Massima
(1) L’art. 2466 c.c., recante la disciplina della mora del socio di società a responsabilità limitata per i conferimenti promessi ma non (interamente) eseguiti, mira a preservare l’effettività del capitale sociale tout-courte, pertanto, è applicabile tanto ai conferimenti in sede di costituzione, quanto a quelli in sede di aumento del capitale sociale successivo alla costituzione (anche in questo secondo caso, in via diretta e non estiva od analogica), risultando irrilevante la circostanza per cui la sedes materiaedi detto articolo sia quella della costituzione della società e non sia anche replicato in punto di aumento del capitale sociale.
(2) La riduzione del capitale sociale da esclusionedel socio moroso (per esito negativo della procedura di offerta agli altri soci “a rischio e pericolo” e, ove prevista, di vendita all’incanto ex art. 2466 c.c.) con trattenimento da parte della società delle somme da questo eventualmente versate è una riduzione nominale per la parte di conferimenti non eseguita e reale per la parte già eseguita.
(3) Nel caso in cui il socio di società a responsabilità limitata si sia obbligato ad effettuare nuovi conferimenti in un momento successivo alla costituzione della società (in sede di aumento del capitale sociale) e risulti inadempiente – in tutto o in parte – solo nell’esecuzione di questi nuovi conferimenti, la procedura di esclusionecon trattenimento da parte della società di quanto eventualmente conferito ex art. 2466 c.c. trova applicazione solo limitatamente alla maggiore quota di capitale sottoscritta in seguito, rimanendo intonsa l’originaria quota, fatto però salvo solo il caso in cui lo statuto preveda l’indivisibilità della quota, nel qual caso l’esclusione avrà ad oggetto l’intera partecipazione.
(4) Il socio moroso di società a responsabilità limitata non perde, per effetto dell’art. 2466, c. 4, c.c., anche il diritto di controllo sugli affari sociali ai sensi dell’art. 2476, c. 2, c.c. sino a che egli resti parte della compagine societaria.
Commento
Sommario: 1. Introduzione – 2. I fatti di causa – 3. L’applicazione dell’art. 2466 c.c. ai conferimenti promessi nel contesto di un aumento del capitale sociale – 4. La permanenza del diritto di controllo ex art. 2476, c. 2, c.c. – 5. L’autonomia delle singole sottoscrizioni e l’ammissibilità dell’esclusione parziale dalla società – 6. …e della sterilizzazione parziale del diritto di partecipazione alle decisioni.
1. Introduzione
Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione decide di una questione sulla mora del socio di società a responsabilità limitata mostrando di aderire alla tesi favorevole – ormai prevalente in dottrina ma non anche in giurisprudenza (si v. la posizione dubitativa in punto di recesso parziale espressa da Trib. Torino, sez. impr., 3 luglio 2017, n. 3473, in Giurisprudenza delle Imprese) – alla divisibilità della quota.
Parafrasando la massima più significativa della sentenza della Suprema Corte, è stato ritenuto ammissibile che il socio moroso, per parte della sua quota, venga escluso dalla società (in seguito alla vendita all’incanto andata deserta) e, per la residua parte, permanga nella compagine sociale. In sostanza, secondo questa pronuncia, l’istituto dell’esclusione ex art. 2466 c.c. – forse quello col legame più forte con il (presunto) principio di unitarietà della partecipazione di s.r.l. – ben potrebbe convivere con la (sostenuta) natura divisibile della quota, così che – al pari della sua alienazione, successione o recesso – anche nel suo momento estintivo la quota sarebbe ora frazionabile e non necessariamente destinata alla sorte unica di venire meno in blocco al pari della perdita dello status socii del relativo titolare.
2. I fatti di causa
All’attenzione della Suprema Corte è finita una vicenda decisa in primo grado dal Tribunale di Reggio Emilia e poi, in appello, dalla Corte di Bologna: un socio di una società a responsabilità limitata incrementò la suo quota iniziale – interamente liberata in sede di costituzione – sottoscrivendo un aumento del capitale sociale, versando però solo il 25 centesimi del valore nominale dei nuovi conferimenti cui si era obbligato e risultando inadempiente per i restanti 75 allo spirare del termine assegnato dall’organo amministrativo. Quest’ultimo, così, accertato l’inadempimento e, ai sensi dell’art. 2466 c.c., l’assenza di compratori – sia interni (i.e. l’offerta in sottoscrizione “a rischio e pericolo”), sia esterni (i.e. la vendita all’incanto) alla compagine sociale – deliberò l’esclusione del socio per l’intera sua quota, quella cioè sottoscritta in sede di costituzione così come incrementata in esito all’aumento del capitale sociale, trattenendo le somme riscosse (ossia i conferimenti iniziali incrementati dei 25 centesimi dei nuovi conferimenti) e riducendo il capitale per ammontare corrispondente all’intera quota riferibile al socio. Il socio contesta, quindi (e fra l’altro), il fatto che l’esclusione sia stata pronunciata dall’organo amministrativo in suo danno per l’interezza della sua partecipazione.
3. L’applicazione dell’art. 2466 c.c. ai conferimenti promessi nel contesto di un aumento del capitale sociale
Per prima cosa, la Corte sgombera il campo dal primo motivo di ricorso, fondato sulla (ritenuta) inapplicabilità dell’art. 2466 c.c. anche ai conferimenti promessi nel contesto di un aumento del capitale sociale. Ad avviso del collegio, la disciplina della mora del socio per i conferimenti “mira a preservare l’effettività del capitale sociale”, “tutela che non ha ragione di essere limitata al momento della sua costituzione e dell’inadempimento all’obbligo dei conferimenti iniziali, essendo essa applicabile – in via diretta, e non estensiva od analogica – all’esecuzione dei conferimenti in sede di successivo aumento del capitale sociale”. La tesi dell’ambito di applicazione dell’art. 2466 c.c. esteso anche all’aumento del capitale sociale, del resto, è questione pressoché pacifica in dottrina (esattamente in questo senso Capo et al., sub art. 2466 nel Commentario al codice civile a cura di Cendon (volume Artt. 2452-2483. Società in accomandita per azioni. Società a responsabilità limitata), Milano, 2010, p. 207, e Valzer, sub art. 2466 nel commentario s.r.l. dedicato a Portale, a cura di Dolmetta e Presti, Milano, 2011, p. 227) – anche con riguardo all’omologa disciplina della mora dell’azionista dettata dall’art. 2344 c.c. (si v., per tutti, Erede, sub art. 2344 nel Commentario alla riforma delle società diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari (volume Azioni. Artt. 2346-2362 c.c. a cura di Notari), Milano, 2008, pp. 458-459) –, tuttavia non è mancato chi abbia sostenuto il contrario, come ad esempio – segnala Bertolotti (sub art. 2466 nel Commentario del codice civile diretto da Gabrielli (volume Della Società – dell’Azienda – della Concorrenza, III, Artt. 2452-2510, a cura di Santosuosso), Torino, 2015, p. 253) – il Tribunale di Salerno (6 febbraio 2009, in Pluris) per il quale “la disposizione … non è replicata, per il diverso istituto dell’aumento del capitale sociale, e la specialità della normativa non consente una estensione analogica” (per una circostanza più particolareggiata – la ricostituzione del capitale sociale interamente eroso – si v. invece la massima di Trib. Bari, 1° novembre 2004, in DeJure).
4. La permanenza del diritto di controllo ex art. 2476, c. 2, c.c.
Seconda per importanza è l’interpretazione che la Corte da del divieto, per il singolo socio moroso (Rescigno, Osservazioni sul progetto di riforma del diritto societario in tema di società a responsabilità limitata, in Il nuovo diritto societario fra società aperte e società private. Atti del Convegno (Varese, 20-21 settembre 2002), a cura di Benazzo, Patriarca e Presti, Milano, 2003, p. 49 e ss.), di “partecipare alle decisioni dei soci” previsto dall’art. 2476, c. 4, c.c. Il collegio non ha dubbi sul fatto che tale “misura sanzionatoria e sollecitatoria” non sia ovviamente da estendersi anche al diritto d’informazione e d’ispezione riconosciuto, dall’art. 2476, c. 2, c.c., a ciascun socio non amministratore (il “controllo sugli affari sociali” per usare le parole della Corte), diritto che trova la propria ragion d’essere soprattutto nei casi di conflittualità fra soci (o fra soci e organo amministrativo) come proprio quello di morosità di un socio. La testi così argomentata trova infatti perfetto riscontro, per un verso, con quell’orientamento interpretativo volto a limitare l’ambito oggettivo di applicazione della sterilizzazione del diritto di “partecipazione alla decisioni”, estendendolo tuttalpiù a quei diritti particolari inscindibilmente legati al diritto di voto (si v. Cacchi Pessani, sub art. 2466 nel Commentario alla riforma delle società diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari (volume Società a responsabilità limitata. Artt. 2462-2483 c.c. a cura di Bianchi), Milano, 2008, pp. 219-220. La disposizione, del resto, avrebbe carattere eccezionale e dunque “non dovrebbe essere suscettibile di applicazione analogica oltre il caso in essa considerato”, come nota Zanarone, sub art. 2466 nel commentario fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli (volume La società a responsabilità limitata, I, Artt. 2462-2474), Milano, 2010, p. 421) e, per altro verso, con quell’orientamento che ritiene esteso il diritto al controllo del socio anche in quei vari casi per così dire di confine dello status socii, come la posizione di nudo proprietario della quota, di socio receduto (Abriani, Controllo individuale del socio e autonomia contrattuale nella società a responsabilità limitata, nella e-library dei Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, § 3) o addirittura – “per permettersi … di procurarsi elementi idonei a valutare il valore della quota” – di socio escluso (così Angelillis (eSandrelli), sub art. 2476 c.c. nel Commentario alla riforma delle società diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari (volume Società a responsabilità limitata), pp. 700-701, anche per ampi riferimenti bibliografici in nt. 119).
5. L’autonomia delle singole sottoscrizioni e l’ammissibilità dell’esclusione parziale dalla società
A proposito della principale questione di diritto affrontata dalla sentenza (già accennata nell’introduzione a questo commento), la Corte muove dalla premessa per cui il procedimento di esclusione del socio moroso sarebbe dettato dal legislatore immaginando il caso più lineare della mora del socio, ossia quello di inadempimento ad una “unitaria operazione” di sottoscrizione (di un’unica quota, senza sottoscrizioni precedenti né successive). In questo scenario, l’applicazione la legge non incontra particolari ostacoli, e così l’esclusione del socio – all’esito infruttuoso della vendita agli altri soci e, se prevista dallo statuto, anche ai terzi all’incanto – non potrà che essere per l’interezza della sua quota.
Ma se, invece, prima della sottoscrizione da cui genera la mora (o anche dopo) il socio avesse sottoscritto (e interamente liberato) o acquistato una ulteriore quota (sempre interamente liberata), non è del tutto chiaro quale sia il perimetro di applicazione del procedimento previsto dall’art. 2466 c.c. La circostanza di fatto con cui la Corte di Cassazione si è dovuta confrontare è esattamente questa e la soluzione interpretativa cui è pervenuta, come anticipato, è quella per cui la vendita (prima, e l’annullamento, poi) della partecipazione del socio moroso debba riguardare la sola frazione sottoscritta (o acquistata, in caso di partecipazioni non interamente liberate) a fronte dell’obbligo di conferimento rimasto inadempiuto, non anche la frazione interamente liberata – per la quale, dunque, nessun debito da conferimento sussiste – sottoscritta (o acquistata) in precedenza (o successivamente).
Per giungere a questa conclusione, la Corte anzitutto sgombera il campo dal (preteso) principio di indivisibilità della quota, ritenendola una proprietà della partecipazione in società a responsabilità limitata ormai non più caratterizzante come reso evidente già dallo stesso art. 2466 c.c., nella parte in cui prescrive l’offerta “agli altri soci in proporzionedella loro partecipazione”, oppure dall’art. 2473, c. 4, c.c., ove si replica il medesimo concetto della vendita proporzionale nel contesto della procedura di recesso, o, ancora, dalla pacifica ammissibilità dell’alienazione parziale della quota. Indici testuali, questi, in cui è la legge stessa a prevedere la sorte non unitaria ma frazionata della quota e quindi del tutto incompatibile con l’indivisibilità della stessa, caratteristica che però – ammette la Corte – può tornare a rivivere (solo) in caso di espressa previsione statutaria.
Che l’annullamento non debba riguardare anche la quota precedentemente (o successivamente) sottoscritta ed interamente liberata (o già acquistata come tale) è reso poi evidente – a parere della Corte – anche dai principi di correttezza e buona fede, “i quali necessariamente informano anche i rapporti societari”. Ed anche da un punto di vista più tecnico – si aggiunge – “l’inadempimento del socio all’obbligo di versare quanto sottoscritto riguarda non l’intera quota, posseduta dopo l’aumento e risultante dalla somma di questa con la partecipazione originaria, ma solo la porzione derivante dall’aumento di capitale, deliberato dall’assemblea nel corso della vita sociale” (ciò ovviamente a condizione che “l’iniziale debito da conferimento fosse stato regolarmente, a suo tempo, onorato”). Argomentando invece nel senso dell’esclusione totale del socio moroso – conclude il collegio – si finirebbe per attribuire all’art. 2466 c.c. una ratio che la disposizione non ha e cioè il “permettere agli altri soci, in virtù dell’inesecuzione del conferimento, di escludere definitivamente il socio inadempiente dalla società”.
Una simile conclusione, seppur con motivazioni non sempre diffuse, era già stata sostenuta da vari autori: fra questi (limitando qui le citazioni ad un autore per ciascun genere), si v. per il genere del commentario Cacchi Pessani, sub art. 2466, p. 221, per quello trattatistico Ferri, Le società,nel trattato diretto da Vassalli, X, III, 1987, Torino, p. 435, fra le monografie Perrino, Le tecniche di esclusione del socio dalla società, Milano, 1997, p. 287, per le note a sentenza d’Aiello, Questioni “aperte” in tema di vendita coattiva della quota del socio moroso di s.r.l., nota a App. Palermo, 5 aprile 2011, n. 435, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, II, p. 756 e ss. (ove l’interessante distinguo fra esclusioni ex persona e quelle ex re, con la conseguenza che le seconde sarebbe più corretto considerarle quali meri “ridimensionamenti della partecipazione del socio moroso”) e per la prassi lo studio – esclusivamente dedicato alla questione – n. 5396-I della Commissione Studi d’Impresa del Consiglio Nazionale del Notariato, a cura di Paolini, Questioni in tema di vendita in danno della quota del socio moroso di s.r.l., nonché la massima n. 55 del 2015 del Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato (intitolata “Mora parziale del socio di società a responsabilità limitata e conseguenze in tema di vendita a rischio e pericolo, esclusione, diritti di voto e diritti particolari”).Per una autorevole posizione contraria si v. invece, per tutti, Zanarone, sub art. 2466, p. 421, ove si enfatizza la sfumatura lessicale fra la “esclusione” dell’art. 2466 c.c. – per sua natura unitaria – e la “decadenza” dell’art. 2344 c.c., di regola anche solo parziale, e Valzer, sub art. 2466, p. 227 e ss., il quale, pur partendo da un orientamento dubitativo (ed approfonditamente esposto), aderisce, in conclusione, alla tesi per cui sarebbe preferibile non ritenere ammissibile l’esclusione parziale.
6. …e della sterilizzazione parziale del diritto di partecipazione alle decisioni
Da ultimo, merita di essere menzionato – se non altro perché si pone esattamente a cavallo fra la questione che fa da sfondo a quest’ultimo § 5 con quella esposta nel precedente § 4 – l’orientamento societario I.B.25 del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, per il quale la sanzione della sterilizzazione del diritto di partecipare alle decisioni prevista dall’art. 2446, c. 4, c.c. si applicherebbe al “socio titolare di una partecipazione interamente liberata che incrementi la medesima con una quota per la quale venga messo in mora con i versamenti” per l’intera sua quota e non solo per l’ammontare incrementato. Esattamente in senso contrario, invece, la massima fiorentina n. 55 poco sopra citata, per la quale non sarebbe “eretico” – ai fini della sterilizzazione del diritto di partecipazione così come pure ai fini dell’esclusione parziale – tenere idealmente distinta la porzione della quota interamente liberata e sottoscritta in origine da quella poi incrementata ma non interamente liberata. E ciò – ancora una volta, proprio come per l’esclusione– in ragione dell’autonomia delle singole sottoscrizioni ossia perché la “sottoscrizione di un aumento di capitale fa sorgere una nuova obbligazione e non comporta una modifica di quella precedentemente assunta consentendo, quindi, di tenere ben distinte le posizioni”, circostanza che sarebbe fra l’altro provata dal fatto che “in caso di invalidità dell’atto di sottoscrizione di una quota in sede di aumento di capitale, l’invalidità travolgerà solo la quota in quella sede sottoscritta, non la restante quota già precedentemente acquisita”.