Con la sentenza pubblicata la Cassazione ha confermato l’orientamento secondo il quale, nelle ipotesi di operazioni di ristrutturazione e riscadenzamento dei debiti pregressi autorizzate dal giudice delegato ed avvenute in costanza del sequestro, “il provvedimento autorizzativo del giudice equivale a un implicito riconoscimento della tutelabilità dei crediti pregressi, ex art. 52 d.lgs. n. 159 del 2011, e della buona fede del creditore” (in senso conforme, Sez. I, 16 febbraio 2018, n. 32269 nonché Sez. I, 13 luglio 2018, n. 32270).
Ciò in quanto nelle ipotesi in cui un’azienda sottoposta a sequestro prosegua la propria attività d’impresa in costanza di amministrazione giudiziaria i crediti nei quali vi è il subentro degli amministratori giudiziari si considerano sorti in funzione del procedimento di prevenzione e, pertanto, prededucibili (artt. 54, 56 e 61, nella formulazione ratione temporis applicabile). Pertanto, non si può disconoscere che l’autorizzazione giudiziale, in tale frangente, abbia carattere ricognitivo del nesso funzionale del subentro rispetto alla lecita prosecuzione dell’attività di impresa e, comunque, rispetto alle esigenze del procedimento richiamate dall’art. 61 c. 3 del decreto stesso.
La disciplina del d. lgs. 159/2011 contiene infatti espressi riferimenti finalistici tesi a determinare una gestione non meramente conservativa dei beni oggetto di sequestro, specialmente nelle ipotesi in cui essi consistano in interi complessi aziendali.
Nel caso di specie, alla banca in buona fede non può essere così negata la prededucibilità dei propri crediti, derivanti dalle scoperture nei rapporti di conto corrente con il soggetto sottoposto alla misura della confisca dell’intero complesso aziendale (Per approfondimenti in tema di misure patrimoniali di prevenzione e diritti dei terzi, ex multis, Bontempelli, Paese, La tutela dei creditori di fronte al sequestro e alla confisca, in Pen. Cont., 2/2019, 123.).