, “quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego” e, a norma del successivo art. 24, “il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego”.

[4] Da ultimo, in tema di misure di prevenzione personali, Cass. Pen., Sez. I, 19 aprile 2018 (dep. 3 ottobre 2018), n. 43826, Pres. Sarno, Est. Magi, con commento di F. Menditto, “Misure di prevenzione e corte europea, in attesa della Corte Costituzionale”, in Diritto Penale Contemporaneo, reperibile al link https://www.penalecontemporaneo.it/d/6280-misure-di-prevenzione-e-corte-europea-in-attesa-della-corte-costituzionale.

[5] Pur nell’assenza di una classificazione esaustiva delle diverse categorie di terzi interessati da una misura di prevenzione, si possono individuare, partendo da coloro che hanno un più intenso rapporto col destinatario del procedimento e col bene: terzi eredi o aventi causa dal titolare del bene (e successori a titolo universale o particolare), terzi formali intestatari dei beni o terzi intestatari, terzi titolari di diritti di credito (o di pretese di natura obbligatoria), muniti o meno di diritti reali di garanzia sui beni (oggetto della presente trattazione) e terzi interessati (indirettamente) dal provvedimento. Per un maggiore approfondimento, F. Menditto, “Confisca di prevenzione e tutela dei terzi creditori. un difficile bilanciamento di interessi”, in Diritto Penale Contemporaneo, reperibile al link https://www.penalecontemporaneo.it/upload/1436189206MENDITTO_2015a.pdf.

[6] Nella sua versione originaria, la legge n. 575/1965 (cd. legge antimafia), non faceva alcun riferimento ai terzi titolari di crediti sorti prima del sequestro, suscettibili di essere pregiudicati dalla confisca in quanto incidenti sulla garanzia offerta dal patrimonio del proposto. Tale disciplina, in parte “integrata” da numerosi interventi della giurisprudenza che riconosceva una tutela ai creditori (ad esclusione dei chirografari), è rimasta sostanzialmente invariata sino all’approvazione del Codice Antimafia il quale introduceva, per i procedimenti iniziati dal 13 ottobre 2011, un sistema organico di tutela esteso a tutti i creditori del proposto, basato su un procedimento incidentale di verifica dei crediti in contraddittorio e sulla conseguente formazione di un “piano di pagamento”, secondo dinamiche analoghe a quelle previste nelle procedure concorsuali. A fronte della tutela concessa ai terzi nell’ambito del procedimento di prevenzione, tutte le azioni esecutive vengono sospese e sono estinte all’esito della confisca e, parallelamente, viene fatto divieto di intraprendere azioni esecutive sui beni sequestrati (art. 55). Con riferimento ai beni assoggettati a fallimento (dichiarato anche precedentemente al sequestro) prevale il concomitante sequestro di prevenzione, prevedendo il soddisfacimento dei creditori attraverso un coordinamento tra procedimento di prevenzione e fallimentare (artt. 63 ss.).

[7] L’art. 35 prevede che “Con il provvedimento con il quale dispone il sequestro previsto dal capo I del titolo II il tribunale nomina il giudice delegato alla procedura e un amministratore giudiziario”.

[8] Articolo così modificato dalla Legge 17 ottobre 2017 n. 161.

[9] Cass. Pen., Sez. V, 14 dicembre 2017, (dep. 15/01/2018), n. 1412.

[10] F. Fiorentin, “Misure di prevenzione personali e patrimoniali”, Giappichelli Editore, 2018, pag. 919.

[11] Giurisprudenza costante, recentemente Cass. Pen., Sez. I, 29 aprile 2011 (dep. 29 luglio 2011), n. 30326, in CED Cass., n. 250910; Cass. Pen., Sez. I, 27 settembre 2013 (dep. 8 novembre 2013), n. 45260, Italfondiario S.p.A., ivi, n. 257913.

[12] Cass. Pen., Sez. V, 13/04/2018, (dep. 31/05/2018), n.24670. Il requisito della buona fede in materia di misure di prevenzione ha una accezione differente rispetto a quella dall’omonimo istituto di diritto civile. Per altro verso, non viene neppure richiesto un comportamento doloso del terzo, non richiedendo alcuna adesione consapevole e volontaria all’altrui attività illecita. Tali parametri non possono, peraltro, ritenersi né esclusivi né vincolanti per il giudice che, pur dovendo obbligatoriamente tenerne conto, può prenderne in considerazione altri non espressamente menzionati dal legislatore ed anche disattendere quelli normativamente previsti, purché, anche in tal caso, supporti con adeguata motivazione la decisione (Cass., Sez. V, 16 gennaio 2015, n. 6449, Banca Monte Paschi Siena S.p.a.. Rv. 262735).

[13] Cass. Pen., Sez. V , 13 aprile 2018, n. 24670.

[14] Ex multisCass. Pen., Sez. VI, 02 marzo 2017, n. 25505, Rv. 270028; Cass. Pen., Sez. VI, 16 giugno 2015, n. 32524, Rv. 264374; Cass. Pen., Sez. II, 11 giugno 2015, n. 41353, Rv. 264655; Cass. Pen., Sez. VI, 17 settembre 2015, n. 50018, Rv. 265930. A tale riguardo, le Sezioni Unite Civili hanno osservato come sebbene l’art 52 non contenga“ previsioni espresse in termini di prova – non precisando a chi spetti dimostrare la buona fede e l’affidamento incolpevole–, deve ritenersi che l’elaborazione giurisprudenziale negli anni maturata, soprattutto nell’ambito penale, e la veste sostanziale di attore nel procedimento giurisdizionale di ammissione, che assume il creditore, convergano nell’ addossare a quest’ultimo la prova positiva delle condizioni per l’ammissione al passivo del suo credito” (Cass. Civ., Sez. Un., 7 maggio 2013, n. 10532, Rv. 626570).

[15] Cass. Pen., Sez. V, 16 gennaio 2015, n. 6449, Banca Monte Paschi Siena S.p.A.. Rv. 262735; Cass. Pen., Sez. V, 18 marzo 2009, n.15328, Rv. 243610; Cass. Pen., Sez. I, 14 gennaio 2009, n. 2501, San Paolo Imi S.p.A., Rv. 242817.

[16] Cass. Pen., Sez. V, 13 aprile 2018, n. 24670.

[17] Cass. Pen., Sez. II, 16 gennaio 2015 (dep. 22 gennaio 2015), n. 2894, Banca Monte dei Paschi di Siena, in CED Cass., n. 262289. Una diversa soluzione pare concernere i mutui agrari garantiti da ipoteca iscritta su di un bene immobile, laddove l’assenza della perizia viene riconosciuta come prassi di mercato (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 16 gennaio 2015 (dep. 13 febbraio 2015), n. 6449, Banca Monte Paschi Siena S.p.a.).

[18] In particolare, la Corte rilevava come “le buste paga e gli allegati modelli CUD presentassero evidenti irregolarità, in quanto – oltre ad apparire incompleti – si presentavano privi di sottoscrizione e di attestazione di trasmissione agli uffici competenti. Siffatte anomalie, rilevabili alla stregua della diligenza esigibile da parte dell’operatore bancario delegato all’istruttoria e calate nel contesto di un rapporto bancario esordiente, avrebbero dovuto imporre verifiche più pregnanti riguardo l’effettiva percezione di redditi da parte degli aspiranti mutuatari, non rivelandosi cautela adeguata e sufficiente la mera consultazione del registro delle imprese in cui figurava la ditta presso la quale, apparentemente, il T. aveva documentato di lavorare” (Cass. Pen., Sez. V, 13 aprile 2018, n. 24670).

[19] Cass. Pen., Sez. I, 7 febbraio 2017 (dep. 2 agosto 2018), n. 37558.

[20] Cass. Pen., Sez. I, 7 febbraio 2017 (dep. 27 febbraio 2017), n. 9677, Ag. Naz. per l’Amministraz.e Destinaz. beni sequestrati e confiscati.

[21] Cass. Pen., Sez. II, 27 febbraio 2018 (dep. 9 aprile 2018), n. 15706.

[22] Cass. Pen., Sez. Un., 31 maggio 2018, n. 29847.

[23] Cass. Pen., Sez. VI, 23 maggio 2017, n. 31886. In merito, si ritengono utilizzabili le categorie elaborate dalla giurisprudenza previgente in tema di creditore garantito da diritto reale, individuate, in assenza di regolamentazione, nella mancanza di qualsiasi collegamento del diritto con l’attività illecita del proposto, derivante da condotte di agevolazione o, addirittura, di fiancheggiamento (Cass. Civ., Sez. Un., 7 maggio 2013, n. 10532, in CED Cass., n. 626570; Cass. Pen., Sez. VI, 5 giugno 2015 (dep. 1 luglio 2015), n. 27805, Sagrantino Italy S.r.l., inedita., riportata in F. Menditto, Novità in materia di misure di prevenzione, Diritto Penale Contemporaneo, reperibile al link: https://www.penalecontemporaneo.it/upload/MENDITTO_2017a.pdf.

[24] Cass. Pen., Sez. VI, 15 giungo 2017, n. 43126. In tale arresto, la Suprema Corte evidenzia come “tale conclusione è stata avallata anche dal Giudice delle leggi che ha escluso la compatibilità con l’art. 27 Cost., comma 1, di norme che prevedono la confisca anche quando le cose risultino di proprietà di chi non sia autore del reato “o non ne abbia tratto in alcun modo profitto” (Corte Cost., 19 gennaio 1987, n. 2) e più volte ribadita, sempre in materia di confisca, precisando che l’atto ablatorio non può essere agganciato ad una base meramente oggettiva, assolutamente incompatibile col principio di personalità della responsabilità penale, sancito dall’art. 27 Cost., comma 1, (Corte Cost., 17 luglio 1974, n. 229; Corte Cost., 29 dicembre 1976, n. 259; Corte Cost., 19 gennaio 1987, n. 2, cit.; Corte Cost., 10 gennaio 1997, n. 1; Corte Cost., 20 novembre 1995, n. 487)”.

[25] F. Menditto, “Confisca di prevenzione e tutela dei terzi creditori. Un difficile bilanciamento di interessi”, in Diritto Penale Contemporaneo, pag. 38, reperibile al link https://www.penalecontemporaneo.it/upload/1436189206MENDITTO_2015a.pdf.

[26] Cass. Pen., Sez. I, 12 dicembre 2014 (dep. 23 aprile 2015), n. 17015, Banca delle Marche S.p.A.,

[27] Facendo rientrare gli stessi nel criterio della pericolosità dell’individuo ai sensi degli artt. 1 e 4, D. Lgs. 159/2011.

[28] S.M. Ronco, “Il contribuente fiscalmente pericoloso”, in Diritto Penale Contemporaneo, reperibile al link: https://www.penalecontemporaneo.it/upload/1460470756RONCO_2016a.pdf.

[29] Tale comunicazione, non presente nel Codice Antimafia, era tuttavia conosciuta nel nostro ordinamento con riferimento alle domande di ammissione al credito avanzate ai sensi della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (art.1 comma 200, ult. per.) ovverosia nell’ambito dei procedimenti la cui proposta di applicazione della misura di prevenzione fosse stata formulata prima del 13 ottobre 2011 (in relazione ai quali il Codice Antimafia non si applica ratione temporis). Peraltro, in dottrina, si riteneva “opportuno”, seppur non previsto da nessuna norma, comunicare, in applicazione dell’art. 9 d.lgs. n. 231/07, a Banca d’Italia il decreto di rigetto della domanda di riconoscimento della buona fede per consentire le opportune valutazioni, in analogia a quanto previsto dalla l. n. 228/2012.

[30] La norma, nel limitarsi a prevedere il richiamo alla disciplina del Titolo IV per “la liquidazione dei relativi diritti” pare mantenere i due momenti – l’intervento del terzo nella fase applicativa del sequestro, svolta di fronte al Tribunale, e l’udienza fissata per la verifica dei crediti, svolta invece di fronte al giudice delegato –distinti. In tale ottica, solo con riferimento a tale secondo momento è espressamente previsto l’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della tutela del credito del terzo (buona fede e non strumentalità) come disciplinati dagli art. 52 e ss.. Parimenti, il nuovo comma 3 bis dell’art. 52, prescrive la comunicazione a Banca d’Italia del “decreto con cui sia stata rigettata definitivamente la domanda di ammissione del credito, presentata ai sensi dell’articolo 58, comma 2”: anche in questo caso, il riferimento è alla domanda di ammissione al credito presentata innanzi al giudice delegato e non alle eventuali risultanze emerse nell’ambito del procedimento applicativo.

[31] Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione – A. C. 2737 – Schede di lettura – Servizio Studi GI0323 (26 febbraio 2015). Pag. 12. Reperibile al link http://documenti.camera.it/Leg17/Dossier/Pdf/GI0323.Pdf.

[32] Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione – A. C. 2737 – Schede di lettura – Servizio Studi GI0323 (26 febbraio 2015): “peraltro dall’articolo 9 del decreto legislativo n. 231 del 2007 si evince la possibilità di comunicare all’unità di informazione finanziaria (UIF) presso la Banca d’Italia il decreto con cui viene respinta la domanda di accertamento della buona fede affinché vengano esercitati poteri di vigilanza per l’antiriciclaggio. Sarebbe opportuno che il tribunale richieda, contestualmente all’esecuzione del decreto di sequestro, copia integrale della pratica di mutuo, comprensiva di appunti, annotazioni, al fine di cristallizzare la situazione esistente e acquisire, dall’istruttoria compiuta dalla banca, elementi utili per la verifica della buona o malafede dell’istituto erogante”.

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